Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32030 del 07/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32030 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: ZAZA CARLO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
1. Savio Paolo, nato a Merano il 26/11/1941
2. Ladurner Notburga, nata a Merano 1’08/01/1944

avverso la sentenza del 13/12/2012 della Corte d’Appello di Trento, Sezione
distaccata di Bolzano

visti gli atti, il provvedimento impugnato, i ricorsi e le memorie depositate dai
ricorrenti;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gioacchino Izzo, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata;
udito per gli imputati l’avv. Walter Zidarich, che ha concluso per l’accoglimento
del ricorso;

1

Data Udienza: 07/05/2014

RITENUTO IN FATI-0

1. Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Tribunale
di Bolzano del 26/11/2007, con la quale
1.1. Paolo Savio era ritenuto responsabile dei reati di cui all’art. 216 r.d. 16
marzo 1942, n. 267, commessi quale socio accomandatario della Finanz und
Handelsiniziativen KG s.a.s., dichiarata fallita in Bolzano il 10/12/1998,
distraendo somme per complessive £. 978.396.284 e tenendo le scritture

degli affari della società (capi B e E); quale legale rappresentante della Edilfin
s.r.I., dichiarata fallita in Bolzano il 24/09/1997, distraendo somme per
complessive E. 503.000.000, in parte sottraendo le scritture contabili e per il
resto tenendole in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio e del
movimento degli affari della società (capi C, L e I); e quale legale rappresentante
della Cofimer s.r.I., dichiarata fallita in Bolzano il 24/09/1997, distraendo somme
per complessive E. 338.176.442, in parte sottraendo le scritture contabili e per il
resto tenendole in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio e del
movimento degli affari della società (capi D e G);
1.2. il Savio era condannato per i fatti di cui sopra alla pena di anni cinque
di reclusione;
1.3. lo stesso Savio e Notburga Ladurner erano assolti per insussistenza del
fatto dall’imputazione del reato di cui all’art. 216 legge fall. contestato al primo
quale socio accomandatario della fallita Finanz und Handelsiniziativen KG s.a.s.
ed alla seconda quale coniuge del Savio nella distrazione dell’incongruo valore di
acquisto delle quote della Iniziative Immobiliari s.a.s. (capo A).
2. Gli imputati ricorrono sui punti e per i motivi di seguito indicati, sui quali
hanno altresì depositato memorie.
2.1. Sul rigetto dell’istanza di rinvio del giudizio d’appello per legittimo
impedimento dell’imputato, pronunciato con ordinanza della Corte territoriale del
13/12/2012, il ricorrente Savio deduce violazione dei diritti di difesa previsti dalla
legge e dalle norme costituzionali e comunitarie nell’adozione di un
provvedimento genericamente motivato, che impediva all’imputato di partecipare
attivamente al giudizio.
2.2. Sul rigetto dell’eccezione di nullità del decreto dispositivo del giudizio e
degli atti conseguenti, il ricorrente Savio deduce violazione di legge e mancanza
di motivazione in ordine alle questioni riproposte in appello con memorie
testualmente riprodotte nel ricorso, nelle quali si lamentavano il mancato invio
dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all’art. 415-bis cod.
proc. pen. e l’omesso espletamento del relativo interrogatorio dell’imputato, al
2

e

contabili in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento

quale non è equipollente l’interrogatorio di garanzia ai sensi dell’art. 294 cod.
proc. pen., e l’erroneità dell’argomentazione del Tribunale di Bolzano per la quale
l’avviso non sarebbe stato dovuto, risalendo la richiesta di rinvio a giudizio al
07/12/1999 e quindi ad epoca anteriore all’introduzione del citato art. 415-bis
con legge 16/12/1999, n. 479, laddove detta richiesta veniva in realtà depositata
nella cancelleria del Giudice per le indagini preliminari nel febbraio del 2000 e
notificata all’imputato nel successivo mese di marzo.
2.3. Sulla dedotta nullità della sentenza di primo grado, il ricorrente Savio

nei giudici Silvia Monaco, Cristina Colombo e Cristina Erlicher, in conformità al
verbale manoscritto di udienza, ma che dal verbale stenotipico, atto pubblico
prevalente sul verbale di udienza del quale si denuncia contestualmente la
falsità, il collegio giudicante risultava diversamente formato nelle persone dei
giudici Armin Waldner, Cristina Erlicher e Ulrike Ceresara.
2.4. Sull’affermazione di responsabilità, il ricorrente Savio deduce nullità
della sentenza impugnata nel mero richiami alla decisione di primo grado e
nell’omessa valutazione delle memorie difensive. Lamenta inoltre violazione di
legge e mancanza di motivazione con riguardo all’insussistenza dei presupposti
per le dichiarazioni di fallimento, riproponendo il contenuto delle memorie
presentate in appello in ordine alla sussistenza dei requisiti di fallibilità, anche
alla luce della legislazione sopravvenuta, ed ai denunciati interventi di terzi che
avrebbero costretto l’imputato a cessare l’attività oltre cinque anni prima del
fallimento; all’insussistenza dell’elemento psicologico dei reati, laddove i citati
interventi di altri soggetti nella vicenda privavano l’imputato della disponibilità
dell’unico immobile di proprietà della Edilfin e determinavano il fallimento, che
non era pertanto oggetto di previsione dell’imputato e non dipendeva
causalmente dalle condotte allo stesso contestate; alla mancanza di beni che
potessero essere distratti dall’imputato; ed all’assorbimento dei fatti di cui ai capi
I e L in quelli, identici, contestati al capo C.
2.5. Sulla ritenuta sussistenza dell’aggravante della rilevante entità del
danno, il ricorrente Savio deduce violazione di legge e mancanza di motivazione
in ordine all’assenza di una formale contestazione della circostanza ed
all’inapplicabilità della stessa ai fatti di cui all’art. 223 legge fall..
2.6. Sul decorso del termine di prescrizione dei reati, il ricorrente Savio
deduce violazione di legge nel computo a questi fini dell’insussistente aggravante
di cui al punto precedente e della contestata recidiva reiterata infraquinquennale,
anch’essa insussistente per l’assenza di alcuna sentenza definitiva nei confronti
dell’imputato all’epoca dei fatti.

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osserva che l’intestazione di detta sentenza indicava i componenti del collegio

,

2.7. Sul trattamento sanzionatorio, il ricorrente Savio deduce mancanza di
motivazione in ordine alla quantificazione della pena-base e degli aumenti.
2.8. Sulla dichiarata infondatezza dell’appello proposto avverso l’assoluzione
dall’imputazione di cui al capo A per carenza di interesse, il ricorrente Savio
deduce violazione di legge evidenziando l’esistenza di un interesse
all’impugnazione nell’intento di dimostrare la mancanza dei presupposti per la
dichiarazione di fallimento.
2.9. La ricorrente Ladurner lamenta nullità del dispositivo della sentenza

e ripropone per il resto i motivi dedotti dal Savio ad esclusione di quelli relativi
all’affermazione di responsabilità per le imputazioni diverse da quella di cui al
capo A ed al rigetto dell’istanza di rinvio del giudizio di appello per legittimo
impedimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il motivo proposto dal ricorrente Savio sul rigetto dell’istanza di rinvio del
giudizio d’appello per legittimo impedimento dell’imputato è infondato.
La motivazione del provvedimento era tutt’altro che generica, essendo
viceversa specificamente argomentata sull’assenza del presupposto del rinvio
previsto dalla legge processuale in un impedimento assoluto dell’imputato a
comparire; condizione che veniva coerentemente esclusa nel contenuto di una
certificazione medica essa sì generica nell’attestazione di sinusite acuta con segni
clinici di ipertermia, in mancanza di alcuna indicazione sull’impossibilità per il
Savio di intervenire all’udienza.

2. Il motivo proposto dal ricorrente Savio sul rigetto dell’eccezione di nullità
del decreto dispositivo del giudizio e degli atti conseguenti, determinata
dell’omissione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e del relativo
interrogatorio dell’imputato, è infondato.
Lo stesso ricorrente, nel proporre la questione che peraltro dà atto essere
stata posta all’attenzione della Corte territoriale con memorie prodotte nel corso
del giudizio e non con i motivi di appello, i quali in effetti non ne facevano
menzione, riporta, lamentandone l’erroneità, la risposta data alla stessa dal
Tribunale, incentrata sul risalire la richiesta di rinvio a giudizio ad epoca
anteriore all’introduzione dell’art. 415-bis cod. proc. pen. e sull’equipollenza
dell’interrogatorio di garanzia in sede cautelare a quello previsto quale eventuale
conseguenza dell’avviso di cui sopra ove richiesto dall’imputato. Orbene, posto
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impugnata per la mancata indicazione nello stesso del nominativo dell’imputata,

che il principio del tempus regit actum rende la disciplina di cui al citato art. 415bis applicabile solo nei procedimenti nei quali le indagini preliminari si siano

concluse successivamente all’entrata in vigore della norma con la legge 16
dicembre 1999, n. 479 (Sez. 2, n. 18101 del 29/01/2003, Catania, Rv. 224681),
il ricorrente non ha dedotto che tale condizione si sia verificata nel caso di
specie, limitandosi alla generica affermazione per la quale la richiesta di rinvio a
giudizio sarebbe stata depositata nella cancelleria del Giudice per le indagini
preliminari nel febbraio del 2000, dalla quale non è dato desumere il momento di

contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la sottoposizione dell’imputato
ad interrogatorio in sede cautelare esclude che l’omissione dell’invito
dell’imputato a rendere interrogatorio a conclusione delle indagini preliminari dia
luogo a nullità della richiesta di rinvio a giudizio, laddove la rinnovazione dell’atto
non sia richiesta dalla necessità di contestare all’imputato elementi ulteriori
rispetto a quelli già posti a conoscenza dello stesso (Sez. 1, n. 43236 del
05/10/2001, Ceka, Rv. 220179; Sez. 4, n. 18660 del 19/02/2004, Montanari,
Rv. 228352; Sez. 6, n. 35836 del 22/02/2007, Manzoni, Rv. 238438);
circostanza, quest’ultima, che non è oggetto di specifica deduzione nel ricorso.

3. Il motivo proposto dal ricorrente Savio sulla dedotta nullità della sentenza
di primo grado, in quanto contenente indicazione dei componenti del collegio
giudicante diversa da quella risultante di verbale stenotipico, è inammissibile.
La questione non risulta infatti proposta in appello,

ie

che ne preclude

l’esame in questa sede; ed è peraltro manifestamente infondata laddove lo
stesso ricorrente dà atto che la composizione del collegio giudicante, riportata
nell’intestazione della sentenza di primo grado, corrisponde a quella del verbale
riassuntivo, che prevale su quello stenotipico in quanto redatto dall’ausiliario,
pubblico ufficiale che assiste il giudice in udienza, al di fuori dei casi in cui le
caratteristiche del mezzo tecnico attribuiscano maggiore affidabilità alla
trascrizione stenotipica (Sez. 1, n. 20993 del 01/04/2004, Ivone, Rv. 228196;
Sez. 6, n. 42761 del 20/10/2005, Durantini, Rv. 232755); casi fra i quali non vi
è evidentemente la documentazione della composizione del collegio giudicante,
superfluamente indicata nel verbale stenotipico, la cui specifica funzione
attestativa è limitata agli atti assunti ne corso del dibattimento.

4. I motivi proposti dal ricorrente Savio sull’affermazione di responsabilità
sono infondati.
Infondata è in primo luogo la censura di nullità della sentenza in
conseguenza del richiamo alla decisione di primo grado, che si vedrà nel seguito
5

effettiva conclusione delle indagini preliminari. Ma a prescindere da questo, e

,t
essere integrato da specifici rilievi sulle questioni poste dall’appellante, e
dell’asserita omissione di valutazione delle memorie difensive, oggetto di una
doglianza generica ove non riferita alle predette questioni.
Queste ultime afferiscono per il vero precipuamente al tema dell’applicabilità
della sopravvenuta normativa in tema di requisiti di fallibilità e, più in generale,
alla possibilità di sindacare in sede penale la sussistenza dei presupposti del
fallimento. Il punto era oggetto di esame nella sentenza impugnata, ove si
osservava che il giudizio sul punto si esaurisce in sede fallimentare, non essendo

Corte territoriale faceva corretta applicazione dei principi stabiliti da questa Corte
(Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, Rv .239398; Sez. 5, n. 9279
dell’08/01/2009, Carottini, Rv. 243160; Sez. 5, n. 40404 dell’08/05/2009,
Melucci, Rv. 245427), per i quali la dichiarazione di fallimento, costituendo atto
giuridico richiamato nella struttura di una fattispecie incriminatrice, ne diviene
componente solo in quanto provvedimento giudiziale che attualizza e rende
concreta la potenzialità offensiva della condotta, e non in quanto rappresentativo
dei fatti che con esso vengano accertati, unicamente sui quali, e non anche
sull’atto giuridico della declaratoria di fallimento, incide la normativa che
individua i presupposti di quest’ultima; normativa che pertanto, nella sua natura
indiscutibilmente extrapenale, investe ciò che propriamente è l’elemento
costitutivo della fattispecie e non può essere qualificata come integratrice del
precetto penale, derivandone l’estraneità delle modifiche legislative normative di
cui sopra all’operatività dell’art. 2 cod. pen. e l’inapplicabilità delle stesse, ai fini
penali, alle vicende fallimentari precedentemente in corso.
Infondata è poi la censura di mancanza di motivazione sull’elemento
psicologico del reato, in quanto riferita alla consapevolezza dell’imputato in
ordine alla dipendenza causale del fallimento dalle condotte contestate.
Correttamente il tema veniva ritenuto dai giudici di merito irrilevante,
implicitamente disattendendosi i relativi rilievi della difesa. L’incidenza causale
della condotta distrtriva sul fallimento è un aspetto ininfluente ai fini della

„da

configurabilita reato di bancarotta fraudolenta, il cui evento è costituito
unicamente dalla lesione dell’interesse patrimoniale della massa creditoria (Sez.
5, n. 16759 del 24/03/2010, Fiume, Rv. 246879), già riconducibile alla condotta
di sottrazione di beni a detrimento della garanzia patrimoniale o di
documentazione in pregiudizio delle possibilità di verifica contabile, e non anche
dal dissesto della società, estraneo alla struttura del reato in quanto mero
substrato economico dell’insolvenza (Sez. 1, n. 40172 dell’01/10/2009, Simonte,
Rv. 245350). Estraneo al reato è di conseguenza anche il rapporto causale fra la
condotta ed il dissesto (Sez. 5, n. 34584 del 06/05/2008, Casillo, Rv. 241349;
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consentito al giudice penale di rivederne i termini. Ed in questa conclusione la

Sez. 5, n. 232 del 09/10/2012 (07/01/2013), Sistro, Rv. 254061; Sez. 5, n.
7545 del 25/10/2012 (15/02/2013), Lanciotti, Rv. 254634; Sez. 5, n. 27993 del
12/02/2013, Di Grandi, Rv. 255567). L’oggetto del dolo dei reati di bancarotta
non include, conseguentemente, la prospettiva del dissesto; essendo tale
oggetto limitato, quanto in particolare al reato di bancarotta fraudolenta
patrimoniale, alla consapevolezza di dare a beni della fallita una destinazione
diversa da quella dovuta secondo la funzionalità dell’impresa, privando
quest’ultima di risorse e di garanzie per i creditori (Sez. 5, n. 12897 del

Rv. 222388; Sez. 5, n. 7555 del 30/01/2006, De Rosa, Rv. 233413; Sez. 5, n.
11899 del 14/01/2010, Rizzardi, Rv. 246357; Sez. 5, n. 44933 del 26/09/2011,
Pisani, Rv. 251214; Sez. 5, n. 3299 del 14/12/2012, Rossetto, Rv. 253932).
Assolutamente generica è la doglianza relativa alla mancanza di beni che
potessero essere distratti dall’imputato, a fronte della contestazione di specifiche
condotte distrattive. Quanto infine al dedotto assorbimento dei fatti di cui ai capi
I ed L in quelli contestati al capo C, l’analisi delle relative imputazioni esclude
all’evidenza la fondatezza dell’affermazione del ricorrente sull’identità dei fatti.
L’oggetto delle imputazioni è costituito infatti per il capo C dalla distrazione delle
somme di E. 150.000.000 ricevuta da Frieda Haas, E. 65.000.000 ricevuta dal
Credito Fondiario di Bolzano, E. 83.000.000 ricevuti da Peter Irsara e E.
30.000.000 ricevuta da Aldo Pellati; per il capo I dalla tenuta della contabilità
della stessa società; e per il capo L dalla distrazione delle somme di E.
200.000.000 ricevuta dalla Cassa di Risparmio di Bolzano, E. 20.000.000
ricevuta dalla Cassa Rurale di Merano, E. 65.000.000 ricevuta dal Credito
Fondiario T.A.A. e di quella di E. 150.000.000 ricevuta da Frieda Haas, unica
coincidente fra le imputazioni di cui ai capi C e L.

5. I motivi proposti dal ricorrente Savio sulla ritenuta sussistenza
dell’aggravante della rilevante entità del danno sono infondati.
Posto che la contestazione di una circostanza aggravante non richiede né
l’espressa l’indicazione della disposizione di legge che la prevede, né una
specifica formulazione testuale della fattispecie, essendo sufficiente che
l’imputato sia posto nella condizione di difendersi sui fatti che in concreto
integrano la circostanza (Sez. 5, n. 38588 del 16/09/2008, Fornaro, Rv.
242027), l’aggravante della rilevante entità del danno deve nella specie ritenersi
implicitamente contestata nell’indicazione degli importi delle distrazioni, di per sé
inequivocabilmente rappresentativi di danni rilevanti per i creditori. Quanto
all’applicabilità dell’aggravante ai fatti commessi da amministratori di società
fallite, ai quali la responsabilità è estesa dall’art. 223 legge fall., la stessa non è
7

06/10/1999, Tassan Din, Rv. 211538; Sez. 5, n. 29896 dell’01/07/2002, Arienti,

esclusa dal testuale richiamo del primo comma dell’art. 219, nella previsione
dell’aggravante in esame, ai fatti previsti dagli artt. 216, 217 e 218 e non al
citato art. 223, tenuto conto del rinvio di quest’ultima norma ai fatti di cui all’art.
216, che deve intendersi come riferito all’integralità delle relative fattispecie,
comprensive degli elementi accidentali inclusi nelle stesse dal richiamo dello
stesso art. 216 all’art. 219, fra i quali l’aggravante di cui si discute (Sez. 5, n.
17690 del 18/02/2010, Cassa di Risparmio di Rieti s.p.a., Rv. 247320; Sez. 5, n.
30932 del 22/06/2010, Poli, Rv.247970; Sez. 5, n. 127 dell’08/11/2011

Rv. 251215; Sez. 5, n. 10791 del 25/01/2012, Bonomo, Rv. 252009; Sez. 5, n.
18695 del 21/01/2013, Liori, Rv. 255839; Sez. 5, n. 38978 del 16/07/2013,
Fregnan, Rv. 257762).

6. Il motivo proposto dal ricorrente Savio sul decorso del termine di
prescrizione dei reati è infondato, con le precisazioni che seguono.
È invero corretto il rilievo del ricorrente sull’errato computo, ai fini della
determinazione del tempo di prescrizione dei reati, della recidiva reiterata;
risultando confermata, dalla lettura del certificato penale dell’imputato,
l’affermazione della mancanza di condanne definitive del Savio all’epoca dei fatti,
risultando una sentenza di condanna del 23/11/1981, per la quale è tuttavia
intervenuta la riabilitazione, ed altre risalenti al 27/10/2000 ed al 02/02/2004.
Per quanto detto al punto precedente, deve ritenersi però contestata
l’aggravante della rilevante entità del danno, pertanto correttamente computata,
contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, ai fini del termine di
prescrizione dei reati; termine che anche solo per effetto di detta aggravante, ad
effetto speciale, individua la scadenza del termine al 10/08/2015.

7. E’ invece fondato il motivo proposto dal ricorrente Savio sul trattamento
sanzionatorio.
Tenuto conto di quanto evidenziato al punto precedente in ordine
all’insussistenza della contestata recidiva, diviene di conseguenza essenziale la
verifica dell’incidenza di tale circostanza sulla determinazione della pena. Tale
verifica non è consentita a questa Corte dalla mancata trasmissione, fra gli atti
allegati al ricorso, della sentenza di primo grado, che avrebbe dovuto invece
esservi inclusa. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio
per nuovo esame sul punto alla Corte d’Appello di Trento.

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(09/01/2012), Pennino, Rv. 252664; Sez. 5, n. 44933 del 26/09/2011, Pisani,

8. Il motivo proposto dal ricorrente Savio sulla dichiarata infondatezza
dell’appello proposto avverso l’assoluzione dall’imputazione di cui al capo A è
inammissibile.
L’imputato non è infatti legittimato ad impugnare una decisione assolutoria
nel merito, pur se motivata, come nel caso di specie, da insufficienza probatoria,
al di fuori di eccezionali ipotesi nelle quali un fatto materiale accertato con la
sentenza sia suscettibile di incidere su situazioni giuridiche facenti capo
all’imputato stesso (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226091;

ricorrente con il generico riferimento alla finalità di dimostrare la mancanza dei
presupposti per la declaratoria di fallimento, rispetto alla quale sono del tutto
inconferenti le valutazioni sulla carenza ovvero sull’insufficienza della prova di
fatti distrattivi specificamente contestati in sede penale.

9. Le ragioni esposte al punto che precede evidenziano l’inammissibilità dei
motivi proposti dalla ricorrente Ladurner avverso la decisione interamente
assolutoria pronunciata nei suoi confronti.
A tale declaratoria di inammissibilità segue la condanna della Ladurner
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della
Cassa delle Ammende che, valutata l’entità della vicenda processuale, appare
equo determinare in €.1.000.

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio di
Savio, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Trento.
Rigetta nel resto il ricorso di Savio; dichiara inammissibile il ricorso della
Ladurner, che condanna al pagamento delle spese processuali ed al versamento
della somma di C. 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 07/05/2014

Il Consigliere estensore

ente

Sez. 5, n. 45091 del 24/10/2008, Burini, Rv. 242612); ipotesi non dedotte dal

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