Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32026 del 19/02/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32026 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da Fonti Alessandro, nato a Torino il 12.12.1980,
avverso la sentenza pronunciata dalla corte di appello di Torino, il
9.11.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott.ssa Maria Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente l’avv. Giancarlo Di Giulio, del Foro di Roma, in
sostituzione del difensore di fiducia, avv. Fulvio Violo del Foro di Torino,
che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

FATTO E DIRITTO

Data Udienza: 19/02/2014

1. Con sentenza pronunciata il 9.11.2012 la corte di appello di Torino, in
parziale riforma della sentenza con cui il Tribunale di Torino, sezione
distaccata di Moncalieri, in data 21.10.2011, aveva condannato Fonti
Alessandro alla pena ritenuta di giustizia per il delitto di cui all’art. 624
bis, c.p., rideterminava in senso più favorevole al reo il trattamento
sanzionatorio, previa concessione in suo favore delle circostanze

confermando nel resto l’impugnata sentenza.
per essersi impossessato di tre blocchetti della
2.

Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede

l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione
l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando l’erronea
applicazione della legge penale in relazione all’art. 624 bis, c.p., per
avere la corte territoriale considerato la “Tabaccheria Tamagnone”, al cui
interno il Fonti si era introdotto, impossessandosi di tre blocchetti, che vi
erano custoditi, luogo di privata dimora.
3. Il ricorso non può essere accolto, stante l’inammissibilità del motivo
su cui si fonda.
4. Ed invero, da un lato la questione di diritto prospettata dal ricorrente
non risulta essere stata proposta nei motivi di appello, incentrati
esclusivamente sulla esclusione della recidiva e sul riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche, con conseguente inammissibilità del
motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 606, co. 3, c.p.p.; dall’altro la
suddetta questione appare manifestamente infondata.
Secondo il consolidato e prevalente orientamento della giurisprudenza di
legittimità condiviso dal Collegio, infatti, costituisce luogo destinato in
tutto o in parte a privata dimora, nel delitto di furto in abitazione,
qualsiasi luogo nel quale le persone si trattengano per compiere, anche
in modo transitorio e contingente, atti della loro vita privata, come un
esercizio commerciale o uno studio medico, durante l’orario della loro
apertura al pubblico (cfr. Cass., sez. V, 5.5.2010, n. 22725, rv. 247969;
Cass., sez. V, 25.6.2010, n. 32093, rv. 248356; Cass., sez. V,

2

attenuanti generiche, valutate equivalenti alla ritenuta recidiva,

15.2.2011, n. 10187, rv. 249850; Cass., sez. V, 18.9.2007, n. 43089),
risultando del tutto minoritario l’orientamento di segno opposto, secondo
il quale non rientrano nella previsione dell’art. 624 bis, c.p., le condotte
di furto che si verificano all’interno di un pubblico esercizio o di un
negozio durante l’orario di apertura e nella parte concretamente aperta
al pubblico (cfr. Cass., sez. VI, 8.5.2012, n. 18200).
Peraltro, anche quella giurisprudenza secondo cui non commette il reato

commerciale in orario notturno (cfr. Cass., sez. IV, 24.1.2013, n. 11490,
rv. 254854), trattandosi di locale non adibito a privata dimora, non
risulta applicabile al caso in esame, in cui, come sottolineato dallo stesso
ricorrente, il furto si è verificato nei locali dell’esercizio commerciale
durante l’orario di apertura, mentre la proprietaria era intenta a servire
altri clienti.
5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa va,
dunque, dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento, nonché in favore della cassa
delle ammende di una somma a titolo di sanzione pecuniaria, che appare
equo fissare in euro 1000,00, in considerazione dei profili di colpa
individuabili nella determinazione delle evidenziate ragioni di
inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 a favore della
cassa delle ammende.
Così deciso in Roma 1 19.2.2014

di furto in abitazione chi si introduce all’interno di un esercizio

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