Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32023 del 19/02/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32023 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da Omodeo Zorini Paolo, nato a Mortara il 7.6.1967,
avverso la sentenza pronunciata dalla corte di appello di Milano il
20.2.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott.ssa Maria Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

FATTO E DIRITTO

Data Udienza: 19/02/2014

1. Con sentenza pronunciata il 20.2.2012 la corte di appello di Milano, in
parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Busto Arsizio, in
data 5.4.2011, aveva condannato Omodeo Zorini Paolo, nella sua qualità
di responsabile del servizio di polizia municipale del comune di
Gerenzano, alle pene, principali ed accessorie, ritenute di giustizia in
relazione ai reati di cui agli artt. 81, 414, 323, c.p. (capo n. 3); 81, 323,
c.p. (capo n. 8); 81, 476, c.p. (capo n. 9); 81, 323, 610, c.p., 186 d.

Ivo. n. 285 del 1992 (capo n. 10), oltre al risarcimento dei danni in
favore delle costituite parti civili, Lipiani Giuseppe e comune di
Gerenzano, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’Omodeo
in ordine al delitto di peculato d’uso di cui al capo n. 3), perché estinto
per prescrizione; rideterminava il trattamento sanzionatorio in senso più
favorevole al reo e confermava nel resto l’impugnata sentenza,
riducendo la durata della pena accessoria della interdizione dai pubblici
uffici.
2.

Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede

l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, a mezzo
del suo difensore di fiducia, l’imputato, lamentando violazione di legge in
quanto la corte territoriale ha omesso di considerare: 1) che il delitto ex
art. 323, c.p., di cui al capo n. 10, non è configurabile, avendo
l’imputato agito, in questo caso, non nella qualità di pubblico ufficiale,
ma al di fuori del servizio e dell’esercizio delle sue funzioni; 2) che del
pari non è configurabile il delitto di cui al capo n. 8, per avere agito
l’Onnodeo, in questo caso, sulla base delle disposizioni di legge che
consentono alla polizia giudiziaria di operare autonomamente prima
dell’intervento del pubblico ministero nella direzione delle indagini,
senza, peraltro, che sia stato individuato quale sia stato il vantaggio
patrimoniale conseguito dal ricorrente ovvero il danno ingiusto ad altri
arrecato; 3) in relazione al delitto di falso di cui al capo n. 9, la
testimonianza dell’agente di polizia municipale Forte ha confermato
l’orario in cui venne elevata la contravvenzione, per cui la differenza tra
la copia del preavviso consegnata alla persona offesa e quella in
possesso degli agenti operanti si spiega in maniera diversa dall’ipotesi

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accusatoria e non consente di ritenere integrato l’elemento soggettivo
del reato.
3. Tanto premesso, in via preliminare va rilevata l’estinzione dei reati
per i quali l’Omodeo è stato condannato, maturata, tenuto conto degli
atti interruttivi intervenuti e delle cause di sospensione dichiarate nel
giudizio di merito, dopo la pronuncia della sentenza di secondo gradoprr —conformità all’obbligo di dichiarazione immediata di una causa di non

impugnata agli effetti penali (cfr. Cass., sez. V, 30/09/2010, n. 43051,
rv. 249338), in presenza di un ricorso per cassazione che, per le
questioni di diritto proposte, non può ritenersi del tutto inammissibile.
4. Ciò comporta, ai sensi dell’art. 578, c.p.p., comunque la decisione
sulla proposta impugnazione agli effetti civili, non potendosi dare
conferma alla condanna (anche solo generica) al risarcimento del danno
solo in ragione della mancanza di prova dell’innocenza dell’imputato,
secondo quanto previsto dall’art. 129, comma 2, c.p.p. (cfr. Cass., sez.
V, 07/12/2012, n. 5764, rv. 254965) e, sotto questo profilo, il ricorso
non può essere accolto.
4.1 Ed invero, con particolare riferimento alla censura di cui al punto n.
1), va rilevato che dalla lettura integrata delle sentenze di primo e di
secondo grado, che costituiscono un prodotto unico, avendo seguito un
percorso argomentativo uniforme, si evince che l’Omodeo ha impedito,
sia pure momentaneamente, alla coppia Bretti-Lauria di accedere alla
propria abitazione, avendo posizionato la propria autovettura in modo da
non consentire a quella in cui viaggiavano questi ultimi il transito per il
passo carrabile che conduceva alla suddetta abitazione, minacciando il
Lauria con l’espressione “ti pentirai” ed affermando “che lui era il
comandante dei vigili in missione, che faceva quello che voleva e che
l’indomani avrebbe tolto il divieto per il passo carraio” (cfr. pp. 10-11
sentenza di primo grado).
Non è, pertanto, possibile affermare che in tal modo l’imputato non
abbia agito nello svolgimento delle funzioni o del servizio di pubblico
ufficiale, ponendo in essere, nel contempo il delitto di cui all’art. 610,

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punibilità, che determina l’annullamento senza rinvio della sentenza

c.p., rispetto al quale, peraltro, non risulta essere intervenuta
costituzione di parte civile.
L’art. 323 c.p., infatti, con il richiamo alla locuzione “nello svolgimento
della funzione o del servizio”, richiede che il funzionario realizzi la
condotta illecita agendo nella sua veste di pubblico ufficiale o di
incaricato di pubblico servizio, con la conseguenza che rimangono privi
di rilievo penale solo quei comportamenti, che, quant’anche posti in

senza servirsi in alcun modo dell’attività funzionale svolta (cfr. Cass.,
sez. VI, 04/11/2008, n. 6489, rv. 243051).
Orbene, non appare revocabile in dubbio che nel caso in esame
l’Omodeo si sia servito della sua qualità di comandante del corpo di
polizia municipale del comune di Gerenzano, per arrecare una danno alla
coppia Bretti-Lauria, ostacolandone il rientro nella loro abitazione,
facendosi forza proprio di tale qualità e dei poteri ad essa inerenti, come
si evince dalla circostanza, rilevata dalla corte territoriale, di avere
ordinato ai propri interlocutori, dopo avere ribadito che in qualità di
“comandante dei vigili in missione” egli “poteva fare quello che voleva”,
di accostare l’auto e di esibire i documenti, procedendo ad annotare il
loro numero di targa” (cfr. p. 6 della sentenza di secondo grado).
Né, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, il reato può essere
escluso per la circostanza che l’Omodeo era in borghese e non aveva in
uso l’auto di ordinanza, deducendo da tali elementi che egli abbia agito
in quel frangente al di fuori di un regolare svolgimento delle sue funzioni
o del suo servizio.
Come affermato in un condivisibile arresto della Suprema Corte, infatti,
ai fini della sussistenza del reato di abuso di ufficio (art. 323 cod. pen.)
come novellato dalla legge 16 luglio 1997, n.234 risulta rilevante
qualsiasi violazione di quelle norme di relazione che, prevedendo poteri
coercitivi del pubblico ufficiale, da considerare sempre eccezionali,
incidono tassativamente sulle libertà dei cittadini. Sicché deve ritenersi
che integri gli estremi del delitto la condotta del pubblico ufficiale il
quale, dichiarando pretestuosamente di esercitare i poteri propri del suo

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violazione del dovere di correttezza, siano tenuti come soggetto privato

ufficio, intenda avvalersene solo per sopraffare chi ostacoli i suoi scopi
personali, non essendo necessario che il comportamento abusivo sia
posto in essere nel corso di un regolare svolgimento delle funzioni o del
servizio ne’ che il danno arrecato sia di natura esclusivamente
patrimoniale (cfr. Cass., sez. V, 9.2.1999, n. 3684, rv. 213317)
4.2 Del pari infondato è il motivo di ricorso sub n. 2).
Premesso che anche il corpo della polizia municipale è organo di polizia

e 57, comma secondo, lett. b, cod. proc. Pen (cfr. Cass., sez. III,
26/04/2012, n. 20274, rv. 252769), si osserva che l’assenza di una
delega di indagini da parte del pubblico ministero e, più in generale, di
elementi che potessero configurare un’ipotesi di reato a carico di Lipiani
Giuseppe, segretario del comune di Gerenzano, evidenziata dai giudici di
merito, rendono del tutto illegittima la richiesta, formulata dall’imputato
ad alcuni dipendenti comunali, di ottenere il cartellino delle presenze in
ufficio del suddetto Lipani, peraltro motivata dalla falsa rappresentazione
di agire in esecuzione di una delega del pubblico ministero, in realtà
inesistente, non essendovi indagini in corso a carico del segretario
comunale.
Anche l’esercizio dei poteri di iniziativa da parte della polizia giudiziaria
nel prendere notizia dei reati, infatti, pur potendo prescindere da un
intervento del pubblico ministero, presuppone che vi siano elementi in
grado di dare un minimo di concretezza ad un’ipotesi criminosa, da
trasfondere in una notizia di reato, nel caso in esame del tutto
insussistenti, non potendo trovare giustificazione nella previsione
dell’art. 55, c.p.p., l’interferenza, senza alcun limite, degli ufficiali e degli
agenti di polizia giudiziaria, nella sfera privata altrui.
L’Omodeo, pertanto, consapevole dell’inesistenza delle indicate
condizioni che avrebbero legittimato il suo intervento, ha dolosamente
agito, in violazione dei limiti che l’art. 55, co. 1, c.p.p., pone all’esercizio
dei poteri di iniziativa della polizia giudiziaria, allo scopo specifico di
arrecare un danno al Lipiani, consistito nel sottoporlo indebitamente ad
indagini e nel fare intendere ai dipendenti comunali da lui interpellati

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giudiziaria, secondo la previsione degli artt. 5 legge 7 marzo 1986, n. 65

che vi erano indagini di natura penale in cui era coinvolto il segretario
comunale, incidendo, dunque, negativamente sulla sua immagine
all’interno dell’ufficio comunale.
Risultano, pertanto, integrati, nel caso in esame, sia l’elemento
soggettivo del delitto di cui all’art. 323, c.p., che, come è noto, richiede
il dolo intenzionale (cfr; ex plurimis, Cass., sez. VI, 27/06/2007, n.
35814), sia l’evento del danno ingiusto altrui, dovendosi ritenere tale,

dalla migliore dottrina, quello prodotto da ogni comportamento,
espressione della volontà prevaricatrice del pubblico funzionario, che
determini un’aggressione ingiusta alla sfera della personalità, per come
tutelata dai principi costituzionali, compromettendo beni di natura
morale, come, ad esempio, il prestigio ed il decoro di cui la persona
offesa dal reato gode presso i colleghi di lavoro (cfr. Cass., Sez. VI,
15.1.2004, n. 4945, rv. 227281; Cass., sez. V, 9.2.1999, n. 3684, rv.
213317)
4.3. Inammissibile, infine, deve ritenersi il terzo motivo di ricorso, in
quanto con esso si deducono censure che si risolvono in una mera
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
impugnata, sulla base di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità tali da evidenziare
la sussistenza di ragionevoli dubbi, ricostruzione e valutazione, quindi,in
quanto tali precluse in sede di giudizio di Cassazione (cfr. Cass., sez. I,
16.11.2006, n. 42369, De Vita, rv. 235507; Cass., sez. VI, 3.10.2006,
n. 36546, Bruzzese, rv. 235510; Cass., sez. III, 27.9.2006, n. 37006,
Piras, rv. 235508).
A ciò aggiungasi non solo che le dichiarazioni della teste Forte, su cui si
fonda il suddetto motivo di ricorso, non sono state allegate in violazione
del principio della cd. autosufficienza del ricorso stesso, ma anche che il
contenuto della sua deposizione ha formato oggetto di specifica ed
approfondita valutazione da parte dei giudici di merito, che ne hanno
evidenziato l’irrilevanza ai fini dello scardinamento dell’ipotesi

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come affermato dalla uniforme giurisprudenza del Supremo Collegio e

accusatoria (cfr. pp. 16-17 della sentenza di primo grado; pp. 8
sentenza di appello).
5. Sulla base delle svolte considerazioni la sentenza impugnata va,
pertanto, annullata senza rinvio agli effetti penali, mentre il ricorso
dell’Omodeo va rigettato ai soli effetti civili.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, senza rinvio, agli effetti penali, perché i

reati sono estinti per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili.

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