Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3201 del 19/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3201 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da KHAZZAR Khalid, n. in Marocco 1’08.08.1980,
rappresentato e assistito dall’avv. Alberto Tucci avverso la sentenza
n. 354/2009 della Corte d’Appello di Salerno in data 11.01.2013;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Antonio
Gialanella, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato
inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Salerno, in riforma
della sentenza emessa dal Tribunale di Nocera Inferiore il

Data Udienza: 19/12/2013

16.05.2008, dichiarava non doversi procedere a carico di KHAZZAR
Khalid in relazione al reato di cui all’art. 171-ter, comma 1 lett. c) e
comma 2 lett. a) I. n. 633/1941 (capo B) per essere il medesimo
estinto per prescrizione e rideterminava la pena in relazione al reato
di cui all’art. 648 cod. pen. (capo A) in anni uno e mesi quattro di
reclusione ed euro 2.000,00 di multa, revocando le pene accessorie
inflitte in primo grado e confermando nel resto la pronuncia

impugnata.
2. Ricorre per cassazione KHAZZAR Khalid, cittadino di nazionalità
marocchina, deducendo inosservanza ed erronea applicazione della
legge penale ed inosservanza delle norme processuali stabilite a
pena di nullità.
In particolare, nell’atto di gravame, il deducente lamenta come i
giudici di merito abbiano omesso di nominare un interprete per la
traduzione dei singoli atti onde consentirgli di comprendere i termini
dell’accusa e potersi conseguentemente difendere. Invero, la
circostanza della sua mancata comprensione della lingua italiana non
era stata oggetto di specifica attività da parte dell’autorità
giudiziaria: da qui la richiesta di annullamento della sentenza
impugnata con rinvio al giudice competente per i provvedimenti
conseguenti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile.
4. Sul profilo oggetto dell’odierna doglianza, rileva il Collegio come la
Corte d’Appello di Salerno, rigettando l’eccezione di nullità sollevata
solo con riferimento all’omessa traduzione in lingua araba dell’avviso
di conclusione delle indagini e del decreto di citazione in giudizio,
avesse riconosciuto come non risultava che l’imputato ignorasse la
lingua italiana e, in ogni caso, come la dedotta nullità – a regime
intermedio – si fosse comunque sanata a seguito della mancata
deduzione nel giudizio di primo grado.
5. Le conclusioni del giudice di seconde cure sono ampiamente
condivisibili.
Afferma la giurisprudenza della Suprema Corte come il
riconoscimento del diritto all’assistenza dell’interprete e dell’obbligo

2

della

traduzione

degli

atti

processuali

non

discende

automaticamente, come atto dovuto ed imprescindibile, dal mero
“status” di straniero o apolide, ma richiede l’ulteriore presupposto, in
capo a quest’ultimo, dell’accertata ignoranza della lingua italiana
(Cass., Sez. un., n. 25932 del 29/05/2008-dep. 26/06/2008, Ivanov,
rv. 239693; Cass., Sez. 2, n. 40660 del 09/10/2012-dep.
17/10/2012, Haymad, rv. 253841).

Nella fattispecie, non solo non è dimostrato che il KHAZZAR non
conoscesse la lingua italiana ma, al contrario, vi sono elementi che
consentano di ritenere che lo stesso la conoscesse e la parlasse
correntemente avendo il medesimo reso, in merito ai fatti, anche
“ammissioni”, come sostenuto dall’appellante e riconosciuto dai
giudici d’appello (pag. 1 della parte motivazionale): dichiarazioni
che, rese in assenza di interprete e comprese dal destinatario delle
propalazioni, non poterono che essere rese in lingua italiana.
6. In ogni caso va rilevato come la nullità derivante dalla violazione
dell’art. 143 cod. proc. pen. è a regime intermedio (Cass., Sez. un.,
n. 5052 del 24/09/2003-dep. 09/02/2004, Zalagaitis, rv. 226717,
che ha superato le precedenti incertezze, risalenti alla sent. Cass.,
Sez. 6, n. 293 del 14/01/1994) e, nella specie, deve ritenersi sanata
a norma dell’art. 183, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., in
conseguenza dell’acquiescenza prestata dall’imputato, che non l’ha
dedotta nel giudizio di primo grado (cfr., Cass., Sez. 1, n. 26783 del
17/06/2009-dep. 01/07/2009, P.M. in proc. Beddal, rv. 244734;
Cass., Sez. 4, n. 7664 del 24/11/2005-dep. 03/03/2006, Ferrante,
rv. 233415).
7. Consegue pertanto l’inammissibilità del ricorso e, per il disposto
dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore
della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di
colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro
1.000,00

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e del versamento della somma di euro 1.000,00

3

alla Cassa delle ammende.

Così deliberato in Roma il 19.12.2013

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