Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31991 del 09/04/2014


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 31991 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: BIANCHI LUISA

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sul ricorso proposto da:
PETROSINO CIRO N. IL 18/08/1971
avverso la sentenza n. 4930/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
04/12/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUISA BIANCHI;

Data Udienza: 09/04/2014

17594/2013

1.11 Tribunale di Napoli dichiarava Petrosino Ciro colpevole
del reato di
detenzione a fini di spaccio di eroina e cocaina e di quello di inottemperanza al
provvedimento di rimpatrio, fatti accertati il 23.2.2011, e, previo riconoscimento
dell’ attenuante del fatto di lieve entità quanto alla detenzione di stupefacenti
equivalente alla contestata recidiva reiterata, lo condannava alla pena di 6 anni e 18
giorni di reclusione oltre la multa.
La corte di appello con sentenza del 4.12.2012 ha confermato la sentenza
ritenendo tra l’altro che il tipo di recidiva fosse ostativa per legge alla sollecitata
dall’imputato valutazione di prevalenza dell’attenuante di cui all’art. 73, comma
quinto, dPR 309/90.
2.Ricorre per cassazione l’ imputato invocando l’applicazione della sentenza n.
251 del 15 novembre 2012 della Corte costituzionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.La sentenza deve essere annullata con rinvio ai fini della valutazione da parte
del giudice di merito non solo della sentenza della Corte costituzionale 251/2012
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 21.11.2012, e dunque precedentemente alla
sentenza di appello, ma anche delle modifiche normative conseguenti a pronunce
della Corte costituzionale e a interventi del legislatore recentemente intervenuti prima
della decisione.
2. Con sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, per quanto qui
rileva, è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’ art. 4 bis della legge 21
febbraio 2006 n.49, entrata in vigore il 28.2.2006, nella cui vigenza sono stati
commessi i contestati reati;
agli stessi, a seguito
di tale dichiarazione di
incostituzionalità e come dalla Corte costituzionale espressamente affermato, trova
applicazione l’art. 73 del d.P.R 309/90 e relative tabelle
nella formulazione
precedente le modifiche apportate con le disposizioni ritenute incostituzionali, con il
ripristino del differente trattamento sanzionatorio dei reati concernenti le droghe
leggere e le droghe pesanti anche agli effetti dell’ipotesi attenuata di cui al quinto
comma.
3. Nella materia è altresì intervenuto il d.l. 23 dicembre 2013 n.146 convertito,
con modificazioni, in I. 21 febbraio 2014 n.10, il cui art. 2 ha introdotto nel testo del
d.P.R 309/90 un nuovo quinto comma che ha ridefinito i contorni della fattispecie in
esame nel senso che la medesima costituisce titolo autonomo di reato e non
circostanza aggravante come in precedenza ritenuto. La sentenza della Corte
costituzionale non ha inciso su tale disposizione; la stessa Corte Costituzionale ha
definito i limiti oggettivi del proprio intervento in relazione al d.l. 46/2013 convertito
in 1.10/2014, affermando che “trattandosi di ius superveniens che riguarda
disposizioni non applicabili nel giudizio a quo” lo stesso non poteva esplicare alcuna
incidenza sulle questioni oggetto del giudizio della Corte relative a disposizioni diverse
da quelle oggetto di modifica normativa e che “gli effetti del presente giudizio di
legittimità costituzionale non riguardano in alcun modo la modifica disposta con il
decreto legge n. 146 del 2013, ….., in quanto stabilita con disposizione successiva a
quella qui censurata e indipendente da quest’ultima”.
Pertanto il co. 5 dell’art. 73, relativo ai fatti di lieve entità, quale risultante
dall’intervento del legislatore intervenuto con il d.l. 146/2013, convertito con modif.
1

RITENUTO IN FATTO

4. La radicale modifica del quadro normativo di riferimento così intervenuta
richiede, tenendo presente che l’intervento della Corte costituzionale che qui viene in
rilievo ha riguardato non già le norme incriminatrici ma il trattamento sanzionatorio
applicabile, la valutazione delle situazioni giudicate ed oggetto di ricorso davanti a
questa Corte alla luce del principio di eguaglianza (art. 3 Costituzione) e di quelli
relativi alla successione di leggi nel tempo dettati dagli artt. 2, co.4, codice penale e
7, par. 1, Convenzione europea sui diritti dell’Uomo, occorrendo in particolare
adeguarsi alla interpretazione della Corte EDU del predetto art. 7, par. 1, della citata
Convenzione europea, secondo cui l’imputato ha diritto di beneficiare della legge
penale successiva alla commissione del reato, che prevede una sanzione meno severa
di quella stabilita in precedenza, fino a che non sia intervenuta sentenza passata in
giudicato (sentenza CEDU Scoppola C/Italia; Corte cost. n.210/2013).
5. Ritiene il Collegio che alla applicazione della nuova normativa nei processi in
corso, in quanto più favorevole, non sia di ostacolo la inammissibilità del ricorso: si
tratta di questione che deve essere rilevata di ufficio ex art.609 cod.proc.pen., non
potendosi considerare preclusiva la formazione del giudicato in senso sostanziale (nel
senso da ultimo espresso da Sez. U n.24246 del 2004), atteso che l’intervento
normativo è successivo alla data di proposizione del presente ricorso e pertanto
certamente non era possibile tenere conto di esso nella formulazione dei motivi
proposti.
6. Per effetto del principio della applicazione della legge più favorevole come
riconosciuto dalla Cedu, è necessario che quando la legge del tempo in cui è stato
commesso il reato prevede un trattamento più gravoso, quanto a definizione del reato
e previsione delle relative pene, rispetto a quello introdotto da una norma successiva,
sia applicato quest’ultimo, con il limite del giudicato. Nella individuazione della legge
più favorevole si deve considerare la disposizione in concreto complessivamente più
favorevole, senza potersi mai combinare parti di disposizioni diverse perché ciò
porterebbe ad applicare un “tertium genus” non consentito e cioè una normativa non
prevista dal legislatore. Nella materia che occupa è necessario inoltre tenere conto,
laddove venga in rilevo la qualificazione del fatto in termini di lieve entità, che la
valutazione della legge più favorevole dipende dall’esito del giudizio di bilanciamento
operato nel singolo caso sotto il vigore della precedente legge, attesi i rilevanti effetti
che ne derivano sul piano non solo sanzionatorio.
7.Da quanto sopra detto deriva che per i reati commessi dopo il 28.2.2006
(data di entrata in vigore della n.49/2006 c.d. legge Fini-Giovanardi) e prima d el
24.12.2013 (data di entrata in vigore dell’art. 2 del d.l. 23 dicembre 2013 n.14
convertito, con modificazioni, in I. 21 febbraio 2014 n.10) dovrà essere applicata:
2

in I. 10/2014, non è stato travolto dalla predetta sentenza n.31/2014, ponendosi lo
stesso in rapporto di continuità normativa con la reviviscente legge del 1990 che già
puniva i fatti di lieve entità cui si riferisce il nuovo intervento, sia pure con un diverso
trattamento sanzionatorio; in tal senso si è espressa diffusamente la IV sezione di
questa Corte con la sentenza n.397/2014 le cui osservazioni devono intendersi qui
interamente richiamate.
Ciò non toglie che nel regime intertemporale, con riferimento ai fatti
commessi dopo l’entrata in vigore della legge dichiarata incostituzionale (28.2.2006)
ma prima dell’entrata in vigore del nuovo decreto legge (24.12.2013), debba trovare
applicazione la norma più favorevole tra quella vigente all’epoca del commesso
reato, tenuto conto della sentenza di incostituzionalità n.32/2014, e quella
attualmente vigente per effetto del predetto decreto legge.

8. Venendo alla situazione in esame, fermo restando che ai sensi dell’art. 624
cod.proc.pen., il capo concernente la penale responsabilità è divenuto irrevocabile,
ritiene il Collegio che la sentenza debba essere annullata relativamente alla
determinazione del trattamento sanzionatorio che dovrà essere dal giudice
rideterminato tenendo conto della nuova configurazione giuridica del reato, quale
autonomo titolo di reato, e della pena massima per lo stesso prevista di cinque anni.

p.q.nn.
annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio per
effetto della sentenza della Corte Costituzionale n.32/2014. Rinvia sul punto alla Corte
di appello di Napoli. Rigetta nel resto. Visto l’art. 624 cod.proc.pen. dichiara
l’irrevocabilità della sentenza in ordine alla affermazione di responsabilità.

Così deciso in Roma il 9.4.2014

nel caso di reati concernenti le droghe pesanti, la norma dichiarata
1)
incostituzionale (ossia l’art. 73 co. 1, nella formulazione della legge del 2006,
c.d. Fini-Giovanardi) in quanto la stessa prevede una pena (da 6 a 20 anni)
inferiore nel minimo a quella (da 8 a 20 anni) della precedente legge del 1990,
c.d. Iervolino -Vassalli ed è pertanto più favorevole per l’imputato;
nel caso di reati concernenti le droghe leggere, la legge Iervolino2)
Vassalli in quanto la pena per tali ipotesi previste (da 2 a 6 anni) è inferiore a
quella (da 6 a 20 anni) prevista dalla legge Fini-Giovanardi del 2006; occorre
sottolineare che con riguardo a tale ipotesi quello che era il precedente
massimo edittale è divenuto ora il minimo e che la modifica comporta la
applicazione di un diverso e più breve termine di prescrizione del reato;
nel caso dell’ipotesi attenuata relativa a droghe pesanti, in ogni
3)
caso (qualunque sia stato l’esito del giudizio di comparazione della circostanza
attenuante speciale) il nuovo decreto legge, che prevede una pena da 1 a 5
anni, più favorevole di quella sia della Fini-Giovanardi (da 1 a 6 anni) che della
Iervolino-Vassalli (da 1 a 6 anni); la creazione di un autonomo titolo di reato
comporta altresì la applicazione del termine di prescrizione del reato rapportato
al massimo della pena prevista di sei anni, prorogabili a sette anni e mezzo.
4)
nel caso dell’ipotesi attenuata relativa a droghe leggere, ove la
circostanza attenuante speciale sia stata ritenuta prevalente, la legge Iervolino
– Vassalli che stabilisce la pena da 6 mesi a 4 anni più favorevole sia di quella
della Fini – Giovanardi (da 1 a 6 anni) che del nuovo decreto legge (da 1 a 5
anni); ove la medesima circostanza attenuante speciale sia stata ritenuta
equivalente o sub valente, il nuovo decreto legge n.146/2013.

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