Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3198 del 18/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 3198 Anno 2016
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LIPARULO ACHILLE N. IL 05/10/1965
avverso l’ordinanza n. 1786/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
11/06/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 18/11/2015

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa in data 11 giugno 2014 la Corte di Appello di Napoli
Meggy2a, deliberando in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva per carenza
dei requisiti di legge l’istanza proposta da Achille Liparulo, volta ad ottenere
l’unificazione per continuazione dei reati indicati nella domanda.
2.Avverso l’indicata ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione

di motivazione dal momento che l’arco temporale durante il quale viene perpetrato
l’omicidio tentato aggravato dall’art. 7 L. n. 203/91 ed il delitto associativo sono
coincidenti e il primo delitto era stato programmato quale azione a vantaggio del
clan camorristico Mazzarella e per assicurargli il controllo del mercato degli
stupefacenti nell’area di influenza. La motivazione dell’ordinanza non ha analizzato
gli atti di supporto e quanto risultante dalle sentenze di condanna, ma si è limitata
a mere formule di stile.

Considerato in diritto

L’impugnazione è inammissibile perché basata su motivi manifestamente
infondati.
1.L’ordinanza impugnata ha analizzato le vicende fattuali, oggetto di
accertamento nelle due pronunce di condanna, evidenziando che il Liparulo era
stato risultato intraneo ad associazione a delinquere finalizzata al traffico di
stupefacenti, e che, per la distanza temporale e l’assoluta eterogeneità delle
violazioni, non sussisteva prova del fatto che sin da quell’epoca egli avesse già
deciso e programmato l’agguato omicidiario in danno del D’Alpino, realizzato poi il
nel 2003. In tal modo ha preso in esame gli elementi dedotti dall’istante, che ha
però ritenuto insufficienti ad offrire convincente dimostrazione dei presupposti
applicativi della continuazione, il tutto con argomentazioni succinte, ma logiche ed
immuni da vizi.
2. Ebbene, nel ragionamento valutativo esposto nell’ordinanza impugnata
non è dato ravvisare i vizi logici denunciati, né la violazione del parametro
normativo di riferimento.
2.1 Invero, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, qualora uno
dei reati da unificare per continuazione sia un reato associativo, devono negarsi
soluzioni aprioristicamente negative, basate sulla struttura della fattispecie astratta,
così come, all’opposto, vanno respinte presunzioni legate alla permanenza del
vincolo partecipativo ed alla generica indeterminatezza del programma criminoso.
La questione della configurabilità della continuazione non “va impostato in ermini

1

l’interessato a mezzo del difensore, chiedendone l’annullamento per difetto assoluto

di compatibilità strutturale, in quanto nulla si oppone a che, sin dall’inizio, nel
programma criminoso dell’associazione, si concepiscano uno o più reati-fine
individuati nelle loro linee essenziali, di guisa che tra questi reati e quello
associativo si possa ravvisare una identità di disegno criminoso. Ne consegue che la
questione si risolve in una “quaestio facti” la cui soluzione e’ rimessa di volta in
volta all’apprezzamento del giudice di merito” (Cass. sez. 1, ord. n. 12639 del
28/3/2006, rv. 234100, Adamo; sez. 5, n. 23370 del 14/5/2008, rv. 240489,

3650). Si è altresì correttamente affermato al riguardo: “In tema di associazione
mafiosa, ovvero di associazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74, non può
sostenersi che la commissione di reati fine rientri nel generico programma della
“societas sceleris”, nè che i medesimi siano consumati “per eseguire” il delitto
associativo, dal momento che tale reato, in entrambe le forme innanzi richiamate,
ha natura permanente ed è, di regola, preesistente rispetto ai fatti delittuosi
ulteriori; questi ultimi, a loro volta, pur essendo certamente episodi non inconsueti
nel panorama di attività criminosa della struttura delinquenziale, non rappresentano
la finalità per la quale l’associazione è stata costituita” (Cass., sez. 1, n. 8451 del
21/1/2009, rv. 243199, Vitale).
2.2 Né al riguardo può assumere rilievo l’avvenuta commissione di fatti
criminosi da parte del partecipe al sodalizio criminoso nel periodo di appartenenza
allo stesso e nemmeno che quel tipo di attività delinquenziale rientri astrattamente
nelle finalità per le quali è stata costituita l’associazione: al contrario, l’identità del
disegno criminoso non può ravvisarsi nei casi in cui, ad esempio, un omicidio, un
fatto estorsivo, di usura, lo spaccio di droga, ancorchè appartenenti alle tipologie di
illecito cui usualmente si dedichino gli associati, siano stati commessi per eventi
imprevedibili, per effetto di impulsi subitanei o di esigenze estemporanee, ossia in
situazioni concrete nelle quali le azioni siano sollecitate da spinte motivazionali
insuscettibili di una preventiva ideazione e deliberazione nemmeno nelle linee
essenziali al momento dell’adesione all’organizzazione (Cass. sez. 1, n. 13609 del
22/3/2011, rv. 249930, Bosti; sez. 1, n. 13611 del 22/3/2011, rv. 249931,
Aversano; sez. 6, n. 2960 del 27/9/1999, rv. 214555, Ingarao; sez. 1, n. 3834 del
15/11/2000, rv. 218397, Barresi).
3. Per contro, il ricorso non soltanto ripropone le tematiche fattuali già
esaminate e disattese dal giudice dell’esecuzione con congruo corredo esplicativo.
Per le considerazioni svolte il ricorso va dichiarato inammissibile con la
conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, in
relazione ai profili di colpa insiti nella presentazione di siffatta impugnazione, al
versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si reputa equo
determinare in euro 1.000,00.
2

Pagliara; sez. 1, 6.12.2005 nr. 44606; 14/05/1997 nr. 1474; 14.10.1997 nr.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle
Ammende.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2015.

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