Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31920 del 14/07/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 31920 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARZOLA GIANNI N. IL 07/02/1958
avverso la sentenza n. 24/2014 TRIBUNALE di FERRARA, del
16/12/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/07/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
Udito il Procuratore Qe erale in persona del Dott. Vi
che ha concluso per cA/
`-ift0e LL

Udito, per la parte civile, l ‘Avv
Udit i difensor Avv.,,

Data Udienza: 14/07/2015

Ritenuto in fatto

MARZOLA Gianni ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, parzialmente
riformando in melius quella di primo grado resa dal Giudice di pace [gli è stato concesso
il beneficio della sospensione condizionale della pena], ha confermato per il resto il
giudizio di colpevolezza per il reato di cui all’articolo 590 c.p. contestatogli [lesioni
personali colpose in danno di FERRARO Gabriel, commesse alla guida della propria
autovettura, in violazione della normativa generica e specifica sulla circolazione

Con il primo motivo di ricorso sollecita l’applicazione del nuovo istituto della “particolare
tenuità del fatto” ex articolo 131 bis c.p., introdotto con il decreto legislativo 16 marzo
2015 n. 28.

Con il secondo motivo, si duole della mancata applicazione della causa di estinzione del
reato di cui all’articolo 35 del decreto legislativo n.274 del 2000, motivata dal giudicante
evidenziando che il versamento alla persona offesa, da parte della compagnia di
assicurazione, di una somma di denaro [euro 4925, cui doveva aggiungersi l’ulteriore
somma di euro 5000 versata all’INAIL], non era satisfattiva del risarcimento del danno
non patrimoniale e del danno patrimoniale emergente [sul punto, si valorizzavano dal
giudicante non solo le spese mediche documentate dalla persona offesa, ma anche la
menomazione dell’integrità psico-fisica riconosciuta dall’INAIL]. In definitiva, secondo il
giudice i le somme versate non potevano ritenersi sufficienti a risarcire integralmente la
lesione dell’integrità fisica, la sofferenza morale patita, le limitazioni allo svolgimento
delle proprie relazioni sociali.

Con il terzo motivo si duole del trattamento sanzionatorio. L’imputato era stato
condannato alla pena di 600 euro di multa [pena confermata in appello], ma si sostiene
che tale pena sarebbe illegale, dovendosi considerare come contestata l’ipotesi del
comma 1 dell’articolo 590 c.p. [trattavasi di lesioni colpose non gravi, con prognosi di
giorni venti, come da capo di imputazione] per la quale è prevista la pena alternativa
dell’arresto fino tre mesi o della multa fino a 309 euro.

Con l’ultimo motivo ci si duole del fatto che solo l’imputato sia stato condannato al
pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, e ciò in violazione del
disposto dell’articolo 541 c.p.p., laddove è prevista la condanna in solido dell’imputato e
del responsabile civile.

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stradale].

La parte civile, con una memoria, contrasta le ragioni del ricorrente, sollecitando il non
accoglimento del ricorso

Considerato in diritto

Il primo motivo di doglianza non può trovare accoglimento.

In effetti, non è dubbio che, nell’assenza di una disciplina transitoria, la declaratoria di
c.p., introdotto con il

decreto legislativo n. 28 del 2015) è applicabile anche ai procedimenti in corso al
momento della sua entrata in vigore e, quindi, anche a quelli pendenti in Cassazione. In
tale evenienza, come è noto, la Corte di legittimità, deve in primo luogo verificare
l’astratta applicabilità dell’istituto, avendo riguardo ai limiti edittali di pena del reato. In
secondo luogo, la Corte deve verificare la ricorrenza congiunta della particolare tenuità
dell’offesa e della non abitualità del reato.

Nell’effettuare questo secondo apprezzamento, il giudice di legittimità

non potrà che

basarsi su quanto emerso nel corso del giudizio di merito, tenendo conto, in modo
particolare, dell’eventuale presenza, nella motivazione del provvedimento impugnato, di
giudizi già espressi che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuità del fatto (cfr.
Sezione III, 14 maggio 2015, Ferretti, e, in precedenza, Sezione III, 8 aprile 2015,
Mazza rotto].

Qui peraltro l’istituto de quo è inapplicabile discutendosi di un reato di competenza del
giudice di pace e, nel procedimento per reati di competenza del giudice di pace, trova
[rectius , avrebbe potuto trovare] applicazione il diverso istituto di cui all’articolo 34 del
decreto legislativo n. 274 del 2000, ma non certo quello della “particolare tenuità del
fatto”, applicabile solo nel procedimento penale davanti al giudice ordinario.

L’ articolo 131 bis c.p., introdotto con il decreto legislativo n. 28 del 2015, come è noto,
configura la possibilità di definire il procedimento con la declaratoria di non punibilità per
particolare tenuità del fatto relativamente ai reati per i quali è prevista la pena detentiva
non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla
pena detentiva.

Può convenirsi che 1″istituto della “esclusione della punibilità per particolare tenuità del
fatto” rappresenta l’ estensione al processo ordinario dell’istituto,

tipico del

procedimento penale davanti al giudice di pace, della particolare tenuità del fatto, quale

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non punibilità per particolare tenuità del fatto (articolo 131 bis

causa di improcedibilità disciplinata dalli articolo 34 del decreto legislativo 28 agosto
2000 n. 274.

Ma trattasi di istituti diversi, disciplinati in maniera non coincidente.

Nel processo davanti al giudice di pace, come è noto, viene attribuito al giudice il
potere-dovere di chiudere il procedimento, sia prima che dopo l’esercizio dell’azione
penale, quando il fatto incriminato risulti di particolare tenuità, rispetto all’interesse

penale. L’apprezzamento della particolare tenuità deve essere operato avendo riguardo
“congiuntamente” all’ esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato per l’interesse
tutelato dalla norma, all’ “occasionalità” della condotta incriminata ed al grado della
colpevolezza, dovendosi comunque considerare la posizione della persona sottoposta ad
indagini o dell’imputato, sotto il profilo del possibile pregiudizio che dall’ulteriore corso del
procedimento gliene può derivare, con specifico riguardo alle sue esigenze di lavoro, di
studio, di famiglia o di salute.

Si tratta di istituto, come detto, diverso e non coordinato con quello di cui all’articolo 131
bis c.p.

Del resto, ciò è stato frutto di una scelta del legislatore, risultando dalla Relazione di
accompagnamento al decreto legislativo n. 28 del 2015 che non sono state accolte le
sollecitazioni in tal senso della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati sul
rilievo che l’invocata attività di coordinamento sarebbe stata estranea alle indicazioni
della legge delega.

Non è quindi necessario soffermare l’attenzione sulle differenze di disciplina più
significative [che riguardano, in primo luogo, la differente valenza della “occasionalità”
della condotta, considerata dall’articolo 34 cit., rispetto alla “non abitualità” del
comportamento di cui all’articolo 131 bis

c.p.; e, in secondo luogo, il diverso ruolo di

interlocuzione attribuito alle parti, laddove, in particolare, nel procedimento ex articolo
34 cit., dopo l’esercizio dell’azione penale, l’ opposizione della persona offesa (e/o
dell’imputato) impedisce di pronunciare la sentenza di non doversi procedere, mentre
l’istituto previsto dall’articolo 131

bis

c.p., invece, non prevede alcun vincolo

procedurale conseguente al dissenso delle parti; salvo che nella particolare ipotesi di cui
all’articolo 469 c.p.p., dove l’opposizione del pubblico ministero o dell’imputato (ma non
della persona offesa, che va solo sentita, se compare) impedisce che il processo possa
essere definito in sede predibattimentale].

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tutelato, e tale per l’effetto da non giustificare l’esercizio o la prosecuzione dell’azione

E’ sufficiente osservare che la disciplina dell’articolo 131 bis c.p. siccome espressamente
prevista per il procedimento ordinario è inapplicabile per i reati di cognizione del giudice
di pace.

Nessuna indicazione normativa conforta diversa soluzione.

Per converso, vale osserva che l’irrilevanza del fatto ex

articolo 34 può dover essere

applicata anche dal giudice ordinario, giacchè tale disposizione si applica non solo

di cui all’articolo 63 del decreto legislativo n. 274 del 2000 (cfr. Sezione IV, 10 marzo
2006, Crosio).

Neppure il secondo motivo può trovare accoglimento, a fronte di una decisione in cui il
giudice di merito, nei termini suesposti, ha esplicitato adeguata motivazione.

Va ricordato, infatti, che la declaratoria di estinzione del reato conseguente alle condotte
riparatorie di cui all’articolo 35 del decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274 presuppone
la positiva valutazione del giudice di merito non solo in ordine alla congruità
dell’intervenuto risarcimento del danno, ma anche, come imposto dal comma 2 dello
stesso articolo 35, sull’idoneità delle attività risarcitorie e riparatorie a soddisfare “le
esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione”: tale ultima valutazione va
ovviamente rapportata alle caratteristiche del caso esaminato, nel senso che la natura del
reato può richiedere effettivamente un dippiù rispetto al risarcimento che per altri reati
invece non è richiesto (Sezione IV, 24 settembre 2008, Proc. gen. App. Genova in proc.
Barlocco).

Il giudice ha rispettato tale principio e non può certo qui provvedersi ad una rinnovata
valutazione su tali presupposti che implicherebbe una disamina dei danni subiti dalla
persona offesa e della congruità della somma versata dall’assicurazione a risarcirli, anche
nell’ottica delle suindicate esigenze di riprovazione del reato e di prevenzione.

Inaccoglibile è altresì il motivo sulla determinazione della sanzione, dovendosi osservare
che quella applicata non è certo illegale alla luce del disposto dell’articolo 52, comma 2,
lettera a), del decreto legislativo n. 274 del 2000. Mentre la concreta determinazione di
tale sanzione [che il giudice, giusta la richiamata disposizione, poteva applicare nella
misura compresa tra euro 258 e euro 2582] non può essere censurata in sede di
legittimità, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, esercitato
conformemente in primo e secondo grado, con adeguata spiegazione del relativo

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davanti al giudice di pace, ma anche davanti al giudice diverso da quello di pace nei casi

esercizio [il giudice di secondo grado ha richiamato la specifica violazione cautelare
commessa, le lesioni cagionate alla persona offesa, un precedente specifico].

Piuttosto, va osservato che il giudice di secondo grado ha erroneamente concesso il
beneficio della sospensione condizionale della pena, in contrasto con il disposto
dell’articolo 60 del decreto legislativo n. 274 del 2000. Tale beneficio in assenza di
impugnazione del pubblico ministero non può essere qui revocato.

civile al pagamento delle spese in favore della parte civile.

E’ statuizione carente e in contrasto con il disposto dell’articolo 541, comma 1, c.p.p.,
ma a tale omissione può sopperire direttamente questa Corte, integrando il dispositivo
della sentenza, in quanto trattasi di statuizione che consegue di diritto dalla anzidetta
disposizione e che non implica apprezzamenti di merito.

PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla omessa condanna solidale
del responsabile civile ( Unipol-SAI) al pagamento delle spese in favore della parte civile;
condanna solidale che dispone.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in data 14 luglio 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Fondata la doglianza, invece, relativa alla mancata condanna in solido del responsabile

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