Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3192 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3192 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
1) BARONE LUMAGA Sergio, nato a Napoli il 6.9.1963;
2) DE MARIA Pasquale, nato a Napoli il 4.7.1962;
3) MARTINELLI Angelo, nato a Napoli il 18.7.1962;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna del 13.11.2012;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Alfredo Viola, che
ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
Uditi, gli imputati, gli Avv.ti Salvatore Impradice e Gaetano Inserra, che
hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 4.5.2007, il Tribunale di Parma dichiarò Barone
Lumaga Sergio, Martinelli Angelo e De Maria Pasquale responsabili (in
concorso con altri complici, giudicati separatamente) dei reati di rapina
aggravata (consumata il 28.1.2000 nella sede di Parma della ditta di
spedizioni TNT) nonché detenzione e porto illegale di n. 3 pistole, unificati

Data Udienza: 05/12/2013

sotto il vincolo della continuazione, e li condannò alla pena di anni sette
di reclusione ed C 2000,00 di multa ciascuno.
Avverso tale pronunzia gli imputati proposero gravame, ma la Corte
di Appello di Bologna, con sentenza del 13.11.2012, confermò la
decisione di primo grado.
Ricorrono per cassazione i difensori degli imputati deducendo:
Per Barone Lumaga Sergio:

alla ritenuta responsabilità del ricorrente, nonché la violazione degli artt.
192 e 530 cod. pen., con riferimento all’attribuzione all’uso dell’imputato
di una delle utenze telefoniche oggetto di accertamento e registrate nella
cella che copriva l’area in cui era avvenuta la rapina, alla
sopravvalutazione dei pernottamenti alberghieri intrattenuti dall’imputato
assieme all’asserito complice Capano (poi deceduto) presso strutture
ricettive prossime al luogo del delitto nella notte precedente la rapina,
alla mancata definizione del segmento di condotta attribuibile
all’imputato; deduce ancora il difensore la mancata motivazione da parte
della Corte di Appello in ordine al motivo di gravame che prospettava la
possibilità che le armi usate dai rapinatori fossero armi giocattolo;
2) la mancanza e illogicità della motivazione della sentenza in ordine
alla ritenuta sussistenza dell’aggravante – contestata ai sensi dell’art.
628, comma 3 n. 2 cod. pen. – “di aver posto le vittime e, in particolare,
Catania Salvatore in stato di incapacità di agire”;
3) la mancanza e illogicità della motivazione della sentenza in ordine
alla mancata concessione delle attenuanti generiche, nonché in ordine
alla mancata riduzione della pena inflitta dal primo giudice.
Per De Maria Pasquale:
1) la mancanza e illogicità della motivazione della sentenza in ordine
alla ritenuta responsabilità del ricorrente, nonché la violazione degli artt.
192 e 530 cod. pen., con riferimento all’attribuzione all’uso dell’imputato
di una delle utenze telefoniche oggetto di accertamento e registrate nella
cella che copriva l’area in cui è avvenuta la rapina, alla sopravvalutazione
dei pernottamenti alberghieri intrattenuti dall’imputato con la compagna
Cavallaro Immacolata presso strutture ricettive prossime al luogo del
delitto nella notte precedente la rapina, alla mancata definizione del

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1) la mancanza e illogicità della motivazione della sentenza in ordine

segmento di condotta attribuibile all’imputato; deduce ancora il difensore
la mancata motivazione da parte della Corte di Appello in ordine al
motivo di gravame che prospettava la possibilità che le armi usate dai
rapinatori fossero armi giocattolo;
2) la mancanza e illogicità della motivazione della sentenza in ordine
alla ritenuta sussistenza dell’aggravante – contestata ai sensi dell’art.
628, comma 3 n. 2 cod. pen. – “di aver posto le vittime e, in particolare,

3) la mancanza e illogicità della motivazione della sentenza in ordine
alla mancata concessione delle attenuanti generiche, nonché in ordine
alla mancata riduzione della pena inflitta dal primo giudice.
Per Martinelli Angelo:
1) la inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, con
riferimento alla mancata partecipazione dell’imputato, già contumace nel
giudizio di primo grado, al giudizio di appello, nel quale veniva parimenti
dichiarato contumace nonostante che – nel frattempo – lo stesso fosse
stato ristretto nella Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere per
altra causa, non avendo la Corte di Appello emesso ordine di traduzione
del detenuto né essendo pervenuta la sua rinuncia a comparire
all’udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Vanno esaminati unitariamente i motivi di ricorso proposti
nell’interesse di Barone Lumaga Sergio e di De Maria Pasquale, essendo i
medesimi perfettamente sovrapponibili.
Con le varie censure i ricorrenti criticano la valutazione delle prove
compiuta dai giudici di merito, sia con riferimento alla ritenuta
sussistenza della responsabilità degli imputati in ordine alla rapina de
qua, sia in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art.
628, comma 3 n. 2, cod. pen., sia – infine – in ordine al mancato
riconoscimento delle attenuanti invocate e alla quantificazione della pena.
I ricorrenti ripercorrono l’esame della prove compiuto dai giudici di
merito e propongono una lettura alternativa delle risultanze probatorie,
tale da scagionare i loro assistiti in ordine alla partecipazione alla rapina.
È evidente che tali censure sono inammissibili, perché la valutazione
delle prove è riservata in via esclusiva, all’apprezzamento del giudice di

Catania Salvatore in stato di incapacità di agire”;

merito e non è sindacabile in cassazione; a meno che ricorra una
mancanza o una manifesta illogicità della motivazione, ciò che – nel caso
di specie – deve però escludersi.
E invero come hanno statuito più volte le Sezioni Unite di questa
Corte «L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione
ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di
cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a

della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza
delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per
sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni
processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve
essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu ocull”,
dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le
ragioni del convincimento» (Cass., sez. un., n. 24 del 24.11.1999 Rv
214794; Sez. un., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074).
I giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di argomenti, le ragioni
della loro decisione; non si ritiene, peraltro – per ovvi motivi – di
riportare qui integralmente tutte le suddette argomentazioni, sembrando
sufficiente al Collegio far rilevare che le stesse non sono manifestamente
illogiche; e che, anzi, l’estensore della sentenza impugnata si è
puntualmente attenuto ad un coerente, ordinato e conseguente modo di
disporre i fatti, le idee e le nozioni necessari a giustificare la decisione
della Corte di Appello, che resiste perciò alle censure dai ricorrenti.
Piuttosto, sono le censure mosse con i ricorsi in esame che non
prendono compiutamente in esame le argomentazioni svolte dai giudici di
merito nel provvedimento impugnato, risultando così generiche e, anche
sotto tale profilo, inammissibili, limitandosi a proporre a questa Corte una
ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella dei giudici di merito.
A tale proposito, va ricordato come compito della Corte di cassazione
non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti

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riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti

contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine
di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai
giudici del merito (cfr. Cass, sez. 1, n. 7113 del 06/06/1997 Rv. 208241;
Sez. 2, n. 3438 del 11/6/1998 Rv 210938), dovendo invece la Corte di
legittimità limitarsi a controllare che se costoro hanno dato conto delle
ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso

mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come
dianzi detto, nel caso di specie è dato ricontrare.
2. Anche il ricorso proposto nell’interesse di Martinelli Angelo è
inammissibile, risultando palesemente infondato.
Secondo il ricorrente, la impugnata sentenza della Corte di Appello
sarebbe nulla perché l’imputato, già contumace nel giudizio di primo
grado, non ha partecipato al giudizio di appello, dove è stato parimenti
dichiarato contumace nonostante che, nel frattempo, lo stesso fosse stato
ristretto nella Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere per altra
causa, non avendo la Corte di Appello emesso ordine di traduzione del
detenuto né essendo pervenuta la sua rinuncia a comparire all’udienza.
Il ricorrente, però, non ha tenuto conto dei principi di diritto dettati
da questa Corte suprema secondo cui «L’imputato già citato in giudizio in
stato di libertà e successivamente detenuto per altra causa versa in stato
di legittimo impedimento solo se tale nuova condizione sia
tempestivamente comunicata, di guisa che solo nel caso in cui la
detenzione sopravvenga a ridosso immediato dell’udienza si può
ammettere che la relativa comunicazione avvenga in udienza anche
attraverso il difensore, purché risulti circostanziata ed esprima la volontà
dell’imputato di essere presente al dibattimento» (Cass., Sez. 4, n. 14416
del 01/02/2012 Rv. 253301; Sez. 4, n. 3078 del 09/12/1997 Rv.
210177); conseguentemente, «Nel giudizio di appello, è correttamente
dichiarata la contumacia dell’imputato, detenuto per altra causa e del
quale non sia stata disposta la traduzione in aula, nel caso in cui la
notifica sia stata regolarmente effettuata presso la sua residenza, quando
lo stato di detenzione non sia conosciuto dal giudice» (Cass., Sez. 4, n.

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manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia

46001 del 29/09/2003 Rv. 227704; Sez. 6, n. 5989 del 10/03/1997 Rv.
209322).
Dall’esame degli atti si può rilevare che, nel corso della prima udienza
dinanzi alla Corte di Appello di Bologna (14 ottobre 2011) il difensore del
Martinelli, non solo non ha comunicato l’impedimento del suo assistito,
ma nulla ha opposto alla richiesta del Procuratore Generale di dichiarare
la contumacia dell’imputato, cosicché la declaratoria di contumacia è

udienze del 24 aprile e del 13 novembre 2012, il difensore del Martinelli
nulla ha comunicato alla Corte circa lo stato di detenzione del suo
assistito, né ha chiesto la revoca della dichiarata contumacia.
In queste condizioni, applicando alla presente fattispecie i principi di
diritto sopra richiamati, deve concludersi che la Corte di appello – non
avendo conoscenza dell’impedimento dell’imputato – non poteva non
dichiararne la contumacia; essendo tale dichiarazione preclusa solo se il
giudice procedente è a conoscenza dell’impedimento (legittimo)
dell’imputato.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, le parti private che lo hanno proposto
devono essere condannate al pagamento delle spese del procedimento,
nonché ciascuno – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle
ammende della somma di euro mille, così equitativamente fissata in
ragione dei motivi dedotti.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno al versamento della somma di euro mille
alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda
Sezione Penale, il 5 dicembre 2013.

stata pronunciata nel silenzio del difensore. Anche nelle successive

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