Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31916 del 09/07/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 31916 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA presso il tribunale di Roma, avverso
l’ordinanza del 23/04/2015 del Tribunale del Riesame di Roma
pronunciata nei confronti di SAMBRUNI GIAN LUIGI nato il 26/03/1967;
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Oscar Cedrangolo che
ha concluso per l’inammissibilità;
udito il difensore avv.to Paolo Barone che ha concluso associandosi alla
richiesta del Procuratore Generale;
FATTO e DIRITTO
1. Con ordinanza del 23/04/2015, il Tribunale del Riesame di
Roma annullava l’ordinanza con la quale, in data 23/03/2015, il giudice
per le indagini preliminari del tribunale di Tivoli, aveva applicato a
SAMBRUNI Gian Luigi la misura della custodia cautelare in carcere
perché indagato, in concorso con altri, del reato di rapina aggravata.

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Data Udienza: 09/07/2015

Il Tribunale riteneva, infatti, che a carico del suddetto indagato,
non sussistessero i gravi indizi di colpevolezza adducendo la seguente
testuale motivazione:

«In vero, a carico del SAMBRUNI vi è,

unicamente, il riconoscimento fotografico da parte di Fagioli Lanfranco
effettuato il 12.3.2015, non assumendo rilevanza – se non quali

sull’assunta intenzione dell’indagato di commettere una rapina in una
banca o la sua presenza a Fonte Nuova tenuto conto, per quest’ultimo
elemento, che Io stesso risiede in quel comune. Riconoscimento che,
tuttavia, non può ritenersi sufficiente essendo contraddetto dalla
mancata ricognizione da parte del figlio del Fagioli, Davide, che non ha
riconosciuto la foto dell’Indagato come avente ad oggetto una delle
persone che hanno partecipato alla rapina, pur avendo avuto – come
evidenziato dallo stesso Gip – al pari del padre, occasione di poter
guardare per un tempo apprezzabile gli autori e fissarne il ricordo. Il
tutto con riferimento ad una valutazione, sull’insufficienza di questa
contraddittoria ricognizione, che questo Tribunale ha già effettuato per il
PEL USO (con annullamento della misura disposta con ordinanza ex art.
309 c.p.p. del 17.4.2015 n. 1089/2015 Rg Trib. Libertà). Si aggiunge
che anche la descrizione che il Fagioli Lanfranco ha fatto – subito dopo la
rapina e prima di procedere alla prima ricognizione (solo parzialmente
positiva per l’odierno indagato) – di quel rapinatore non appare
consentire una individuazione certa del SAMBR UNI, tenuto conto che la
persona offesa ha indicato che si trattava di una persona anziana:
definizione che non è propria al SANBRUNI che ha 48 anni – che porta in
modo adeguato – da parte di una persona che ha 60 anni (e che indi non
può valutare come anziana una persona di 48 anni)»

2. Avverso la suddetta ordinanza, il Pubblico Ministero ha proposto
ricorso per cassazione deducendo l’omessa motivazione su una serie di
indizi presi in esame dal giudice per le indagini preliminari nell’ordinanza
applicativa della misura cautelare, ossia:
a) l’omessa valutazione dei tabulati telefonici, i quali avevano

«confermato che il telefono del Sambruni ha agganciato la cella situata

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elementi di mero sospetto – le notizie da fonti informative riservate

nei pressi della Marco polo s.r.l._proprio al momento di consumazione
della rapina” (pag. 11 dell’ordinanza di applicazione della misura e pag.
8 dell’informativa di PG. depositata il 17.03.2015): secondo il ricorrente,
quindi, «tale attività d’indagine ha permesso di constatare non già la
generica presenza del Sambruni a Fonte Nuova, suo luogo di residenza,

al momento di consumazione della stessa»;
b)

l’omessa valutazione delle informazioni rese da Ceccarini

Andrea, figlio della convivente di Fagioli Lanfranco [ndr: parte offesa
della rapina], il quale, aveva riconosciuto il Sambruni come il soggetto
che, in occasione di un incontro al bar con Morgavi Cristiano, aveva
dichiarato di essersi stancato di “calarsi il passamontagna”. In
particolare tale dichiarazione del Sambruni avrebbe dovuto essere
ricollegata alla frequentazione dell’indagato col

Morgavì, che

recentemente aveva chiesto al Ceccarini di procurargli “una divisa da
guardia giurata”, senza fornire alcuna valida giustificazione (verbale di
sommarie informazioni del 14.03.2015. pag. 9 dell’ordinanza di
applicazione della misura, pag. 7 dell’informativa del 17.03.2015): sul
punto va osservato che la rapina t.fu perpetrata da rapinatori travisati da
appartenenti alla Guardia di Finanza;
c) l’omessa valutazione del servizio di osservazione posto in essere
nei confronti del Sambruni, il cui svolgimento aveva permesso di
evidenziare, tra l’altro, che lo stesso, il giorno 03.03.02015 (ossia il
giorno prima della rapina), stazionava proprio nei pressi della sede della
Marco Polo, luogo in cui il 04.03.2015 era stato perpetrato il reato
oggetto del presente procedimento (cfr. pag. 5 e 6 dell’ordinanza di
applicazione della misura e pag. 5 dell’informativa di P.G. del
17.03.2015);
d) infine, il Tribunale nel ritenere inattendibile il riconoscimento
effettuato “senza ombra di dubbio” da Fagioli Lanfranco in quanto
sarebbe stato contraddetto dalla mancata ricognizione da parte del figlio
Fagioli Davide, non avrebbe «tenuto conto che il tempo di osservazione,
da parte delle due persone offese, non è stato lo stesso. Infatti, dal
verbale di sommarie informazioni di Fagioli Davide si evince che lo

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ma la presenza dello stesso proprio in prossimità del luogo della rapina

stesso è stato subito portato dai rapinatori in un’altra stanza, dove è
rimasto in contatto solo con Franciosa e non anche con gli altri autori del
reato contestato. E’ dunque perfettamente plausibile che il Sambruni sia
stato riconosciuto unicamente da Fagioli Lanfranco e non anche da

3. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito indicate.

4. In punto di fatto, va, innanzitutto, osservato che il giudice per
le indagini preliminari aveva applicato la misura della custodia cautelare
in carcere sulla base di un compendio probatorio molto ricco, avendo
valorizzato tutti quegli indizi evidenziati dal Pubblico Ministero nel
presente ricorso.
Al contrario, il tribunale, nell’ordinanza impugnata, ha fatto leva
solo sul riconoscimento effettuato da Fagioli Lanfranco in termini di
certezza, sminuendolo sulla base dell’incerto riconoscimento effettuato
da Fagioli Davide: il Tribunale, invece, non ha ritenuto di spendere una
sola parola sui restanti indizi evidenziati e valorizzati dal giudice per le
indagini preliminari.

5. In punto di diritto, com’è ben noto, è controversa la natura
giuridica del riesame e cioè se il medesimo sia o no annoverabile fra i
mezzi di impugnazione.
In dottrina, prevale la tesi secondo la quale il riesame è un mezzo
di impugnazione, mentre altra parte minoritaria ritiene che si tratti di
uno strumento atipico diretto all’attivazione del contraddittorio – a
seguito dell’applicazione della misura cautelare – o, comunque, di
un’impugnazione sui generis.
Le SSUU, con la sentenza n° 26/1995 riv 202015, in motivazione,
hanno accolto la tesi secondo la quale il riesame è un mezzo di
impugnazione, avendo affermato che «il legislatore, inserendo il riesame
– al pari dell’appello e del ricorso per cassazione avverso le ordinanze in
tema di misure cautelari – nel capo VI del libro IV del nuovo codicie di
rito intitolato “Delle impugnazioni”, gli ha espressamente conferito […]

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Fagioli Davide».

la natura di mezzo di impugnazione, ancorchè la disciplina di tale
rimedio presenti indubbi profili di atipicità, per quanto concerne la
brevità dei termini, la semplificazione del procedimento, la non
necessaria formulazione dei motivi, la deroga del principio devolutivo ed
infine la perdita di efficacia della misura se la pronuncia non intervenga
in un termine perentorio».

riesame, consente di introdurre il principio della cd. motivazione
rafforzata secondo il quale, in tema di motivazione della sentenza, il
giudice di appello sia che riformi la decisione di condanna di primo
grado, (Cass. 7630/2004 Rv. 231136; Cass 46742/2013 Rv. 257332;
Cass. 1253/2013 Rv. 258005) sia che riformi una decisione assolutoria
(Cass. 35762/2008 Rv. 241169; Cass. 42033/2008 Rv. 242330; Cass.
22120/2009 Rv. 243946; Cass. 50643/2014 riv 261327), ha l’obbligo di
delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento
probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della
motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della
relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del
provvedimento impugnato (SSUU 33748/2005 Rv. 231679). Si è, infatti,
osservato che, in tali fattispecie, la motivazione della sentenza di
appello si caratterizza per un obbligo peculiare e “rafforzato” di tenuta
logico-argomentativa, che si aggiunge a quello generale della non
apparenza, non manifesta illogicità e non contraddittorietà (art. 606/1
lett. e c.p.p.), dovendo il giudice di appello non solo indicare l’iter logico
argomentativo posto a sostegno del proprio alternativo ragionamento
probatorio, ma anche di confutare specificamente i più rilevanti
argomenti contenuti nella motivazione della prima sentenza, dando
conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, non
potendosi limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio
probatorio perché ritenuta preferibile a quella del primo giudice.
Ora, pur a voler ritenere e far proprie le perplessità evidenziate
dalla dottrina (e dalla stessa sentenza delle SSUU cit.) in ordine alla
circostanza che il giudizio di riesame non è del tutto sovrapponibile al
giudizio di appello, resta, però, un dato giuridico inconfutabile: il giudizio

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Questa breve premessa sulla natura giuridica del giudizio di

di riesame ha la finalità di controllo e valutazione del provvedimento del
giudice per le indagini preliminari, che può o confermare o annullare
totalmente o parzialmente, sortendo, quindi, il tipico effetto dei
provvedimenti emanati dal giudice dell’impugnazione.
Questo dato processuale consente, pertanto, di ritenere applicabile

rafforzata.
Infatti, se è vero che il giudice di appello (e, quindi, a fortiori, il
giudice del riesame) non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli
elementi risultanti dalla sentenza di primo grado e, quindi, di non essere
obbligato a ripercorrere pedissequamente la motivazione di primo
grado, è anche vero, però, che, ove il giudice di appello intenda andare
in contrario avviso alla decisione di primo grado, ha l’obbligo di indicare
le ragioni per cui ritiene che, nelle linee portanti, la motivazione della
sentenza di primo grado non è convincente.
Stesso principio, quindi, non può che essere applicato anche al
giudizio di riesame, non essendo ammissibile che, come nella presente
fattispecie, il giudice del riesame – a fronte di un compendio probatorio
formato da numerosi indizi sulla base dei quali il giudice per le indagini
preliminari aveva ritenuto di applicare la misura della custodia cautelare
in carcere – ne isoli solo uno (nella specie, il riconoscimento effettuato
da Fagioli Lanfranco) e ne ritenga l’inattendibilità sulla base di altro
incerto riconoscimento (quello di Fagioli Davide) senza neppure porsi il
problema, correttamente stigmatizzato dal Pubblico Ministero ricorrente,
del motivo per cui il riconoscimento di Fagioli Lanfranco fu effettuato in
termini di certezza, al contrario di quello del Fagioli Davide.
Il Tribunale del Riesame, inoltre, non ha fatto corretta applicazione
neppure del principio di diritto secondo il quale il procedimento logico di
valutazione degli indizi si articola in due distinti momenti.
Il primo è diretto ad accertare il maggiore o minore livello di
gravità e di precisione degli indizi, ciascuno considerato isolatamente,
tenendo presente che tale livello è direttamente proporzionale alla forza
di necessità logica con la quale gli elementi indizianti conducono al fatto
da dimostrare ed è inversamente proporzionale alla molteplicità di

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anche al giudizio di riesame, mutatis mutandis, la cd. motivazione

accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di
esperienza.
Il secondo momento del giudizio indiziario è costituito dall’esame
globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità, posto
che “nella valutazione complessiva ciascun indizio (notoriamente) si

ognuno risulta superato sicché l’incidenza positiva probatoria viene
esaltata nella composizione unitaria, e l’insieme può assumere il
pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale può affermarsi
conseguita la prova logica del fatto … che – giova ricordare – non
costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o
storica) quando sia conseguita con la rigorosità metolodogica che
giustifica e sostanzia il principio del c.d. libero convincimento del
giudice” (Cass., Sez. Un. 4 febbraio 1992, n. 6682, rv. 191231).
Le linee dei paradigmi valutativi della prova indiziaria sono state
ribadite dalle Sezioni Unite che hanno evidenziato che il metodo di
lettura unitaria e complessiva dell’intero compendio probatorio non si
esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non può, perciò,
prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni
prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza
qualitativa, tendente a porre in luce i collegamenti e la confluenza in un
medesimo contesto dimostrativo (Cass. Sez. Un. 12 luglio 2005, n.
33748, rv. 231678).

4. In conclusione, i vizi di legittimità rilevabili nel provvedimento
impugnato sono i seguenti:
a) il tribunale ha omesso di motivare su tutti gli indizi evidenziati
dal giudice per le indagini preliminari;
b) il tribunale ha, illegittimamente, frazionato l’intero compendio
probatorio, isolando solo uno degli indizi (riconoscimento da parte di
Fagioli Lanfranco) confutandolo sulla base dell’incerto riconoscimento
effettuato da Fagioli Davide, senza verificare le ragioni per cui l’uno era
stato espresso in termini di certezza e l’altro in termini dubitativi.

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somma e, di più, si integra con gli altri, talché il limite della valenza di

Di conseguenza, l’ordinanza va annullata con rinvio e nel nuovo
esame, il tribunale provvederà a colmare la suddetta lacuna
motivazionale alla stregua del seguente principio di diritto: «In tema di
motivazione dell’ordinanza pronunciata all’esito del giudizio di riesame, il
Tribunale che annulli l’ordinanza di custodia cautelare in carcere

deve, sulla base di uno sviluppo argomentativo che si confronti con le
ragioni addotte a sostegno dell’ordinanza impugnata, metterne in luce le
carenze o le aporie, che ne giustificano l’integrale riforma, prendendo in
considerazione tutti gli indizi ritenuti dal giudice per le indagini
preliminari aventi valenza accusatoria.
Nel procedere alla valutazione degli indizi evidenziati dal giudice
per le indagini preliminari, il Tribunale deve basarsi sul metodo di lettura
unitaria e complessiva dell’intero compendio probatorio che non si
esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non può, perciò,
prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni
prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza
qualitativa, tendente a porre in luce i collegamenti e la confluenza in un
medesimo contesto dimostrativo».
P.Q.M.
ANNULLA
l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame, con integrale
trasmissione degli atti, al Tribunale di Roma (sezione per il riesame delle
misure coercitive)
Roma 09/07/2015
IL PRESIDENTE
Franco Fiandanese)

applicata dal giudice per le indagini preliminari nei confronti dell’istante,

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