Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31904 del 09/07/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 31904 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
RAFFA GIANFRANCO nato il 06/02/1979, avverso la sentenza del
10/12/2014 della Corte di Appello di Milano;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Oscar Cedrangolo che
ha concluso per l’inammissibilità;
udito il difensore avv.to Paolo Carrino che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;
FATTO
1. Con sentenza del 10/12/2014, la Corte di Appello di Milano
confermava la sentenza con la quale, in data 16/03/2010, il giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Monza aveva ritenuto RAFFA
Gianfranco colpevole del delitto di cui all’art. 55 dlgs 231/2007.

Data Udienza: 09/07/2015

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio
difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti
motivi:
2.1.

VIOLAZIONE DELL’ART.

192

COD. PROC. PEN.:

la difesa sostiene che

non vi sia prova alcuna che il Raffa si sia reso responsabile del delitto

che sua era la casella postale utilizzata per effettuare gli acquisti con la
carta di credito intestata all’Accardo: infatti, la suddetta affermazione si
poneva «in aperta e macroscopica contraddizione con le risultanze
probatorie che hanno sin dall’origine cristallizzato il dato della
impossibilità di addivenire ad una identificazione del creatore della
casella»;
2.2.

VIOLAZIONE DELL’ART.

99/4

COD. PEN.:

la difesa ha sostenuto che

la Corte territoriale, nel confermare il trattamento sanzionatorio irrogato
dal primo giudice, aveva, erroneamente affermato, che il medesimo era
dovuto al fatto che il giudice dell’udienza preliminare aveva già concesso
le attenuanti generiche. Poiché ciò non era vero, la motivazione era di
conseguenza contraddittoria ed illogica.
DIRITTO
1. VIOLAZIONE DELL’ART.

192

COD. PROC. PEN.: la

doglianza, nei termini

in cui è stata dedotta, è manifestamente infondata.
La questione dedotta dal ricorrente, infatti, è stata oggetto di
ampio dibattito in entrambi i giudizi di merito, ma, entrambi i giudici,
hanno disatteso la tesi difensiva alla stregua di puntuali elementi
probatori: si legga, in proposito la sentenza di primo grado dove è
scritto che l’utente che aveva disposto il pagamento di C 200,00 aveva
utilizzato l’utenza cellulare risultata intestata all’imputato: affermazione
questa mai smentita o confutata dall’imputato neppure con l’atto di
appello.
La censura, quindi, riproposta con il presente ricorso, va ritenuta
null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di
legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già

2

addebitatogli e che non era affatto vero, come sostenuto dalla Corte,

ampiamente presi in esame da entrambi i giudici di merito i quali, con
motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati
elementi probatori, hanno puntualmente disatteso la tesi difensiva.
Pertanto, non avendo il ricorrente evidenziato incongruità, carenze
o contraddittorietà motivazionali, la censura, essendo incentrata tutta su

mero merito, va dichiarata inammissibile.
Sul punto, va, infatti, rilevato che, in sede di legittimità, non è
possibile dedurre come motivo il “travisamento del fatto”, giacchè è
preclusa la possibilità per il giudice di legittimità di sovrapporre la
propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei
precedenti gradi di merito: ex plurimis Cass. 4675/2006 Rv. 235656.
E’, invece ammissibile il travisamento della prova, ma, nell’ipotesi
di una cd. doppia conforme (come nel caso di specie) il vizio di
travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo
nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che
l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima
volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del
provvedimento di secondo grado, nel senso che il giudice del gravame
abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice. Infatti,
in considerazione del limite del

devolutum

(che impedisce che si

recuperino, in sede di legittimità, elementi fattuali che comportino la
rivisitazione dell’iter costruttivo del fatto, salvo il caso in cui il giudice
d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia
richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice:
Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636;
Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n.
4060 del 12/12/2013 – 29/01/2014, Capuzzi, Rv. 258438) il sindacato
di legittimità, deve limitarsi alla mera constatazione dell’eventuale
travisamento della prova, che consiste nell’utilizzazione di una prova
inesistente o nell’utilizzazione di un risultato di prova
incontrovertibilmente diverso, nella sua oggettività, da quello effettivo.

3

una nuova ed alternativa rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di

Poiché, nel caso di specie, il ricorrente fa discendere la diversa
configurazione giuridica da una diversa ricostruzione dei fatti, la censura
dev’essere dichiarata inammissibile per manifesta infondatezza.

2.

VIOLAZIONE DELL’ART.

99/4

COD. PEN.:

la censura è manifestamente

Infatti, il motivo con il quale il ricorrente aveva chiesto una
riduzione della pena, previa concessione delle attenuanti generiche, è
stato rigettato dalla Corte la quale ha osservato che: a) il primo giudice
aveva irrogato il minimo edittale; b) il trattamento sanzionatorio era
congruo, in quanto non vi era un solo elemento che consentisse
un’ulteriore riduzione; c) un’ulteriore riduzione, sarebbe stata possibile
solo con il riconoscimento delle attenuanti generiche o specifiche «nella
specie non concedibili in assenza dei relativi presupposti fattuali»,
peraltro «in re ipsa concesse in fatto col tacere di una recidiva
decisamente significativa ai fini qui d’interesse»:

non si comprende,

quindi, in cosa sarebbe consistita la contraddittorietà della motivazione,
posto che la Corte ha chiaramente affermato che il primo giudice non
aveva concesso le attenuanti generiche, che tale decisione era
condivisibile anche se, di fatto, poi, era stato benevolo nel non
considerare la consistente recidiva.

3. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a
norma dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa
declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che,
ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in C 1.000,00.

P.Q.M.
DICHIARA
inammissibile il ricorso e
CONDANNA

/

4

infondata.

il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €
1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Roma 09/07/2015
IL PRESIDENTE

(Dott. G. Rago

. Franco Fiandanese)
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IL CONSIGLIERE r5 .

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