Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31901 del 09/07/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 31901 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
PRIOLO ROSARIO ALESSANDRO nato il 03/11/1967, avverso la
sentenza del 28/01/2014 della Corte di Appello di Palermo;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Oscar Cedrangolo che
ha concluso per l’annullamento senza rinvio per prescrizione;
udito il difensore avv.to Ivo Ferrara che ha concluso per l’accoglimento
del ricorso
FATTO
1. Con sentenza del 28/01/2014, la Corte di Appello di Palermo
confermava la sentenza pronunciata in data 26/04/2012 dal giudice
monocratico del tribunale di Termini Imerese, nella parte in cui aveva
ritenuto PRIOLO Rosario Alessandro, colpevole del reato di truffa
aggravata in danno di Quartara Vito, riducendo il risarcimento del danno
ad € 60.000,00.

1

Data Udienza: 09/07/2015

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio
difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti
motivi:
2.1. VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 192 COD. PROC. PEN. – 640 COD. PEN.:

malgoverno delle risultanze istruttorie e delle regole di diritto che ad
esse si applicano, sia perché non avrebbero vagliato l’attendibilità delle
dichiarazioni rese dalla parte offesa che si era costituita anche parte
civile, sia perché non avevano considerato le modalità con le quali il
contratto era stato liberamente stipulato fra le parti, tant’è che la parte
offesa non si era mai lamentata delle irregolarità poi riscontrate: dal che
discendeva anche la buona fede del ricorrente e, quindi, l’assenza di
artifizi e raggiri. In altri termini, l’imputato, secondo le pattuizioni
intervenute con il Quartara, aveva provveduto ad investire il denaro da
costui ricevuto, in operazioni finanziare delle quali conosceva il rischio.
2.2. VIOLAZIONE DELL’ART. 62 BIS-69 COD. PEN. per non avere la Corte
concesso le attenuanti generiche prevalenti, con motivazione apparente;
2.3. VIOLAZIONE DELL’ART. 538 COD. PROC. PEN. per avere la Corte, pur
ridimensionando il danno liquidato, condannato l’imputato ad una
somma (€ 60.000,00) esagerata non suffragata da alcun elemento.
DIRITTO
1. VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 192 COD. PROC. PEN. – 640 COD. PEN.: la

doglianza, nei termini in cui è stata dedotta, è manifestamente
infondata.
La questione, invero, è stato oggetto di ampio dibattito in
entrambi i giudizi di merito, ma, entrambi i giudici di merito, hanno
ritenuto le dichiarazioni della parte civile ampiamente attendibili anche
perché riscontrate dalle dichiarazioni testimoniali dell’avv.to Filippo
Polizzi.
Ecco cosa scrive in proposito la Corte territoriale e come conclude
in merito alla sussistenza degli artifizi e raggiri:

«Il professionista ha

ricordato di avere convocato, come primo passo prima di un’azione

2

sostiene la difesa che entrambi i giudici di merito avrebbero fatto

giudiziaria, il Priolo nel proprio studio al fine di una composizione
bonaria della vertenza. Ebbene, secondo le indiscutibilmente credibili
parole del predetto legale (trascrizioni ff. 4 e 6) Priolo non disse mai di
non dovere alcunché (non contestò il debito, E 9), adducendo ad
esempio l’alea delle operazioni in borsa e la conseguente assenza di

chiude ogni esitazione — di avere operato con fondi del mandante, di
dovergli 60.000,00 euro circa (sull’importo della somma il ricordo del
professionista è chiaro e consente di superare tutte le ricostruzioni
unilaterali di dare e avere operate in gravame) e di non disporre dei
soldi, tanto da essersi limitato, nel riconoscere il debito, a chiedere un
piano di rientro ed una dilazione di due mesi per iniziare a pagare, poi
mai osservati in alcun modo. Si tratta di una prova evidente, che
smentisce tutte le indicazioni di gravame, della piena attendibilità della
ricostruzione della parte civile e, conseguentemente, della piena
integrazione, come già riconosciuto in primo grado, della contestata
truffa. Priolo presentato al Quartara come capace operatore di borsa
abile a far fruttare i cospicui fondi della ingenua parte offesa, accettava
un incarico (solo orale) di operare in borsa addirittura su suoi conti
correnti, non forniva alcuna indicazione, non rendicontava alcunché,
prometteva continuamente nuovi guadagni incrementando la cupidigia
della propria vittima. Artificiosamente carpiva in questo modo la buona
fede del Quartara fino a farsi dare oltre 50.000,00 euro mai più restituiti
– con dilazioni ottenute consegnando assegni protestati o titoli carta
straccia o millantando viaggi verso ignoti finanziatori in Ucraina nonostante, alla fine, il riconoscimento del debito fatto solennemente
avanti un legale. Si tratta esattamente di una truffa classica ed in piena
regola».
Si tratta di motivazione congrua, adeguata e del tutto coerente
con gli evidenziati elementi fattuali, sicchè la censura, da considerare
una mera e tralaticia riproposizione della medesima tesi difensiva
disattesa in entrambi i giudizi di merito, dev’essere ritenuta
inammissibile in quanto, surrettiziamente tesa ad ottenere una nuova
rivalutazione del merito.

3

debiti in capo a sè stesso verso il Quaranta, ma riconobbe — e questo

2. VIOLAZIONE DELL’ART.

62

BIS COD. PEN.:

anche

la

suddetta censura

va ritenuta manifestamente infondata in quanto la motivazione addotta
dalla Corte territoriale [gravità dell’episodio sintomatico di una certa
pericolosità; grave danno provocato alla parte offesa] deve ritenersi

essendo stato correttamente esercitato il potere discrezionale spettante
al giudice di merito in ordine al trattamento sanzionatorio ed al diniego
delle attenuanti generiche.

3.

VIOLAZIONE DELL’ART.

538

COD. PROC. PEN. :

incensurabile deve,

infine, ritenersi anche la liquidazione del danno tenuto conto che esso è
comprensivo del danno materiale (C 57.000,00) e del danno morale (C
3.000,00).

4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a
norma dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa
declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che,
ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in C 1.000,00.
La declaratoria di inammissibilità preclude la rilevabilità della
prescrizione in applicazione del principio di diritto secondo il quale
«l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta
infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto
d’impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e
dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc.
pen.»: ex plurimis SSUU 22/11/2000, De Luca, Riv 217266 – Cass.
4/10/2007, Impero; Sez. un., 2 marzo 2005, n. 23428, Bracale, rv.
231164, e Sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601, Niccoli, rv. 239400).

P.Q.M.
DICHIARA

4

congrua e logica e, quindi, non censurabile in questa sede di legittimità,

inammissibile il ricorso e
CONDANNA
il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C
1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Roma 09/07/2015
( ott. Franco Fiandanese)
IL CONSIGLIER
(Dott. G. Rag

IL PRESIDENTE

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