Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3190 del 18/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 3190 Anno 2016
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GR1GATTI EMANUELE N. IL 20/02/1980
avverso l’ordinanza n. 203/2014 GIP TRIBUNALE di PADOVA, del
09/02/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 18/11/2015

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa in data 9 febbraio 2015 il G.I.P. del Tribunale di Padova,
pronunciando quale giudice dell’esecuzione, respingeva l’istanza, proposta dal
condannato Emanuele Grigatti, volta ad ottenere la rideterminazione della pena
inflittagli con sentenza del G.U.P. dello stesso Tribunale del 7/6/2012, irrevocabile il

avere illecitamente coltivato oltre cento piante di marijuana.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso l’interessato
personalmente, il quale ne ha chiesto l’annullamento in quanto, a seguito della
sentenza nr. 32/2014 della Corte Costituzionale l’abrogazione del regime
sanzionatorio introdotto dalla legge nr. 49/2006 comporta la revoca ex art. 673
cod. proc. pen. della sentenza di condanna, emessa in base alle pene allora
applicabili previste dalle norme dichiarate incostituzionali e della relativa pena; nel
proprio caso il quantitativo di principio attivo era talmente esiguo da consentire di
ravvisare il fatto di lieve entità, mentre il giudice dell’esecuzione ha respinto la
domanda con osservazioni poco chiare e prive di fondamento.
3. Con memoria pervenuta in data 27 agosto 2015 il ricorrente ha illustrato
ulteriormente i motivi di gravame, osservando che in base alla disciplina
attualmente vigente la pena avrebbe dovuto essere pari ad anni uno, mesi nove,
giorni dieci di reclusione ed euro 8.000,00 di multa, per cui l’interpretazione fatta
propria dal G.I.P. è erronea ed in contrasto con l’art. 3 Cost. e l’art. 133 cod. pen.,
oltre che pregiudizievole per la propria libertà personale. Inoltre, nel rigettare la
domanda non ha giustificato i criteri seguiti nell’uso del potere discrezionale. ha
quindi chiesto l’accoglimento del ricorso e la sospensione dell’esecuzione della pena
che sta espiando.
4. Con ulteriore memoria pervenuta in data 26 ottobre 2015 il ricorrente ha
insistito per l’accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi manifestamente infondati.
1.L’ordinanza impugnata ha ritenuto di respingere l’istanza del ricorrente
perché proposta in riferimento alla pena detentiva, inflittagli per delitti aventi ad
oggetto sostanza stupefacente del tipo marijuana, per i quali, all’esito della
pronuncia di incostituzionalità, resa con la sentenza della Corte Costituzionale nr.
32 del 2014, degli artt. 4- ter e 4-vicies ter della legge nr. 49/2006, è stata
ripristinata la vigenza dell’art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 nel testo anteriore alle
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24/9/2013, per il delitto di cui agli artt. 110 cod. pen., 73 D.P.R. nr. 309/90 per

modifiche apportate con le norme di riscontrata incostituzionalità con la
conseguente applicabilità di un trattamento sanzionatorio più mite rispetto a quello
caducato per i più favorevoli estremi edittali di pena, compresa tra due e sei anni di
reclusione e tra euro 5.164 ed euro 77.468 di multa. Ha quindi ritenuto di dover in
concreto confermare la sanzione già inflitta in sede di cognizione come pena legale
ed adeguata alle caratteristiche oggettive del fatto, alla sua gravità per le
dimensioni della coltivazione, il numero delle piante ed il dato ponderale di principio

riscontrandone la correttezza e la congruità anche in raffronto ai ripristinati estremi
edittali.
1.1 In tal modo il giudice dell’esecuzione ha esternato i criteri di valutazione
applicati al caso, mentre il ricorso oppone soltanto la necessità di revocare l’intera
sentenza di condanna e non soltanto la pena, l’eccessiva severità di tale decisione e
la violazione dei criteri dettati con la sentenza della Consulta, che in realtà risultano
perfettamente rispettati nell’interpretazione e nelle implicazioni chiarite dalle
Sezioni Unite di questa Corte, che con la sentenza n. 42858 del 29/5/2014, Gatto,
rv. 260697, hanno tracciato le linee ermeneutiche fondamentali per la
comprensione della tematica devoluta dal ricorso.
1.2 In particolare, innestandosi su un percorso interpretativo già intrapreso da
precedenti decisioni (Sez. U., n. 18821 del 24/10/2013, Ercolano, rv. 258650; Sez.
U., n. 4687 del 20/12/2005, Catanzaro, rv. 232610), si è affermato che in linea di
principio la formazione del giudicato non rappresenta un ostacolo insormontabile
all’accoglimento di istanze avanzate in sede esecutiva per adeguare il rapporto
esecutivo ai mutamenti intervenuti nel titolo di condanna e nella sanzione inflitta, in
quanto, sebbene la pronuncia irrevocabile mantenga nell’ordinamento processuale il
suo valore a garanzia della certezza e della stabilità delle situazioni giuridiche,
oggetto di accertamento giudiziale e della libertà individuale, non perseguibile per
lo stesso fatto illecito quando sia pronunciata condanna irrevocabile, ciò nonostante
non esplica efficacia assoluta e totalmente preclusiva in ragione della previsione
legislativa di plurimi strumenti che consentono al giudice dell’esecuzione di operare
interventi integrativi o modificativi delle statuizioni già divenute definitive, primo fra
tutti la possibilità di revoca della sentenza di condanna di cui all’art. 673 cod. proc.
pen..
E’ stato quindi affrontato il tema della distinzione ontologica tra declaratoria di
incostituzionalità della norma penale ed ordinario intervento legislativo abrogativo,
giustificato da mutata considerazione delle finalità da perseguire con le disposizioni
penali: nel primo caso la pronuncia di illegittimità costituzionale travolge sin
all’origine la norma scrutinata secondo un fenomeno diverso da quello
dell’abrogazione, che limita l’efficacia della sua applicazione a fatti verificatisi sino
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/

attivo riscontrato. Ha quindi ripercorso i passaggi del calcolo della pena inflitta,

ad un certo limite temporale, potendo dar luogo a successione di leggi nel tempo in
relazione alla diversa regolamentazione della stessa materia introdotta. Pertanto,
nella prima situazione, poichè la norma incostituzionale viene “espunta
dall’ordinamento proprio perché affetta da invalidità originaria” sorge l’obbligo per i
giudici avanti ai quali si invocano le norme dichiarate incostituzionali di non
applicarle, obbligo vincolante anche quando il contrasto con i valori costituzionali sia
riscontrato in disposizione di legge penale sostanziale, diversa da quella

misura, sebbene irrogata a punizione di un fatto di immodificata illiceità penale.
2.Del pari privo di qualsiasi fondamento e affetto da genericità di formulazione
è il motivo che riguarda la qualificazione del fatto come di lieve entità: trattasi di
richiesta il cui accoglimento è precluso dalla formazione del giudicato di condanna
che rende incontrovertibile il giudizio di responsabilità e la pena inflitta, tranne che
per ragioni sopravvenute non sia divenuta illegale ed ineseguibile. Tale situazione
non ricorre quanto alle predette circostanze, non coinvolte dagli effetti della citata
pronuncia d’incostituzionalità, che ha imposto una rinnovata individuazione del
trattamento punitivo soltanto in riferimento alla sanzione da determinare in base ai
differenti limiti stabiliti dall’art. 73 d.p.r. nr. 309/90 nel testo che ha ripreso
vigenza. Come ribadito con la sentenza Cass. S.U., n. 42858 del 29/05/2014, P.M.
in proc. Gatto, rv. 260697, “quando, successivamente alla pronuncia di una
sentenza irrevocabile di condanna, interviene la dichiarazione d’illegittimità
costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla
commisurazione del trattamento sanzionatorio, e quest’ultimo non è stato
interamente eseguito, il giudice dell’esecuzione deve rideterminare la pena in
favore del condannato pur se il provvedimento “correttivo” da adottare non è a
contenuto predeterminato, potendo egli avvalersi di penetranti poteri di
accertamento e di valutazione, fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di
cognizione in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali”.
Per le considerazioni svolte il ricorso va dichiarato inammissibile con la
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in
ragione dei profili di colpa insiti nella proposizione di siffatta impugnazione, al
versamento di una somma alla Cassa delle Ammende, che si reputa equo
determinare in euro 1.000,00.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma, il 18 novembre 2015.

incriminatrice perché incidente soltanto sulla pena, così divenuta illegale nella sua

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