Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31898 del 07/07/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 31898 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
CAVADINI AMBROGIO nato il 16/04/1960, avverso la sentenza del
08/05/2014, della Corte di Appello di Milano;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Sante Spinaci che ha
concluso per l’inammissibilità;
udito il difensore avv.to Raffaella De Vico, in sostituzione dell’avv.to
Massimo Bevere, per la parte civile B.N.L. che ha concluso per il rigetto
del ricorso
FATTO
1. Con sentenza in data 08/05/2014, la Corte di Appello di Milano
confermava la sentenza pronunciata in data 16/09/2008 dal giudice
dell’udienza preliminare del tribunale di Busto Arsizio nella parte in cui
aveva ritenuto CAVADINI Ambrogio colpevole dei reati di truffa
aggravata commessi successivamente al 08/06/2006 (capo sub S
dell’imputazione) e di associazione per delinquere di cui al capo sub T.

Data Udienza: 07/07/2015

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio
difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti
motivi:
2.1.

VIOLAZIONE DELL’ART.

63/2

COD. PROC. PEN.:

il ricorrente, dopo

sostenuto che le prove a suo carico erano costituite dalle dichiarazioni
accusatorie di soggetti che, sebbene erano stati sentiti come persone
informate sui fatti, in realtà, avrebbero dovuto essere sentiti con le
garanzie difensive in quanto gli inquirenti sapevano benissimo che essi
erano concorrenti nei reati di truffa. In ogni caso, poiché nel corso delle
sommarie informazioni erano emersi indizi a loro carico, l’atto andava
interrotto: il che non fu fatto. Da qui l’inutilizzabilità patologica delle
suddette dichiarazioni valevole anche nel rito abbreviato;
2.2.

VIOLAZIONE DELL’ART.

416

COD. PEN.:

il ricorrente contesta: a) la

sussistenza dell’elemento materiale del reato (pag. 7 del ricorso) in
quanto non era stato «documentato alcun contatto tra esso ricorrente
ed il sign. Stoico e la sign.ra Dal Col» e, comunque, non vi era alcuna
prova che il ricorrente gestisse l’agenzia immobiliare facente capo al
sign. Alfieri: b) il ruolo di organizzatore attribuitogli nella sentenza (pag.
8 ricorso). Sul punto il ricorrente sostiene che gli elementi evidenziati
dalla Corte non sarebbero sufficienti non essendo emersa nessuna
attività avente ad oggetto la vita dell’associazione e dunque indirizzata
verso la struttura in funzione di ampliarla, mantenerla in efficienza o
renderla maggiormente efficiente;
2.3.

VIOLAZIONE DELL’ART.

164

COD. PEN.

per non avere la Corte

motivato in ordine alla richiesta di concessione della sospensione
condizionale della pena.
DIRITTO
1. VIOLAZIONE DELL’ART.

63/2

COD. PROC. PEN.:

in punto di diritto, in

ordine alla questione dedotta dal ricorrente, va osservato quanto segue.

2

avere premesso di essere stato giudicato con il rito abbreviato, ha

L’art. 63/2 cod. proc. pen. stabilisce l’inutilizzabilità delle
dichiarazioni indizianti anche nei confronti dei terzi, sempre che le
suddette dichiarazioni provengano da soggetto a carico del quale già
sussistevano indizi in ordine al medesimo reato ovvero a reato connesso
o collegato con quello attribuito al terzo, per cui dette dichiarazioni egli

indagato o imputato. Quindi, contrariamente a quanto stabilito dal primo
comma (dove è prevista l’inutilizzabilità relativa e cioè solo contro la
persona che le ha rese), nel secondo comma è stabilita inutilizzabilità
assoluta o erga omnes (ossia oltre che dell’indagato/imputato cui si
riferiscono le dichiarazioni indizianti anche nei confronti di terzi).
Di conseguenza,

a contrario,

restano fuori dal campo di

applicazione dell’intera normativa di cui all’art. 63/2 cod. proc. pen., le
dichiarazioni riguardanti persone, cioè terzi, coinvolte dal dichiarante:
a) in reati diversi;
b) in reati non connessi o non collegati;
c) in reati connessi o collegati con quello o quelli in ordine ai quali
esistevano fin dall’inizio indizi a suo carico;
d) quando il soggetto sia stato avvertito della sua qualità di
indagato o imputato e rilasci dichiarazioni spontanee, le quali, se
assunte senza la presenza del difensore, rientrano nella disciplina di cui
all’art. 350, comma 7, cod. proc. pen. e dunque, pur non essendo
utilizzabili ai fini del giudizio salvo quanto previsto dall’art. 503, comma
3, cod. proc. pen., possono essere utilizzate nella fase delle indagini
preliminari ed apprezzate ai fini della sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza richiesti per l’applicazione di una misura cautelare, anche
nei confronti di terzi: Cass. 2539/2000 riv 216298 – SSUU 1150/2008
riv 241884; Cass. 15437/2010 riv 246837.
Infatti, rispetto alle ipotesi sub a-b-c- il dichiarante si trova in una
posizione di estraneità e assume la veste di testimone; così come
restano escluse dalla sanzione di inutilizzabilità le dichiarazioni
favorevoli al soggetto che le ha rese e a terzi, quali che essi siano.
A tale conclusione (per le ipotesi sub a-b-c), questa Corte, è
pervenuta, sulla base di un’interpretazione sistematica del combinato

3

avrebbe avuto il diritto di non rendere se fosse stato sentito come

disposto degli artt. 63 c.p.p. e 197 c.p.p. sull’incapacità a testimoniare
dell’indagato o imputato di reato connesso o collegato.
Infatti, le SSUU hanno rilevato che «in tanto può intervenire il
regime di inutilizzabilità assoluta di cui all’art. 63 c.p.p., comma 2, in
quanto le dichiarazioni provengano da persona a carico della quale

collegato attribuito al terzo». Sicché – ha aggiunto questa Corte «restano quindi escluse dal divieto, in quanto al di fuori dell’ambito di
applicazione della norma, le dichiarazioni riguardanti persone coinvolte
dal dichiarante in reati diversi, non connessi o non collegati con quello o
quelli in ordine ai quali esistevano indizi a carico del dichiarante». Si ha
allora che l’inutilizzabilità assoluta dell’art. 63 c.p.p., comma 2 – effetto
più radicale rispetto all’inutilizzabilità relativa dell’art. 63 c.p.p., comma
1 – si raccorda necessariamente al regime dell’incapacità a testimoniare
di cui costituisce “un fronte avanzato di tutela” e mira ad “evitare il
pericolo di dichiarazioni, compiacenti o negoziate, a carico di terzi”:
SSUU 1282/1996 riv 206846.
Chiarito questo primo punto, si pose, però, il problema di stabilire
quale fosse il momento in cui una persona assume la qualità di indagata
e/o imputata e, soprattutto, chi fosse legittimato a stabilirlo.
Sul punto sono intervenute nuovamente le SSUU (Cass., sez. un.,
23 aprile 2009 – 10 giugno 2009, n. 23868) che – chiamate a comporre
un diverso contrasto di giurisprudenza (in ordine agli effetti della tardiva
iscrizione nel registro degli indagati di cui all’art. 335 c.p.p.) – hanno
avuto modo di precisare che la sanzione di inutilizzabilità “erga omnes”
delle dichiarazioni assunte senza garanzie difensive da un soggetto che
avrebbe dovuto fin dall’inizio essere sentito in qualità di imputato o
persona soggetta alle indagini (art. 63/2 cod. proc. pen.), postula che a
carico dell’interessato siano già acquisiti, prima dell’escussione, indizi
non equivoci di reità, come tali conosciuti dall’autorità procedente, non
rilevando a tale proposito eventuali sospetti od intuizioni personali
dell’interrogante.
Nella prima ipotesi invece – quella dell’art. 63 c.p.p., comma 1 l’assunzione delle dichiarazioni della persona informata dei fatti inizia in

4

sussistevano indizi in ordine allo stesso reato o a reato connesso o

modo rituale, ma sono le stesse dichiarazioni di quest’ultima che fanno
sorgere un’esigenza di garanzia talché l’autorità giudiziaria o la polizia
giudiziaria deve interrompe l’esame del dichiarante, avvertendolo che a
seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi
confronti e lo invita a nominare un difensore. Tale precisazione si salda

ottobre 1996-13 febbraio 1997, n. 1282, cit.) che, nel distinguere le
ipotesi dei due commi dell’art. 63 c.p.p., avevano affermato che “nella
prima ipotesi l’autorità ignora gli elementi che inducono a ritenere il
soggetto indagato o imputato, venendone a conoscenza solo durante le
dichiarazioni e attraverso il loro contenuto, mentre nella seconda
l’autorità è consapevole di ciò e tuttavia procede all’escussione in qualità
di persona informata e di teste”.
Tanto premesso, va osservato che il suddetto problema – fermo
restando che «ai fini della inutilizzabilità assoluta delle dichiarazioni rese
senza assistenza difensiva dal soggetto che avrebbe dovuto essere
sentito in qualità di persona sottoposta alle indagini, rileva unicamente
la posizione di indagato al momento dell’assunzione delle informazioni,
senza che il giudice possa compiere alcuna valutazione “ex ante” volta
ad escludere la colpevolezza del dichiarante per il reato astrattamente
ipotizzabile a suo carico»: Sez. 3, Sentenza n. 1233 del 02/10/2012
Ud. (dep. 10/01/2013 ) Rv. 254176 – è stato risolto nel senso che, in
tutti i casi in cui l’autorità procedente già era (o avrebbe potuto essere
con una condotta diligente) o sia venuta a conoscenza degli indizi di
reità esistenti a carico del dichiarante e proceda o continui nell’esame
senza dare contezza al dichiarante della sua posizione, senza
formalizzarla e senza assistenza difensiva, la sanzione è sempre quella
della inutilizzabilità assoluta ed erga omnes delle dichiarazioni stesse. Si
tratta infatti di un deterrente introdotto dal legislatore contro ipotesi
patologiche, in cui deliberatamente o colpevolmente si ignorano i già
esistenti indizi di reità nei riguardi dell’escusso, con pericolo di
dichiarazioni accusatorie, compiacenti o negoziate, a carico di terzi,
realizzabili anche attraverso “l’obliterazione” dei reati di cui il dichiarante
è l’autore (v., in questo senso, Sez. Un., 9 ottobre 1996, Campanelli, n.

5

con il più risalente arresto delle stesse Sezioni Unite (Cass., sez. un., 9

1282, m. 206846, e le altre massime citate dalla sentenza n.
35629/2005). Del resto, su questo punto la giurisprudenza di questa
Corte ha successivamente ribadito che “Le dichiarazioni rese dalla
persona che fin dall’inizio avrebbe dovuto essere sentita nella qualità di
indagata sono inutilizzabili “erga omnes” e la verifica della sussistenza di

“notitia crirminis”, iscrizione nel registro degli indagati), ma secondo il
criterio sostanziale della qualità oggettivamente attribuibile al soggetto
in base alla situazione esistente nel momento in cui le dichiarazioni sono
state rese” (Sez. 6, 22.4.2009, n. 23776, Pagano, m. 244360); che “La
sanzione di inutilizzabilità “erga omnes” delle dichiarazioni assunte
senza garanzie difensive da un soggetto che avrebbe dovuto fin
dall’inizio essere sentito in qualità di imputato o persona soggetta alle
indagini, postula che a carico dell’interessato siano già acquisiti, prima
dell’escussione, indizi non equivoci di reità, come tali conosciuti
dall’autorità procedente, non rilevando a tale proposito eventuali
sospetti od intuizioni personali dell’interrogante” (Sez. Un., 23.4.2009,
n. 23868, Fruci, m. 243417); e, da ultimo, che “In tema di prova
dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il
dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali,
e quindi al di là del riscontro di indici formali, come l’eventuale già
intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato,
l’attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le
dichiarazioni stesse vengano rese, e il relativo accertamento si sottrae,
se congruamente motivato, al sindacato di legittimità” (Sez. Un.,
25.2.2010, n. 15208, Mills, m. 246584).
Premessi questi principi di diritto, non resta ora che verificare se
ad essi la Corte territoriale si sia attenuta.
La Corte ha respinto la medesima censura riproposta in questa
sede (cfr pag. 4 ss in cui la doglianza è riassunta), con la seguente
testuale motivazione (pag. 9 ss): «Entrambi i Marin avevano peraltro
sostanzialmente ammesso gli addebiti, confermando il modus operandi
del sodalizio, e il fatto di essersi prestati a commettere le truffe dietro
compenso di denaro. Le dichiarazioni rese dai medesimi nelle indagini

6

tale qualità va condotta non secondo un criterio formale (esistenza della

vanno considerate pienamente utilizzabili, perché in tale momento gli
stessi non avevano ancora formalmente assunto la qualità di indagati
(veste che assumevano propria in ragione delle dichiarazioni rese alla
P. G.), né erano ancora investiti da elementi inequivod di reità quanto al
loro coinvolgimento nell’attività truffaldina, ancora in fase di verifica.

nell’ordinanza in atti del 1/2/08, la cui motivazione è integralmente
condivisa dalla Corte, in questo medesimo procedimento i “falsi” datori
di lavoro sono risultati effettivamente estranei alle condotte fraudolente,
al contrario dei falsi acquirenti (tra i quali figuravano i Marin), a
dimostrazione del fatto che in quel momento era comunque necessario
un approfondimento investigativo, proprio allo scopo di chiarire il ruolo
da ciascuno ricoperto nella vicenda».
Come si può, quindi, notare, è vero che i Marin furono sentiti
senza le garanzie difensive, ma, come ha accertato in modo
incensurabile la Corte, alla stregua di puntuali elementi di natura
fattuale e logica, nei loro confronti, nel momento in cui furono sentiti,
non sussistevano ancora indizi di reità che si concretizzarono dopo le
loro dichiarazioni, in quanto, fino a «quel momento era comunque
necessario un approfondimento investigativo, proprio allo scopo di
chiarire il ruolo da ciascuno ricoperto nella vicenda».
Quindi, va escluso che, nella concreta fattispecie in esame, sia
ipotizzabile l’ipotesi di cui all’art. 63/2 cod. proc. pen.
Di conseguenza, quand’anche gli indizi di reità a carico dei Marin
emersero nel corso delle dichiarazioni sommarie, si applica l’art. 63/1
cod. proc. pen. che prevede l’inutilizzabilità nei confronti delle
dichiarazioni auto indizianti e non per quelle

erga omnes:

da qui

l’utilizzabilità delle suddette dichiarazioni nei confronti del ricorrente
tanto più in considerazione del rito scelto (ex plurimis Cass. 10765/2010
riv 246730).

2. VIOLAZIONE DELL’ART. 416 COD. PEN.: manifestamente infondata è
la doglianza in ordine alla configurabilità del reato associativo.

7

Come poi evidenziato al proposito dallo stesso Tribunale del Riesame

Sul punto, al fine di confutare la censura dedotta, è sufficiente
riportare la motivazione addotta dalla Corte territoriale che, fattasi
carico della medesima doglianza, l’ha disattesa alla stregua di puntuali
elementi fattuali, avendo evidenziato la stabile organizzazione desunta
dalla serialità delle truffe, e dalla circostanza che il ricorrente, era stato

costante di riferimento di chi si rivolgeva all’agenzia con l’intenzione di
perpetrare il consolidato schema truffaldino escogitato.
Questa la motivazione (pag. 10 ss):

«Quanto alla sua

partecipazione, a pieno titolo, nell’illecito sodalizio, basterà ricordare che
il predetto é stato concordemente indicato dai falsi acquirenti come
soggetto che agiva stabilmente insieme ad Alfieri (dichiarazioni non solo
dei Marin, ma anche di Claudi Viola, di Casagrande Simonetta ed
Coppola Felicia). In tale veste il medesimo partecipava agli incontri con i
fittizi acquirenti, elargendo consigli per rendere credibili le situazioni
artatamente create per ottenere il denaro dalle banche; predisponeva,
la documentazione necessaria per l’ottenimento dei mutui; consegnava i
compensi a coloro che si erano prestati alla commissione delle diverse
truffe. Le censure difensive secondo cui Cavadiní non avrebbe avuto
consapevolezza dell’esistenza del sodalizio è quindi puntualmente
contraddetta dalle dichiarazioni dei testi. Poco importa poi che in taluni
casi Io stesso non fosse presente, o che alcune delle illecite operazioni
siano state portate a compimento dal solo Alfieri: che i due interagissero
costituisce un dato pacificamente accertato. La tipologia dei reati fine
presupponeva del resto la necessità di una struttura particolarmente
stabile e accreditata, ed in tal senso sia la Multiservizi dello Stoico e
della Dal Col, che l’Agenzia di intermediazione immobiliare gestita da
Alfieri e Cavadini, costituivano punti di riferimento all’apparenza
“qualificati”, in grado di gestire da una parte i falsi acquirenti e dall’altra
le banche che avrebbero dovuto concedere i mutui. Ad avviso della
Corte nell’ambito dl tale sodalizio l’appellante si muoveva poi a pieno
titolo, secondo prassi armai consolidate, come dimostrato dalle modalità
“seriali” di attuazione delle truffe: anche se in posizione leggermente
sottoposta all’Alfieri, lo stesso ne era sostanzialmente l’alter ego: il ruolo

8

indicato dai testi come un soggetto onnipresente ad ogni truffa e punto

di organizzatore che gli é stato attribuito nel capo di imputazione
corrisponde quindi pienamente alle risultanze probatorie raccolte, tutte
utilizzabili attesa la scelta del rito. Ancora una volta non si possono che
evidenziare le dichiarazioni di tutti gli acquirenti, che ne hanno descritto
l’attività e il coinvolgimento in ciascuna delle diverse fasi in cui si

3. VIOLAZIONE DELL’ART.

164

COD. PEN.:

la censura è manifestamente

infondata in quanto, da un controllo degli atti processuali, è risultato che
il ricorrente nulla aveva dedotto con i motivi di appello né alcunché
aveva richiesto in sede di conclusioni: infatti, nel verbale dell’udienza
del 08/05/2014, il cancelliere dà atto della sola presenza dell’avv.to
difensore Eugenio Cerutti.
Di conseguenza, in mancanza di alcuna sollecitazione sul punto, la
Corte territoriale non aveva alcun obbligo di motivazione.

4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a
norma dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa
declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che,
ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in C 1.000,00.
La

declaratoria

di

inammissibilità

preclude

la

rilevabilità

dell’eventuale prescrizione medio tempore maturata in applicazione del
principio di diritto secondo il quale «l’inammissibilità del ricorso per
cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il
formarsi di un valido rapporto d’impugnazione e preclude, pertanto, la
possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma
dell’art. 129 cod. proc. pen.»: ex plurimis SSUU 22/11/2000, De Luca,
Riv 217266 – Cass. 4/10/2007, Impero; Sez. un., 2 marzo 2005, n.
23428, Bracale, rv. 231164, e Sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601,
Niccoli, rv. 239400).

9

articolava la truffa [….]».

P.Q.M.
DICHIARA
inammissibile il ricorso e
CONDANNA
il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €

favore della parte civile BNL s.p.a. delle spese sostenute in que to grado
di giudizio liquidate in complessivi € 3.500,00 oltre Iva, c a e spese
generali
Roma 07/07/2015
IL PR SIDENTE
(Dott./;# nio Esposito)
IL CONSIGLI E EST.
(Dott. G. Ra4o)

1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifu ione in

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA