Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31897 del 07/07/2015
Penale Sent. Sez. 2 Num. 31897 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: RAGO GEPPINO
SENTENZA
su ricorso proposto da:
DI DATO FRANCO nato il 23/07/1964, avverso la sentenza del
16/09/2014 della Corte di Appello di Salerno;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Sante Spinaci che ha
concluso per l’inammissibilità;
FATTO
1. Con sentenza del 16/09/2014, la Corte di Appello di Salerno
confermava la sentenza con la quale, in data 24/01/2011, il giudice
monocratico del tribunale di Nocera Inferiore, aveva ritenuto DI DATO
Franco colpevole dei delitti di truffa e tentata truffa ai danni dell’INPS
per avere fatto risultare, con artifizi e raggiri, in concorso con De Filetto
Maurizio, titolare dell’omonima ditta, un rapporto di lavoro con la
suddetta ditta, procurandosi così un ingiusto profitto di C 1.393,24.
Data Udienza: 07/07/2015
2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, in proprio, ha
proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:
2.1.
VIOLAZIONE DELL’ART.
192
530/2
E
COD. PROC. PEN.
per avere la
Corte confermato la sentenza di condanna pur in mancanza di qualsiasi
elemento probatorio certo, concludente ed univoco tale da poter
responsabilità dei reati contestati;
2.2.
157
VIOLAZIONE DELL’ART.
COD. PEN.
per essersi il reato
ampiamente prescritto;
2.3.
VIOLAZIONE DELL’ART.
367
pronunciato sentenza assolutoria
COD. PEN.
per non avere
la Corte
«tenuto conto delle sopra esposte
argomentazioni ampiamente rappresentate ed argomentate in sede di
giudizio di appello».
DIRITTO
1. VIOLAZIONE DELL’ART.
192
E
530/2
COD. PROC. PEN.:
Le censure di
cui ai motivi sub 1 e 2 del ricorso (riassunte supra al § 2.1.), riproposte
con il presente ricorso, vanno ritenute null’altro che un modo surrettizio
di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di
quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di
merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto
coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso
la tesi difensiva (cfr pag. 3 ss).
Pertanto, non essendo evidenziabile alcuna delle pretese
incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali dedotte dal
ricorrente, la censura, essendo incentrata tutta su una nuova
rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va dichiarata
inammissibile.
In altri termini, le censure devono ritenersi manifestamente
infondate in quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione
alla quale è pervenuta deve ritenersi compatibile con il senso comune e
con «i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento»: infatti, nel
momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve
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attribuire, oltre ogni ragionevole dubbio, ad esso ricorrente la
stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore
possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione,
ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile
con il senso comune Cass. n. 47891/2004 rv 230568; Cass. 1004/1999
rv 215745; Cass. 2436/1993 rv 196955.
vizio denunciabile, dev’essere percepibile ictu °culi, dovendo il sindacato
di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando
ininfluenti le minime incongruenze: ex plurimis SSUU 24/1999.
2. VIOLAZIONE DELL’ART. 157 COD. PEN.: anche la suddetta doglianza è
manifestamente infondata, in quanto, alla data della sentenza
impugnata, il termine prescrizionale massimo di anni sette e mesi
(decorrente dalla data di consumazione dei reati indicata nel
07/03/2007 e 06/06/2007) oltre alle numerose sospensioni dovute per
rinvii ed astensioni del difensore, non era ancora maturato.
3.
VIOLAZIONE DELL’ART. 367 COD. PEN.: la
censura, nei testuali
termini in cui è stata dedotta, è così generica ed aspecifica da non
consentirne neppure lo scrutinio.
4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a
norma dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa
declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che,
ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in € 1.000,00.
La declaratoria di inammissibilità preclude la rilevabilità della
prescrizione in applicazione del principio di diritto secondo il quale
«l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta
infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto
d’impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e
dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc.
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Sul punto va, infatti ribadito che l’illogicità della motivazione, come
pen.»: ex plurimís SSUU 22/11/2000, De Luca, Riv 217266 – Cass.
4/10/2007, Impero; Sez. un., 2 marzo 2005, n. 23428, Bracale, rv.
231164, e Sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601, Niccoli, rv. 239400).
P.Q.M.
inammissibile il ricorso e
CONDANNA
il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della som a di C
1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Roma 07/07/2015
E EST.
DICHIARA