Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31892 del 02/07/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 31892 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 02/07/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Maccioni Alessandro, n. a
Macerata il 22.06.1969, rappresentato e assistito dall’avv. Gianluca
Gattari, di fiducia, avverso la sentenza della Corte d’appello di
L’Aquila, n. 1745/2011, in data 19.04.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Eduardo
Vittorio Scardaccione che ha concluso chiedendo di dichiararsi
l’inammissibilità del ricorso;
sentita la discussione della difesa avv. Carlo Totino, comparso in
sostituzione dell’avv. Gianluca Gattari, che ha chiesto l’accoglimento
del ricorso.

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 19.04.2013, la Corte d’appello di L’Aquila, in
parziale riforma della sentenza pronunciata in data 15.02.2011 dal
Tribunale di Teramo, in composizione monocratica, appellata dal
pubblico ministero, dichiarava Maccioni Alessandro responsabile del
reato di truffa continuata aggravata e lo condannava alla pena anni

uno, mesi quattro di reclusione ed euro 900,00 di multa.
1.1. Secondo l’accusa il Maccioni, in concorso con Morganti Luca e
con Baleani Eugenio, con più azioni esecutive di un medesimo
disegno criminoso, al fine di trarne profitto, con artifici e raggiri
consistiti nelle condotte di seguito indicate, nei confronti di D’Ignazio
Roberto, titolare della “Lo Scrigno s.p.a.”, e segnatamente per il
Maccioni:
– nell’effettuare presso il querelante precedenti acquisti rilasciando
assegni postdatati regolarmente pagati, al fine di conquistarsi la
credibilità e nel ribadire le rassicurazioni fornite da Morganti Luca,
aggiungendo che a causa della morte del padre, aveva ereditato
diversi beni che avrebbe potuto vendere se necessario;
– nell’invitare il querelante ad una festa, chiedendogli di portare in
visione un notevole quantitativo di gioielli perché, a suo dire, gli altri
invitati alla festa potevano essere interessati ad effettuare acquisti;
– dichiarandosi titolare di un salone di vendita di autoveicoli usati con
sede in Amburgo (Germania) ed invitando il denunciante ad
acquistare un’autovettura a copertura/saldo dell’acquisto di una serie
di collane e ciondoli per un valore di 158.000,00 euro, pagandoli, in
parte, con assegni postdatati;
– nel prospettare l’acquisto di una autovettura Maserati “Quattroporte”
targata D3620SX, richiedendo al denunciante la permuta della propria
autovettura marca Jaguar modello “XK Cabrio” targata DD151YX ed il
versamento di 35.000,00 euro come conguaglio, pretendendo ed
ottenendo l’immediato trasferimento della Jaguar in favore di Baleani
Eugenio, ma non effettuando mai il passaggio della Maserati a favore
del denunciante, e così ingenerando nella persona offesa la fiducia
dell’acquisto di quanto richiesto, assicurando il pagamento della
merce tramite i predetti assegni bancari, risultati protestati, induceva
in errore D’Ignazio Roberto, che provvedeva a vendere la merce per

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un valore complessivo di circa 500.000,00 euro, con pari danno. Con
l’aggravante di aver arrecato alla persona offesa un danno
patrimoniale di rilevante gravità (in Teramo, da maggio fino ad
ottobre 2008).
2. Avverso detta pronuncia, nell’interesse di Maccioni Alessandro,
viene proposto ricorso per cassazione, per i seguenti motivi:
-erronea applicazione della legge penale, mancanza, contraddittorietà

del ragionevole dubbio in riferimento all’art. 640 cod. pen. (primo
motivo);
– mancanza,

contraddittorietà

e/o

manifesta

illogicità

della

motivazione in riferimento agli artt. 62 bis e 81 cpv. cod. pen.
(secondo motivo).
2.1. In relazione al primo motivo, assume il ricorrente la mancanza di
prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, sia dell’elemento oggettivo
che di quello soggettivo del reato in contestazione.
2.2. In relazione al secondo motivo, si censura la sentenza impugnata
che ha immotivatamente escluso la concessione delle circostanze
attenuanti generiche, applicando un esorbitante aumento di pena per
la continuazione, senza offrire alcuna motivazione, nemmeno di
carattere sommario, sul punto e senza indicare le ragioni per le quali i
precedenti penali dell’imputato dovessero ritenersi prevalenti, ai fini
dell’esclusione delle circostanze attenuanti generiche, sul proprio
positivo contegno processuale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, risulta
inammissibile.
2. Con motivazione logica e congrua – e quindi immune dai denunciati
vizi di legittimità – la Corte territoriale dà conto degli elementi che
l’hanno portata ad affermare la penale responsabilità dell’imputato.
2.1. Va ricordato, in proposito, che il controllo del giudice di
legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale
della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo
logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di

e/o manifesta illogicità della motivazione e/o violazione del principio

nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le
varie, cfr. Sez. 3, sent. n. 12110 del 19/03/2009 e n. 23528 del
06/06/2006). Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità
della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciarle,
deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile
ictu ()culi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere
limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le

difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano
spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez.
3, sent. n. 35397 del 20/06/2007; Sez. U, sent. n. 24 del
24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Più di recente, è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto
dall’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), il controllo di
legittimità sulla motivazione non attiene ne’ alla ricostruzione dei fatti
ne’ all’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla
verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo
rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente
significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o
contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la
congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del
provvedimento (Sez. 2, sent. n. 21644 del 13/02/2013, Badagliacca e
altri, Rv. 255542).
2.2. Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative
della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte
circoscritto.
Non c’è, in altri termini, la possibilità di andare a verificare se la
motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla
luce del vigente testo dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e)
come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46. Il giudice di
legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti
ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite,
trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del
merito.
Il ricorrente non può, quindi, limitarsi a fornire una versione
alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto

minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni

della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta
illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.
2.3. Il vizio della manifesta illogicità della motivazione deve essere
evincibile dal testo del provvedimento impugnato. Com’è stato
rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la sentenza
deve essere logica “rispetto a sè stessa”, cioè rispetto agli atti
processuali citati. In tal senso, la novellata previsione secondo cui il

provvedimento impugnato, anche da “altri atti del processo”, purché
specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti
trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice
della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice
del fatto.
2.4. Avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione
anche attraverso gli “atti del processo” costituisce invero il
riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di
legittimità il cosiddetto “travisamento della prova” che è quel vizio in
forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una
(inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove),
prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per
verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato,
senza travisamenti, all’interno della decisione.
In altri termini, vi sarà stato “travisamento della prova” qualora il
giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che
non esiste (ad esempio, un documento o un testimone che in realtà
non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da
quello reale (alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non
fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell’imputato). Oppure
dovrà essere valutato se c’erano altri elementi di prova
inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma – occorrerà
ancora ribadirlo – non spetta comunque a questa Corte Suprema
“rivalutare” il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato
apprezzato dal giudice di merito.
2.5. Per esserci stato “travisamento della prova” occorre, tuttavia,
che sia stata inserita nel processo un’informazione rilevante che
invece non esiste nel processo oppure si sia omesso di valutare una
prova decisiva ai fini della pronunzia.

vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del

In tal caso, però, al fine di consentire di verificare la correttezza della
motivazione, va indicato specificamente nel ricorso per cassazione
quale sia l’atto che contiene la prova travisata o omessa.
Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre
avere carattere di decisività. Diversamente, infatti, si chiederebbe al
giudice di legittimità una rivalutazione complessiva delle prove che,
come più volte detto, sconfinerebbe nel merito.

questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al
provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non
apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d’Appello
di L’Aquila alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.
3.1. Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia, il
ricorrente chiede, una rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri
di ricostruzione e valutazione. Ma – per quanto sin qui detto – un
siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe
questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.
4. Fermo quanto precede, in relazione al primo motivo di doglianza
ritiene il Collegio come la Corte territoriale – che ha limitato la
contestazione alla perpetrazione della truffa contrattuale inerente
l’acquisto di preziosi, costituendo il rubricato acquisto dell’autovettura
Maserati, non una ipotesi autonoma di truffa, bensì un mero raggiro
finalizzato alla perpetrazione della truffa avente ad oggetto i preziosi
– abbia riconosciuto, con motivazione del tutto congrua e priva dei
denunciati vizi logico-giuridici, come “i fatti risultano essersi svolti
conformemente a quanto rappresentato nel capo di imputazione,
atteso che la deposizione resa dalla parte offesa, chiara, precisa,
particolareggiata ed intrinsecamente logica, e pertanto già di per sé
idonea a supportare una pronuncia di penale responsabilità, ha
trovato riscontro, oltre che nella acquisita documentazione, nel
contenuto delle deposizioni rese dagli ulteriori testi escussi, nonché
nel contenuto dell’esame reso dall’imputato Morganti Luca”.
4.1. Ampiamente argomentato è poi l’inquadramento nella fattispecie
della truffa contrattuale, di cui ricorrono tutti i presupposti, in
presenza di un acquisto di merce preceduta da una serie di condotte
idonee a creare una messa in scena in grado di indurre in errore il

Ar

3. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta

contraente

circa

la

reale

economica

capacità

dell’agente

determinando nella vittima un ragionevole affidamento sull’apparente
onestà delle intenzioni del soggetto attivo e sul pagamento degli
assegni stessi: di tal che, va ribadito il costante insegnamento della
giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di truffa
contrattuale, l’elemento che imprime al fatto dell’inadempienza il
carattere di reato è costituito dal dolo iniziale che, influendo sulla

stipulazione del contratto in virtù di artifici e raggiri, e, quindi,
falsandone il processo volitivo – rivela nel contratto la sua intima
natura di finalità ingannatoria (cfr., Sez. 2, sent. n. 20966 del
15/05/2012, dep. 31/05/2012, D’Alu, Rv. 252838; Sez. 2, sent. n.
46890 del 06/12/2011, dep. 20/12/2011, Mascia, Rv. 251452).
5. Anche il secondo motivo di doglianza, al pari del primo, risulta
manifestamente infondato.
5.1. La Corte territoriale ha escluso la concedibilità delle circostanze
attenuanti generiche in ragione delle modalità dell’azione e della
gravità del danno nonché della capacità a delinquere dell’imputato
desunta dai numerosi precedenti penali a suo carico per reati di
diversa natura, sia generici che specifici.
5.1.1. Trattasi di motivazione esente da manifesta illogicità, che,
pertanto, è insindacabile in cassazione (Sez. 6, sent. n. 42688 del
24/9/2008, dep. 14/11/2008, Caridi e altri, Rv. 242419), anche
considerato il principio più volte affermato da questa Corte secondo
cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego
della

concessione

delle

attenuanti

generiche,

prenda

in

considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle
parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento
a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o
superati tutti gli altri (Sez. 2, sent. n. 3609 del 18/01/2011, dep.
01/02/2011, Sermone e altri, Rv. 249163; Sez. 6, sent. n. 34364 del
16/6/2010, dep. 23/09/2010, Giovane e altri, Rv. 248244).
5.2. Sostanziali analoghe considerazioni possono essere svolte in
merito al disposto trattamento sanzionatorio.
Nella determinazione della pena ritenuta congrua, la Corte
territoriale, dopo aver valutato tùtte le circostanze di fatto emerse ed
escluso l’esistenza di elementi circostanziali per operare una riduzione

‘C

volontà negoziale di uno dei due contraenti – determinandolo alla

della sanzione, nella relativa determinazione, anche in relazione alla
ritenuta continuazione, ha richiamato, ai fini del relativo calcolo, i
criteri di cui all’art. 133 cod. pen..
5.2.1. Secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di
questa Suprema Corte (cfr., Sez. 6, sent. n. 9120 del 02/07/1998,
dep. 04/08/1998, Urrata S. e altri, Rv. 211582), deve ritenersi
adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla

indicati nella sentenza – come nella fattispecie, anche attraverso un
richiamo per relationem – gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti
nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di
cui all’art. 133 cod. pen..
5.2.2. La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed
alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti,
rientra infatti nella discrezionalità del giudice di merito, che la
esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi
enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è
inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una
nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione
non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5,
sent. n. 5582 del 30/09/2013, dep. 04/02/2014, Ferrario, Rv.
259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre.
5.2.3. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla
quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o
aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran
lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo
altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui
all’art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena
equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del
reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, sent. n. 36245 del
26/06/2009, dep. 18/09/2009, Denaro, Rv. 245596).
6. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si
determina equitativamente in euro 1.000,00

determinazione in concreto della misura della pena allorché siano

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa
delle ammende.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Dott. Andrea Pellegrino

ott. Franj Fiandanese

Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 2.7.2015

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