Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31891 del 02/07/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 31891 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 02/07/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Angileri Bianca, n. a Palermo il
03.06.1963, rappresentata e assistita dall’avv. Luca Librizzi, di
fiducia, avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo, seconda
sezione penale, n. 2467/2012, in data 05.12.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Eduardo
Vittorio Scardaccione che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
sentita la discussione della difesa avv. Luca Librizzi che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso con annullamento della sentenza
impugnata, in subordine, la proposizione di giudizio di legittimità
costituzionale.

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 05.12.2013, la Corte d’appello di Palermo
rigettava l’appello proposto nell’interesse di Angileri Bianca e
confermava la pronuncia di primo grado del Tribunale di Palermo, in
composizione monocratica, che l’aveva condannata alla pena di anni
due, mesi sei di reclusione ed euro 600,00 di multa oltre al

truffa aggravata (capi A, B, C e D), per aver fatto sottoscrivere, in
qualità di collaboratrice esterna della Società Alleanza Assicurazioni
s.p.a., sempre seguendo uno schema di condotta analogo, ad alcuni
clienti, in larga parte successivamente costituitisi parte civile (e
precisamente Bombolino Giuseppe, Lo Giudice Fabrizio, Geraci
Antonina, Mirabella Marisa, Mirabella Anna Maria, Mirabella Gaetano,
Mirabella Serafina, Mirabella Antonino e Mirabella Rita, gli ultimi tre
anche nella qualità di eredi di Mirabella Rosaria), polizze negoziali
relative ad investimenti finanziari, cui in realtà non corrispondeva
alcun investimento, posto che la stessa provvedeva ad incamerare le
somme ricevute senza dar corso ai contratti stipulati (fatti commessi
in Palermo, consumati tra il 4 aprile 2004 ed il 30 aprile 2005, con la
recidiva specifica ed infraquinquennale contestata e ritenuta in
sentenza).
2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di Angileri Bianca viene
proposto ricorso per cassazione, lamentandosi:
-violazione dell’art. 606 lett. c) cod. proc. pen. in relazione agli artt.
157 comma 8 bis, 161 comma 4 e 548 comma 3 cod. proc. pen., in
relazione all’ordinanza pronunciata all’udienza del 05.12.2013 (primo
motivo);
-violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione a
tutti i reati di truffa per i quali è stata pronunciata condanna (secondo
motivo);
-violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt.
157 e 161 cod. pen. (terzo motivo).
Da qui la richiesta di annullamento della sentenza impugnata e, in
subordine, di promuovere giudizio di legittimità costituzionale in
relazione al terzo motivo di doglianza.
2.1. In relazione al primo motivo, evidenzia il ricorrente come

risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili per i reati di

all’udienza del 05.12.2013 avesse eccepito la mancata notifica
dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado all’imputata;
secondo la Corte d’appello, poiché l’estratto contumaciale della
sentenza di primo grado era stato notificato all’imputata presso il
difensore di fiducia che non aveva rifiutato l’adempimento, la notifica
era da considerarsi valida ai sensi dell’art. 157, comma 8 bis cod.
proc. pen.. Il ragionamento della Corte territoriale non è condivisibile

alla luce dell’insegnamento della giurisprudenza di legittimità (Sez. 6,
sent. n. 36684 del 28.09.2010), secondo cui l’art. 157, comma 8 bis
cod. proc. pen. non è applicabile nelle ipotesi in cui l’imputato risulti
avere eletto o dichiarato domicilio per le notificazioni, in quanto, in
tali ipotesi, la specifica norma dell’art. 161, comma 4 cod. proc. pen.
prevede che si faccia corso alla notifica presso il difensore se la
notificazione nel domicilio eletto diviene impossibile: ebbene, nella
fattispecie, l’imputata risulta elettivamente domiciliata in Palermo via
del Cigno 42 ed è pertanto presso tale indirizzo che avrebbe dovuto
essere eseguita la notificazione.
2.2. In relazione al secondo motivo, si censura la sentenza impugnata
che, recependo acriticamente gli elementi che erano stati valutati dal
Tribunale, pur affermando che nelle truffe contrattuali che si
concretizzano con la sottoscrizione di proposte di investimento, il
momento consumativo delle stesse consiste in quello della effettiva
corresponsione da parte dei sottoscrittori dei relativi importi, e,
eccettuati alcune singole ipotesi in cui i pagamenti furono eseguiti
mediante assegno, riconosceva che non è stato possibile raggiungere
la prova delle effettive somme truffate dalla Angileri alle singole
persone offese, riteneva comunque consumato il delitto contestato.
2.3. In relazione al terzo motivo, si eccepisce l’avvenuta prescrizione
dei reati in contestazione. In ogni caso, si chiede di voler promuovere
giudizio di legittimità costituzionale relativamente all’art. 161, comma
2 cod. pen., nella parte in cui prevede che, nei casi di cui all’art. 99,
comma 2 cod. pen., l’interruzione della prescrizione possa comportare
l’aumento della metà del tempo necessario a prescrivere, per
violazione degli artt. 3, 13, 25, 27 e 111, comma 2 Cost. e
conseguente ingiustificata disparità di trattamento normativo in
ragione delle condizioni personali del cittadino pur in presenza di
identiche situazioni di fatto.

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CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
2. Manifestamente infondato è il primo motivo di censura.
Lamenta la ricorrente l’erroneità del rigetto da parte della Corte
territoriale della propria eccezione, sollevata oralmente in limine, in

merito alla mancata notifica dell’estratto contumaciale della sentenza
di primo grado a favore dell’imputata.
2.1. Occorre innanzitutto premettere che, in tema di impugnazioni,
allorché sia dedotto mediante ricorso per cassazione, un

“error in

procedendo” ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.,
la Corte di legittimità è giudice anche del fatto e, per risolvere la
relativa questione, può accedere all’esame diretto degli atti
processuali, che resta, invece, precluso dal riferimento al testo del
provvedimento impugnato contenuto nella lett. e) del citato articolo,
quando risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicità della
motivazione (Sez. U, sent. n. 42792 del 31/10/2001, dep.
28/11/2001, Policastro e altri, Rv. 220092).
2.2. Dall’esame degli atti presenti nel fascicolo, rileva il Collegio come
l’estratto contumaciale della sentenza di primo grado risulti essere
stato notificato all’imputata presso lo studio del difensore di fiducia,
ove la stessa aveva precedentemente (e per la prima volta) eletto
domicilio nell’ambito della proposizione dell’istanza di ammissione al
patrocinio a spese dello Stato.
2.2.1. Invero, per ormai assolutamente consolidata giurisprudenza di
legittimità (cfr., Sez. 3, sent. n. 14416 del 19/02/2013, dep.
27/03/2013, El Hairi, Rv. 255029; Sez. 4, sent. n. 7300 del
29/01/2009, dep. 19/02/2009, Dostuni, Rv, 242868; Sez. 1, sent. n,
45785 del 02/12/2008, dep. 11/12/2008, Ambrosino, Rv. 242576;
Sez. 1, sent. n. 41069 del 23/10/2008, dep. 04/11/2008, Cardinale,
Rv. 242037), l’elezione di domicilio effettuata nell’istanza di
ammissione al patrocinio a spese dello Stato opera anche nel
procedimento principale per cui il beneficio è richiesto e sono pertanto
valide le notifiche degli avvisi relativi a tale procedimento eseguite al
suddetto domicilio.
Sotto questo primo e del tutto assorbente profilo, quindi, preso atto

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della vigenza di tale elezione, la notifica effettuata presso il difensore,
deve considerarsi del tutto valida.
2.2.2. Peraltro, secondo l’altrettanto consolidato orientamento della
giurisprudenza di legittimità, l’eccezione in parola risulta destituita di
fondamento anche qualora si volesse ritenere non regolarmente
notificato all’imputata l’estratto contumaciale, atteso che la
circostanza in parola non sortirebbe, nei confronti della sentenza di

secondo grado, l’effetto di nullità invocato, avendo la Corte comunque
esaminato (ed espressamente disatteso) la sollevata eccezione (cfr.,
Sez. 5, sent. n. 44846 del 24/09/2013, dep. 06/11/2013, Pinsoglio e
altro, Rv. 257134; Sez. 2, sent. n. 257778 del 05/06/2012, dep.
04/07/2012, Menna, Rv. 253083).
3. Manifestamente infondato è il secondo motivo di censura.
Va evidenziato in premessa come, con motivazione logica e congrua e quindi immune dai denunciati vizi di legittimità – la Corte territoriale
dà conto degli elementi che l’hanno portata ad affermare la penale
responsabilità dell’imputata.
3.1. Va ricordato, in proposito, che il controllo del giudice di
legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale
della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo
logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le
varie, cfr. Sez. 3, sent. n. 12110 del 19/03/2009 e n. 23528 del
06/06/2006). Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità
della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciarle,
deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile
ictu ()culi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere
limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le
minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni
difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano
spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez.
3, sent. n. 35397 del 20/06/2007; Sez. U, sent. n. 24 del
24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Più di recente, è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto
dall’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), il controllo di

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legittimità sulla motivazione non attiene ne’ alla ricostruzione dei fatti
ne’ all’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla
verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo
rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente
significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o
contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la
congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del

altri, Rv. 255542).
3.2. Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative
della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte
circoscritto.
Non c’è, in altri termini, la possibilità di andare a verificare se la
motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla
luce del vigente testo dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e)
come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46. Il giudice di
legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti
ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite,
trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del
merito. Il ricorrente non può, quindi, limitarsi a fornire una versione
alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto
della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta
illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.
3.3. Il vizio della manifesta illogicità della motivazione deve essere
evincibile dal testo del provvedimento impugnato. Com’è stato
rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte, la sentenza
deve essere logica “rispetto a sè stessa”, cioè rispetto agli atti
processuali citati. In tal senso, la novellata previsione secondo cui il
vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del
provvedimento impugnato, anche da “altri atti del processo”, purché
specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti
trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice
della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice
del fatto.
3.4. Avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione
anche attraverso gli “atti del processo” costituisce invero il
riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di

(

provvedimento (Sez. 2, sent. n. 21644 del 13/02/2013, Badagliacca e

legittimità il cosiddetto “travisamento della prova” che è quel vizio in
forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una
(inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove),
prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per
verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato,
senza travisamenti, all’interno della decisione.
In altri termini, vi sarà stato “travisamento della prova” qualora il

giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che
non esiste (ad esempio, un documento o un testimone che in realtà
non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da
quello reale (alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non
fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell’imputato). Oppure
dovrà essere valutato se c’erano altri elementi di prova
inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma – occorrerà
ancora ribadirlo – non spetta comunque a questa Corte Suprema
“rivalutare” il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato
apprezzato dal giudice di merito.
3.5. Per esserci stato “travisamento della prova” occorre, tuttavia,
che sia stata inserita nel processo un’informazione rilevante che
invece non esiste nel processo oppure si sia omesso di valutare una
prova decisiva ai fini della pronunzia.
In tal caso, però, al fine di consentire di verificare la correttezza della
motivazione, va indicato specificamente nel ricorso per cassazione
quale sia l’atto che contiene la prova travisata o omessa.
Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre
avere carattere di decisività. Diversamente, infatti, si chiederebbe al
giudice di legittimità una rivalutazione complessiva delle prove che,
come più volte detto, sconfinerebbe nel merito.
3.6. Fermo quanto precede, rileva il Collegio come il primo motivo di
doglianza si risolva nella mera enunciazione del dissenso da parte
della deducente (rimasta contumace in entrambi i gradi di giudizio e
volutamente sottrattasi all’onere di fornire una diversa ricostruzione
critica o alternativa a quella provata dall’accusa) rispetto alle
valutazioni compiute dalla Corte di merito.
Con lo stesso, infatti, non si propone un’effettiva critica alla
giustificazione della decisione impugnata, la quale ha peraltro
adeguatamente

motivato

l’affermazione

di

responsabilità

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dell’imputata in ordine ai reati a lei ascritti.
3.6.1. Invero, a norma degli articoli 591, comma 1, lettera c), e 581,
comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’impugnazione deve contenere, a
pena di inammissibilità, l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e
degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta. La sanzione trova
fondamento nell’esigenza di porre il giudice della impugnazione in
condizione di individuare i capi ed i punti del provvedimento che si

intendono censurare e presuppone che le censure stesse siano
formulate con specifico riferimento alla concreta situazione giudicata
e non già con prospettazioni che, per la loro astrattezza e genericità,
si attagliano a qualsiasi situazione.
3.6.2. Ciò premesso, rileva il Collegio come, a fronte di una censura
del tutto generica ed assertiva (la mancata esatta quantificazione di
tutti gli importi truffati dalla Angileri dovrebbe indurre ad escludere la
sua penale responsabilità), si ponga, nella fattispecie, una
motivazione che riconosce – in termini del tutto congrui e giustificati
– come l’ampia istruttoria dibattimentale di primo grado,
sostanziatasi con prove testimoniali e prove documentali di lettura
univoca, abbia consentito di dare pieno riscontro a tutte le ipotesi
d’accusa: di tal che, il preteso vuoto probatorio denunciato, viene
correttamente interpretato e contestualmente ampiamente superato
dai giudici di secondo grado attraverso la piena condivisibilità della
giustificazione addotta dal primo giudice che, in presenza di qualche
incertezza sugli importi dei falsi contratti artatamente approntati dalla
Angileri, lungi dall’escludere il reato ovvero da lasciarne incerti i
margini probatori, aveva rimesso le parti al giudice civile per la
corretta quantificazione dei risarcimenti.
4. Manifestamente infondato è il terzo motivo di censura.
Nessuno dei reati in contestazione risulta essersi prescritto in epoca
precedente al 05.12.2013 (data della sentenza d’appello) dal
momento che al tempo ordinario di prescrizione applicabile (pari ad
anni sei, su cui concorda anche la ricorrente) va aggiunto il periodo
interruttivo nella misura di anni tre a ragione della recidiva qualificata
contestata e ritenuta in sentenza, fissandosi il termine ordinario,
decorrente dalla più risalente data del 30.10.2004, alla data del
30.10.2013 a cui va aggiunto l’ulteriore periodo complessivo di
sospensione di mesi sei e giorni quindici, con spostamento finale in

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avanti del termine prescrizionale alla data del 15.04.2014, successiva
alla pronuncia di secondo grado.
4.1. Costituisce pacifica giurisprudenza di legittimità, a cui il Collegio
presta adesione, che l’inammissibilità del ricorso per cassazione per
manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un
valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di
dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen.,

ivi compresa la prescrizione intervenuta dopo la sentenza di secondo
grado (cfr., ex multis, Sez. 2, sent. n. 28848 del 08/05/2013, dep.
08/07/2013, Ciaffoni, Rv. 256463).
4.2. Il Collegio ritiene infine non fondata la questione di legittimità
costituzionale sollevata.
4.2.1. Assume la ricorrente come la norma censurata, nel
determinare il tempo necessario a prescrivere per imputati
incensurati (aumento di un quarto), imputati con recidiva
infraquinquennale o specifica (aumento della meta), imputati recidivi
plurimi (aumento di due terzi) e imputati dichiarati delinquenti
abituali o professionali (aumento del doppio), facendo dipendere i
differenti termini massimi di prescrizione non dalla gravità oggettiva
del fatto bensì dallo status soggettivo dell’imputato, determini un
ritorno al “diritto penale d’autore” ed introduca una discriminazione
assai pericolosa che finisce per pregiudicare gli autori di reali
bagatellari ma commessi con continuità rispetto ai reati più gravi ma
commessi in contesti episodici.
4.2.2. E’ noto come, con la riforma dell’art. 69 cod. pen. introdotta
dal decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99 (Provvedimenti urgenti sulla
giustizia penale), convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno
1974, n. 220, si è gravato il giudice di un potere discrezionale
estremamente lato, con conseguente pericolo di provocare disparità e
incertezze in sede applicativa. La dilatazione del giudizio di
bilanciamento conseguente alla riforma del 1974 avrebbe in seguito
indotto più volte il legislatore a circoscriverlo o ad escluderlo per
talune circostanze e in tale contesto si inserirebbe la modifica dell’art.
69, quarto comma, cod. pen., la cui ratio è chiaramente volta ad
«inasprire il regime sanzionatorio di coloro che versano nella
situazione di recidiva reiterata, impedendo che tale importante
circostanza sia sottratta alla commisurazione della pena in

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concreto», frutto di una scelta discrezionale del legislatore.
4.2.3. Fermo quanto precede, ritiene il Collegio come la norma
censurata non appaia in contrasto con il principio di ragionevolezza,
in quanto tende ad attuare una forma di prevenzione generale della
recidiva, non inasprendo il regime sanzionatorio bensì prevedendo
termini più lunghi per la maturazione della prescrizione a ragione di
una scelta discrezionale del legislatore di meritevolezza di tutela, in

ragione social-preventiva: il tutto, trova giustificazione nel maggior
allarme sociale provocato dal comportamento del recidivo che, con il
suo agire, dimostra un alto e persistente grado di antisocialità
mettendo maggiormente a rischio la sicurezza pubblica.
4.2.4. Non del tutto estraneo a simile ragionamento è il tema del più
rigoroso trattamento sanzionatorio previsto per il recidivo.
Non v’è dubbio, infatti, che la commisurazione della pena è
demandata al giudice alla stregua dei principi fissati dal legislatore,
che, nel caso di specie, avrebbe inteso sanzionare il fenomeno della
recidiva in sè, a prescindere dalla gravità dei fatti commessi, dai loro
tempi e modi e dalle sanzioni irrogate, in quanto il fatto stesso della
persistenza nelle condotte antisociali, quali che esse siano, dimostra
che la funzione rieducativa non ha potuto efficacemente esplicarsi.
4.2.5. Peraltro, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito come,
salvo che per i reati di cui all’art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc.
pen., la recidiva conservi il carattere discrezionale o facoltativo, così
restando integro il potere del giudice di escludere l’applicazione della
circostanza qualora ritenga che la ricaduta nel reato non sia <

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