Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31890 del 02/07/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 31890 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 02/07/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto personalmente da Perico Emanuela, n. a Seriate
(BG) il 26.02.1968, rappresentata e assistita dall’avv. Barbara
Scaramazza, d’ufficio, avverso la sentenza della Corte d’appello di
Torino, terza sezione penale, n. 3340/2012, in data 08.11.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Eduardo
Vittorio Scardaccione che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 08.11.2013, la Corte d’appello di Torino, in
parziale riforma della sentenza di primo grado pronunciata dal

il

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Tribunale di Aosta in data 15.12.2011, riduceva la pena inflitta a
Perico Emanuela ad anni uno di reclusione ed euro 500,00 di multa
per il reato di truffa in concorso. Secondo l’accusa, Perico Emanuela,
in concorso con Fardi Ernesto ed Aduni Luigina, con artifici e raggiri
consistiti nel prendere contatto con Caputo Alfonso e nell’acquistare
la sua auto Mercedes tg. CW628EY, pagando con assegno di
provenienza furtiva, si procurava l’ingiusto profitto consistito

nell’acquisizione dell’auto in questione per un valore di euro 20.800
con correlativo danno per Caputo Alfonso e Tolu Claudia.
2. Avverso detta sentenza, Perico Emanuela propone ricorso per
cassazione, lamentando:
– inosservanza, erronea applicazione della legge penale in punto
ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di truffa
(primo motivo);
– inosservanza, erronea applicazione della legge penale in punto
ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di truffa
(secondo motivo);
– inosservanza, erronea applicazione della legge penale in punto
mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche (terzo
motivo);
– inosservanza, erronea applicazione della legge penale in punto
mancata applicazione delle circostanze attenuanti di cui all’art. 114
cod. pen. ed in punto quantificazione della pena (quarto motivo);
– inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità,
inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, con riferimento alla
violazione del diritto di difesa in relazione al dedotto legittimo
impedimento a comparire dell’imputata (quinto motivo).
2.1. In relazione al primo motivo, si deduce l’assenza di prova circa il
ruolo della Perico nel concretizzarsi dell’azione illecita e, prima
ancora, circa la sua partecipazione all’illecito, essendosi la stessa
limitata ad accompagnare la Adami al ritiro del veicolo.
2.2. In relazione al secondo motivo, si deduce come la ricorrente non
solo non fosse a conoscenza degli scopi perseguiti dagli altri
coimputati, ma nemmeno che la medesima fosse stata resa edotta
della provenienza illecita dell’assegno.
2.3. In relazione al terzo motivo, si censura la sentenza impugnata
nella parte in cui ha inopinatamente negato la concessione delle

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circostanze attenuanti generiche, non essendo state considerate le
caratteristiche concrete della vicenda, la personalità e le condizioni
economiche della prevenuta e le motivazioni che l’hanno indotta a
delinquere.
2.4. In relazione al quarto motivo, si censura l’entità della pena
inflitta che non ha tenuto conto del concreto disvalore della condotta
nonché del ruolo marginale assunto dalla Perico e della sua

incensuratezza.
2.5. In relazione al quinto motivo, sì censura l’avvenuta violazione del
diritto di difesa conseguente al mancato rinvio dell’udienza del
15.12.2011 davanti al Tribunale di Aosta per suo legittimo
impedimento dovendo la stessa, nella medesima data, comparire
innanzi al giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
Bergamo per la discussione del giudizio abbreviato nell’ambito del
procedimento ivi pendente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
2. Va preliminarmente evidenziato come il requisito della specificità
dei motivi implica non soltanto l’onere di dedurre le censure che la
parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati
della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso,
gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di
consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed
esercitare il proprio sindacato (cfr., ex plurimis, Sez. 4, 01/04/2004,
Distante, Rv. 228586; Sez. 2, 08/07/1999, Albanese, Rv. 214249;
Sez. 5, 21/04/1999, Macis, Rv. 213812; Sez. 1, 31/01/1996, Arra,
Rv. 203513; Sez. 1, 05/03/1994, Settecase, Rv. 196795; Sez. 6,
01/12/1993, p.m. in c. Marongiu, Rv. 197180).
3.

In giurisprudenza, si è ritenuto inammissibile il ricorso per

cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già
discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli
stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo,
invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come
indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le
ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a

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fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le
esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di
aspecificità conducente, a mente dell’articolo 591 comma 1 lett. c),
all’inammissibilità. Invero, il ricorso per cassazione deve
rappresentare censura alla sentenza impugnata, criticandone
eventuali vizi in procedendo o in iudicando: esso, quindi, non può
consistere in una supina riproposizione delle doglianze espresse con

l’appello, ma deve consistere in una critica – nella specie, totalmente
mancata – alle ragioni in fatto e/o in diritto sulla cui scorta il secondo
giudice ha ritenuto di dover disattendere il gravame.
3.1. Il primo motivo di doglianza si risolve nella mera enunciazione
del dissenso della deducente rispetto alle valutazioni compiute dalla
Corte di merito. Con lo stesso, infatti, non si propone un’effettiva
critica alla giustificazione della decisione impugnata, la quale ha
peraltro adeguatamente motivato l’affermazione di responsabilità
dell’imputata in ordine al contributo causale offerto ai fini della
consumazione del reato. Invero, a norma degli articoli 591, comma 1,
lettera c), e 581, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’impugnazione
deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione specifica delle
ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta.
La sanzione trova fondamento nell’esigenza di porre il giudice della
impugnazione in condizione di individuare i capi ed i punti del
provvedimento che si intendono censurare e presuppone che le
censure stesse siano formulate con specifico riferimento alla concreta
situazione giudicata e non già con prospettazioni che, per la loro
astrattezza e genericità, si attagliano a qualsiasi situazione. Ciò
premesso, rileva il Collegio come, a fronte di una censura del tutto
generica ed assertiva, si ponga, nella fattispecie, una motivazione
che, in relazione al rilevante ruolo assunto dalla Perico (e della
Adanni), riconosce – in termini del tutto congrui e giustificati – come
le stesse “… eseguendo le istruzioni ricevute dal Fardi, avevano
accompagnato il Caputo in agenzia, avevano sbrigato le formalità del
trapasso di proprietà (sia quella che aveva interloquito personalmente
con l’impiegato dell’agenzia, sia quella che, mostrandosi impegnata al
telefono, dava l’impressione che si trattasse di un’operazione di
routine) gli avevano consegnato l’assegno “tarocco” garantendone la

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regolarità, avevano ricevuto in consegna il veicolo, recapitandolo poi
(ovviamente) al Fardi …”.
3.2. La seconda censura reitera pedissequamente il motivo di appello
sul quale la Corte ha reso precisa ed insindacabile motivazione.
La censura è, invero, formulata in modo stereotipato, senza alcun
collegamento concreto con la motivazione della sentenza impugnata e

sostegno della prospettata violazione. Al riguardo, il Collegio
evidenzia come la Corte territoriale avesse ritenuto del tutto
inverosimile l’assunto della Perico di aver ignorato la provenienza
illecita dell’assegno in ragione del suo coinvolgimento come
“segretaria” del Fardi, circostanza che induce ragionevolmente a
pensare “che la Perico fosse stata messa al corrente di tutti i
particolari della frode in modo da potersi comportare con avvedutezza
ed efficienza senza destare sospetti nella vittima …”.
3.3. Del tutto reiterativo è anche il terzo motivo di doglianza che si
limita a riproporre le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate
dal giudice del gravame senza alcun riferimento alle valutazioni in
proposito espresse nella sentenza impugnata.
Del tutto giustificata appare, tuttavia, la statuizione di diniego delle
circostanze attenuanti generiche sulla base “delle modalità sofisticate
della frode, della notevole entità del danno arrecato alla vittima,
dell’assenza di iniziative risarcitorie e, soprattutto, della straordinaria
gravità dei precedenti specifici (per la Perico, di tre ricettazioni e di
tre truffe) …”.
Trattasi di motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è
insindacabile in cassazione (Sez. 6, sent. n. 42688 del 24/9/2008,
dep. 14/11/2008, Caridi e altri, Rv. 242419), anche considerato il
principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che
il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle
attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi
favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è
sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o
comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da
tale valutazione (Sez. 2, sent. n. 3609 del 18/01/2011, dep.
01/02/2011, Sermone e altri, Rv. 249163; Sez. 6, sent. n. 34364 del

i

senza provvedere ad una specifica enunciazione delle ragioni a

16/6/2010, dep. 23/09/2010, Giovane e altri, Rv. 248244).

3.4. Analoghe considerazioni svolte con riferimento al precedente
paragrafo 3.3. possono essere ripetute in merito al disposto
trattamento sanzionatorio.
Nella determinazione della pena congrua, la Corte territoriale, dopo
aver valutato tutte le circostanze di fatto emerse ed escluso la

marginalità del ruolo asseritamente rivestito dalla ricorrente (quale
“falsa segretaria” del Fardi a cui, insieme alla Adami, si è sostituita
nella fase finale dell’operazione rassicurando la vittima circa la
copertura del titolo consegnato in pagamento), ha operato corretto
richiamo ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen..
Secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di questa
Suprema Corte (cfr., Sez. 6, sent. n. 9120 del 02/07/1998, dep.
04/08/1998, Urrata S. e altri, Rv. 211582), deve ritenersi adempiuto
l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in
concreto della misura della pena allorché siano indicati nella sentenza
– come nella fattispecie, anche attraverso un richiamo per relationem

gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della

complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133
cod. pen..
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle
diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti,
rientra infatti nella discrezionalità del giudice di merito, che la
esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi
enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è
inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una
nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione
non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5,
sent. n. 5582 del 30/09/2013, dep. 04/02/2014, Ferrario, Rv.
259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre.
Una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena
irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per
circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga
superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti
essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133
cod. pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o

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”congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla
capacità a delinquere (Sez. 2, sent. n. 36245 del 26/06/2009, dep.
18/09/2009, Denaro, Rv. 245596).

3.5. Manifestamente infondato è il quinto motivo di censura.
Anche in questo caso, nei confronti della puntuale motivazione della
Corte a giustificazione del rigetto dell’eccezione di carattere

inammissibilmente – nella presente sede – negli stessi originari
termini, l’eccezione proposta in sede di merito.
Osserva la Corte territoriale come “… l’allegato impedimento a
comparire delle imputate

(ndr.,

Perico e Adami) all’udienza del

15.12.2011 non sussiste per il semplice motivo che di entrambe,
siccome sottoposte agli arresti domiciliari (in provincia di Bergamo), il
Tribunale aveva disposto la traduzione in Aosta: esse, tuttavia, con
dichiarazioni rilasciate il 12.12.2011 rinunciarono a comparire dinanzi
alla autorità giudiziaria aostana per l’udienza del 15.12.2011. Ciò
contraddice l’impedimento allegato dai rispettivi difensori a tale
udienza, anche perché non risulta in alcun modo che le imputate
avessero palesato la volontà di presenziare al concomitante processo
dinanzi al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo,
né che vi abbiano effettivamente partecipato”.

4. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti
dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1.000,00
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00
alla Cassa delle ammende.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 2.7.2015

processuale, la ricorrente preferisce non “misurarsi”, reiterando

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