Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3189 del 18/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 3189 Anno 2016
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
NOCERA PIETRO N. IL 30/09/1971
avverso l’ordinanza n. 190/2014 TRIBUNALE di PADOVA, del
16/02/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 18/11/2015

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa in data 16 febbraio 2015 il Tribunale di Padova,
deliberando in funzione di giudice dell’esecuzione, accoglieva solo parzialmente
l’istanza proposta da Pietro Nocera, volta ad ottenere l’unificazione per
continuazione dei reati indicati nella domanda e rideterminava per i primi tre la
pena complessiva in anni sedici, mesi otto di reclusione ed euro 7.300,00 di multa,

2.Avverso l’indicata ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione
l’interessato personalmente, chiedendone l’annullamento per violazione di legge in
relazione al disposto dell’art. 671 cod. proc. pen. in quanto anche i reati di cui
all’artt. 73 e 74 d.p.r. 309/90 erano stati commessi quale appartenente al clan
Belforte e nell’interesse di questa organizzazione in un arco temporale compreso tra
il 1999 ed il 2005.

Considerato in diritto

L’impugnazione è inammissibile perché basata su motivi manifestamente
infondati.
1.L’ordinanza impugnata ha escluso di poter accogliere integralmente la
domanda del Nocera in ragione dell’assenza di elementi indicativi legami specifici
fra le varie condotte unificate per continuazione ed i restanti reati riguardanti gli
stupefacenti, tali da consentire di ricondurle ad unicità di deliberazione ed
ideazione, risalente sin dall’ingresso nell’associazione di stampo mafioso, poi
attuata nel tempo con violazioni distinte.
2. Per contro, il ricorso ribadisce la medesima prospettazione già respinta dai
giudici di merito, sostiene circostanze non riscontrate sulla finalità unitaria
perseguita dal ricorrente di avvantaggiare l’organizzazione e di realizzarne le finalità
antigiuridiche, senza però illustrare in dettaglio con quali modalità avrebbe
perseguito tale intento e da quali dati fattuali poter desumere che l’associazione di
cui all’art. 74 d.p.r. 309/90 era costituito e gestita nell’ambito del programma
criminoso della formazione camorristica, incorrendo in tal modo nelle medesime
carenze deduttive ed illustrative riscontrate dalla Corte di merito.
2.1 Si ricorda che, secondo ormai consolidato orientamento giurisprudenziale,
qualora uno dei reati da unificare per continuazione sia un reato associativo,
devono negarsi soluzioni aprioristicamente negative, basate sulla struttura della
fattispecie astratta, così come, all’opposto, vanno respinte presunzioni legate alla
permanenza del vincolo partecipativo ed alla generica indeterminatezza del
programma criminoso. La questione della configurabilità della continuazione non
1

rigettandola quanto ai reati giudicati con una quarta sentenza di condanna.

”va impostata in termini di compatibilità strutturale, in quanto nulla si oppone
a che, sin dall’inizio, nel programma criminoso dell’associazione, si concepiscano
uno o più reati-fine individuati nelle loro linee essenziali, di guisa che tra
questi reati e quello associativo si possa ravvisare una identità di disegno
criminoso. Ne consegue che tale problema si risolve in una “quaestio facti” la cui
soluzione e’ rimessa di volta in volta all’apprezzamento del giudice di merito”
(Cass. sez. 1, ord. n. 12639 del 28/3/2006, rv. 234100, Adamo; sez. 5, n. 23370

1474; 14.10.1997 nr. 3650). Si è altresì correttamente affermato al riguardo: “In
tema di associazione mafiosa, ovvero di associazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex
art. 74, non può sostenersi che la commissione di reati fine rientri nel generico
programma della “societas sceleris”, nè che i medesimi siano consumati “per
eseguire” il delitto associativo, dal momento che tale reato, in entrambe le forme
innanzi richiamate, ha natura permanente ed è, di regola, preesistente rispetto ai
fatti delittuosi ulteriori; questi ultimi, a loro volta, pur essendo certamente episodi
non inconsueti nel panorama di attività criminosa della struttura delinquenziale, non
rappresentano la finalità per la quale l’associazione è stata costituita” (Cass., sez.
1, n. 8451 del 21/1/2009, rv. 243199, Vitale).
Né al riguardo può assumere rilievo l’avvenuta commissione di fatti criminosi
da parte del partecipe al sodalizio criminoso nel periodo di appartenenza allo stesso
e nemmeno che quel tipo di attività delinquenziale rientri astrattamente nelle
finalità per le quali è stata costituita l’associazione: al contrario, l’identità del
disegno criminoso non può ravvisarsi nei casi in cui, ad esempio, un omicidio, un
fatto estorsivo, di usura, lo spaccio di droga, ancorchè appartenenti alle tipologie di
illecito cui usualmente si dedichino gli associati, siano stati commessi per eventi
imprevedibili, per effetto di impulsi subitanei o di esigenze estemporanee, ossia in
situazioni concrete nelle quali le azioni siano sollecitate da spinte motivazionali
insuscettibili di una preventiva ideazione e deliberazione nemmeno nelle linee
essenziali al momento dell’adesione all’organizzazione (Cass. sez. 1, n. 13609 del
22/3/2011, rv. 249930, Bosti; sez. 1, n. 13611 del 22/3/2011, rv. 249931,
Aversano; sez. 6, n. 2960 del 27/9/1999, rv. 214555, Ingarao; sez. 1, n. 3834 del
15/11/2000, rv. 218397, Barresi). Infine, anche l’identità del bene giuridico violato
ed il lasso temporale intercorso fra le varie condotte costituiscono aspetti da soli
insufficienti a dare la dimostrazione dell’esistenza di quell’unico iniziale programma
in vista di uno scopo determinato, ricomprendente le singole violazioni, che
costituisce l’indefettibile presupposto per il riconoscimento della continuazione.
A tali principi, pur non citati espressamente, l’ordinanza si è attenuta, sicchè
supera indenne il vaglio conducibile nel giudizio di legittimità.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del

del 14/5/2008, rv. 240489, Pagliara; sez. 1, 6.12.2005 nr. 44606; 14/05/1997 nr.

ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa
insiti nella proposizione di impugnazione di tale tenore, della somma che si stima
equa di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2015.

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