Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3188 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3188 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TOIA FRANCESCO N. IL 29/08/1946
avverso la sentenza n. 803/2012 CORTE APPELLO di PALERMO, del
14/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. i– tLe ..4fAA
che ha concluso per e,
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.
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Data Udienza: 28/11/2013

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ricorre per cassazione Toia Francesco avverso la sentenza della corte d’appello di Palermo che,
in data 14 marzo 2013, l’aveva condannato celebrazione di beni di interesse archeologico.
Deduce il ricorrente che la sentenza impugnata è incorsa in:
1- vizio della motivazione ribadisce di aver ricevuto in eredità i beni in contestazione e che
quindi manca l’elemento soggettivo del reato;

4- sostiene che comunque il reato era prescritto già nel giugno 2011

Il ricorso è inammissibile perché i motivi riproducono pedissequamente i motivi d’appello
E’ giurisprudenza pacifica di questa Corte che se i motivi del ricorso per Cassazione
riproducono integralmente ed esattamente i motivi d’appello senza alcun riferimento alla
motivazione della sentenza di secondo grado, le relative deduzioni non rispondono al concetto
stesso di “motivo”, perché non si raccordano a un determinato punto della sentenza impugnata
ed appaiono, quindi, come prive del requisito della specificità richiesto, a pena di
inammissibilità, dall’art. 581, lett. c), cod. proc. pen.. E’ evidente infatti che, a fronte di una
sentenza di appello, come quella in esame, che ha fornito una risposta ai motivi di gravame la
pedissequa ripresentazione degli stessi come motivi di ricorso in Cassazione non può essere
considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’Appello
Deve aggiungersi che le argomentazioni esposte nei motivi in esame si risolvono in generiche
censure in punto di fatto che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa
lettura dei fatti di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a
fronte di una sentenza, come quella impugnata che appare congruamente e coerentemente
motivata proprio con riguardo alle censure sollevate dai ricorrenti.
Il reato non era prescritto alla data della pronuncia d’appello e non è ancora prescritto
considerati i termini di sospensione pari ad anni 2 e mesi 10.
Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile; consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e – non emergendo ragioni di esonero – di una somma alla cassa delle
ammende, congruamente determinabile in C. 1.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deliberato in Roma il 28.11.2013
Il Consigliere estensore

2-3- contesta la valutazione delle prove e l’attendibilità dei testi

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