Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31877 del 05/02/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 31877 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: IZZO FAUSTO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ABDELGHANI AYAD N. IL 01/01/1981
EL FAKOUAKI FATIHA N. IL 16/06/1968
avverso la sentenza n. 3718/2012 CORTE APPELLO di TORINO, del
24/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FAUSTO IZZO;

Data Udienza: 05/02/2014

OSSERVA

2. Propongono ricorso per cassazione gli imputati deducendo El Fakouaki la violazione
di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della attenuante di
cui al V comma dell’art. 73 cit.; Abdelghani l’eccessività del trattamento sanzionatorio.
3. I ricorsi sono inammissibili.
Quanto alle doglienze del El Fakouaki con riguardo alla commisurazione della pena ed
al diniego dell’attenuante di cui al V comma dell’art. 73 T.U. 309 del 1990, le
generiche censure del ricorrente in ordine a pretese carenze motivazionali della
sentenza impugnata risultano manifestamente infondate.
Va ricordato che questa Corte ha più volte ribadito che l’attenuante del fatto di lieve
entità deve essere individuata in base ad un’operazione interpretativa che consenta di
rapportare in modo razionale la pena al fatto, tenendo conto del criterio di
ragionevolezza derivante dall’art. 3 Cost., che impone – tanto al legislatore quanto
all’interprete – la proporzione tra la quantità e la qualità della pena e l’offensività del
fatto (Cass. VI, 4194\95, imp. Salmi Ben, rv. 200797).
Nel caso di specie il giudice di merito, con congrua motivazione, ha evidenziato che la
reiterazione dell’attività di spaccio e la quantità della sostanza trafficata non
consentivano di ritenere il fatto di minima offensività, così negando il riconoscimento
della attenuante.
Tale valutazione del giudice di merito è esente da censure, tenuto conto degli
orientamenti di questa Corte regolatrice la quale ha affermato che la circostanza
attenuante speciale del fatto a lieve può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima
offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia
dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze
dell’azione), con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici
previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri (Cass. Sez. Un.
21 9 2000, n. 17).

3. Quanto alla censura proposta dal ABDELGHANI in ordine a pretese carenze
motivazionali della sentenza impugnata, relativamente al trattamento sanzionatorio,
risultano anch’esse manifestamente infondate oltre che formulate in modo
assolutamente generico.
Va ricordato che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo
edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il
suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’articolo 133
c.p.. Anzi, non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la
scelta del giudice risulta, come nel caso di specie, contenuta in una fascia medio bassa
rispetto alla pena edittale (cfr. ex plurimis, Cass. IV, 20 settembre 2004, Nuciforo, RV
230278).

Quanto all’entità della pena, non rileva la novella introdotta dall’art. 2 del d.l. 23
dicembre 2013 n. 146 (convertito nella legge 21 febbraio 2014, n. 10) che ha modificato
il 5° comma dell’art. 73, rendendolo fattispecie autonoma di reato e fissando i limiti
edittale da uno a cinque anni di reclusione. Nel caso di specie, infatti, la pena è stata

1

1. Con la sentenza in epigrafe, emessa in sede di giudizio abbreviato, veniva
confermava la condanna di ABDELGHANI Ayad ed EL FAKOUAKI Fatiha per delitti
di cui all’art. 73 T.U. 309 del 1990, per plurimi episodi di traffico di hashish. Veniva
inoltre confermata per EL FAKOUAKI la pena irrogata di anni 3 e mesi 8 di reclusione
ed C 30.000= di multa; in appello, invece, al ABDELGHANI, riconosciuta l’attenuante
di cui al V comma dell’art. 73, la pena veniva ridotta ad anni 2 e mesi 2 di reclusione
ed C 8.000= di multa.

determinato in misura congrua rispetto all’entità del fatto e non illegale secondo lo ius
superveniens.
4. Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle Ammende,
non emergendo ragioni di esonero, ciascuno della somma di euro 1000,00 (mille/00),
a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.

Così deciso in Roma il 5 febbraio 2014

IN CA N C

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e, ciascuno, inoltre al versamento della somma di euro 1000,00 in
favore della Cassa delle ammende.

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