Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31859 del 13/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31859 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Babou Hamed, nato in Mauritania il 29/12/1984

avverso la sentenza del 26/06/2013 della Corte d’appello di Genova.

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Roberto Aniello, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 26 giugno 2013, il Tribunale di Genova ha applicato a
Babou Hamed, tratto a giudizio direttissimo, a seguito di convalida del suo
arresto e applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, per gli
ipotizzati delitti di cui agli artt. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capo
A) e 73, comma 1-bis, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capo B), commessi in

Data Udienza: 13/03/2014

Genova il 25 giugno 2013, la pena concordata di anni 1 e mesi 2 di reclusione ed
C 3.000,00 di multa.
Al Babou, in particolare, è contestato di aver venduto a terze persone
sostanza stupefacente del tipo marijuana e di aver detenuto, allo stesso fine,
sostanza stupefacente dello stesso tipo.
Ai fini del calcolo della pena, il giudice, ritenuta la continuazione fra i reati e
valutato più grave quello di cui al capo A, applicata la circostanza attenuante di
cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, con giudizio di prevalenza sulla
contestata recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale, ha posto a base del

procedendo all’aumento, ex art. 81, cpv., cod. pen., fino ad anni 1 e mesi 8 di
reclusione ed C 4.500,00 di multa ed applicando la diminuente per il rito fino alla
concorrenza della pena oggetto di condanna.

2. Ricorre per Cassazione il Babou eccependo, per il tramite del difensore di
fiducia, violazione di legge e carenza di motivazione, non avendo il giudice preso
in considerazione l’eventuale sussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129
cod. proc. pen.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte di cassazione ha chiesto, con
requisitoria scritta, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4.

Il ricorso è inammissibile perché palesemente infondato.

5.

Ricorda la Corte che, secondo un principio consolidato,

«facendo

richiesta di applicazione della pena, l’imputato rinuncia ad avvalersi della facoltà
di contestare l’accusa, o, in altri termini, non nega la sua responsabilità ed
esonera l’accusa dall’onere della prova; la sentenza che accoglie la detta
richiesta contiene, quindi, un accertamento ed un’affermazione impliciti della
responsabilità dell’imputato, e pertanto l’accertamento della responsabilità non
va espressamente motivato, così come l’affermazione di responsabilità non va
espressamente dichiarata» (Sez. U, n. 5777 del 27/03/1992, Di Benedetto). Di
conseguenza, «la motivazione della sentenza che applica la pena su richiesta
delle parti a norma dell’art. 444 comma secondo cod. proc. pen. si esaurisce in
una delibazione ad un tempo positiva e negativa. Positiva a quanto
all’accertamento: 1) della sussistenza dell’accordo delle parti sull’applicazione di
una determinata pena; 2) della correttezza della qualificazione giuridica del fatto
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calcolo la pena di anni 1 e mesi 3 di reclusione ed C 4.000,00 di multa,

nonché della applicazione e della comparazione delle eventuali circostanze; 3)
della congruità della pena patteggiata, ai fini e nei limiti di cui all’art. 27, terzo
comma, Cost.; 4) della concedibilità della sospensione condizionale della pena,
qualora l’efficacia della richiesta sia stata subordinata alla concessione del
beneficio. Negativa quanto alla esclusione della sussistenza di cause di non
punibilità o di non procedibilità o di estinzione del reato. Le delibazioni positive
debbono essere necessariamente sorrette dalla concisa esposizione dei relativi
motivi di fatto e di diritto, mentre, per quanto riguarda il giudizio negativo sulla
ricorrenza di alcuna delle ipotesi previste dall’art. 129 cod. proc. pen., l’obbligo

soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle dichiarazioni delle parti risultino elementi
concreti in ordine alla non ricorrenza delle suindicate ipotesi. In caso contrario, è
sufficiente la semplice enunciazione, anche implicita, di aver effettuato, con esito
negativo, la verifica richiesta dalla legge e cioè che non ricorrono gli estremi per
la pronuncia di sentenza di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen..» (Sez.
U, Di Benedetto, cit.).

6.Unico dovere indeclinabile del giudice resta quello di «esaminare, prima
della verifica dell’osservanza dei limiti di legittimità della proposta di pena
concordata, gli atti del procedimento al fine di riscontrare l’eventuale esistenza di
una qualsiasi causa di non punibilità, la cui operatività, giustificando il
proscioglimento dell’imputato e creando un impedimento assoluto
all’applicazione della sanzione, è necessariamente sottratta ai poteri dispositivi
delle parti. Tale operazione preliminare consiste in una ricognizione allo stato
degli atti, che può condurre a una pronuncia di proscioglimento ai sensi dell’art.
129 cod. proc. pen. soltanto se le risultanze disponibili rendano palese l’obiettiva
esistenza di una causa di non punibilità, indipendentemente dalla valutazione
compiuta dalle parti e senza la necessità di alcun approfondimento probatorio e
di ulteriori acquisizioni» (Sez. U, n. 3 del 25/11/1998, Messina).

7.Nel caso in esame, il Tribunale di Genova, investito, come detto, di
giudizio direttissimo a seguito di arresto dell’imputato e applicazione di misura
custodiale, ha escluso che dall’esame degli atti sussistessero elementi di prova
sui quali fondare una sentenza di proscioglimento. Il richiamo agli atti del
procedimento, la valutazione di sussistenza dell’attenuante applicata ed il
bilanciamento effettuato con la contestata recidiva, la affermata unicità del
disegno criminoso, dimostrano che il Giudice ha effettuato una valutazione
effettiva e reale degli elementi di prova a sua disposizione; il richiamo a tali atti,
inoltre, soddisfa ampiamente, tenuto conto della natura del rito, l’onere

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di una specifica motivazione sussiste, per la natura stessa della delibazione,

motivazionale richiesto in questi casi e rende del tutto immune la sentenza dalle
decisamente generiche censure che il ricorrente le muove.

8. L’inammissibilità del ricorso rende la sentenza irrevocabile dal giorno della
sua adozione (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca).

9.Nè la pena applicata può definirsi illegale alla luce del regime
sanzionatorio previsto dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 nella sua versione
applicabile “ratione temporis”, in conseguenza dell’intervenuta sentenza della

costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, del decreto-legge 30 dicembre
2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21
febbraio 2006, n. 49.

10.L’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, infatti, nella sua versione precedente
le modifiche apportate dall’art. 4-bis, lett. f), legge 49/2006, prevedeva, per le
sostanze stupefacenti e psicotrope di cui alle tabelle II e IV previste dall’art. 14
d.P.R. 309/90, un diverso e meno severo trattamento sanzionatorio (la pena
della reclusione da 6 mesi a 4 anni e della multa da C 1.032,00 ad C 10.329,00).

11.Tali modifiche, in conseguenza dell’intervento della Corte Costituzionale,
devono ritenersi “tanquam non essent”, con effetto “ex tunc” (fatta salva la
conservazione del trattamento sanzionatorio più favorevole al reo, come nel
caso, per esempio, del ripristino di minimi edittali superiori a quelli oggetto di
condanna).

12.Ne consegue che, al fine di valutare se la pena in concreto applicata sia
illegale, deve innanzitutto aversi riguardo al trattamento sanzionatorio vigente al
momento del fatto, <> dalle modifiche successivamente dichiarate
incostituzionali.

13.0rbene, nel caso in esame, il Tribunale, come detto, avrebbe potuto
applicare una pena che andava da un minimo di mesi 6 di reclusione ed C
1.032,00 di multa, ad un massimo di anni 4 di reclusione ed C 10.329,00 di
multa.

14.Sennonché la pena applicata in concreto si colloca ben all’interno dei
suddetti limiti edittali ed esprime un giudizio di adeguatezza al fatto concreto che
consente di escludere che il giudice, se avesse potuto, avrebbe applicato una
sanzione ancor più mite, come può chiaramente evincersi dal fatto che non ha
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Corte Costituzionale n. 32 dell’11/02/2014 che ha dichiarato l’illegittimità

nemmeno applicato il minimo di legge all’epoca ancora vigente (avendo posto a
base del calcolo la pena di anni 1 e mesi 3 di reclusione ed C 4.000,00 di multa)
ed avendo comunque effettuato un bilanciamento tra la fattispecie attenuata e la
recidiva contestata e conseguentemente manifestato un giudizio di congruità
della pena al fatto.

15.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616
c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C.
Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere per lo stesso delle spese del

ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella
misura di euro 1.500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 13/03/2014

procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle

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