Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31849 del 16/04/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31849 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto
da Bruzzese Vincenzo, nato il 24 novembre 1966
avverso la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria del 3 maggio 2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Giulio
Romano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udita, per l’imputato, l’avv. Monica Schipani, in sostituzione dell’avv. Giovanna
Beatrice Araniti.

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Data Udienza: 16/04/2014

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 3 maggio 2013, la Corte d’appello di Reggio Calabria ha
confermato la sentenza del Gip del Tribunale di Locri del 3 novembre 2009, resa a
seguito di giudizio abbreviato, con la quale – per quanto qui rileva – l’imputato era
stato condannato per una serie di cessioni illecite di eroina e cocaina a diversi soggetti
(capi a, c, d, e, limitatamente ad alcuni episodi, f dell’imputazione), con assoluzione
per alcuni degli episodi contestati (capo b e capo e, limitatamente ad alcuni episodi) e

2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si ribadisce l’eccezione di nullità della
sentenza di primo grado già proposta in appello relativameinte al difetto di
correlazione fra la contestazione di cui al capo e) e la condanna. La contestazione si
riferisce – secondo la difesa – alla cessione a più soggetti di quantitativi non precisati
di sostanze stupefacenti, mentre i giudici di merito avrebbero pronunciato condanna
per l’offerta o messa in vendita di sostanze stupefacenti.
2.2. – Si rileva, in secondo luogo, l’insufficienza e contraddittorietà della
motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza del reato di cui al capo e), perché
le condotte di offerta e messa in vendita possono essere ritenute sussistenti solo se
l’agente abbia l’effettiva disponibilità della sostanza stupefacente.
2.3. – In terzo luogo, si deduce la mancanza di motivazione circa l’utilizzabilità
delle dichiarazioni rese da Canale e Modafferi circa i reati di cui ai capi c), d), f) della
rubrica, trattandosi di soggetti acquirenti di sostanze stupefacenti sorpresi nei pressi
dell’abitazione dell’imputato, che avrebbero dovuto rivestire fin dall’inizio la qualità di
indagati e che avrebbero dovuto, perciò, essere interrogati alla presenza di un
difensore e con gli avvertimenti di legge. La Corte d’appello non avrebbe considerato,
in particolare, che i due dichiaranti avevano con sé grosse somme di denaro, erano
noti spacciatori di stupefacenti, rivestono tuttora la qualità di coimputati, unitamente
all’odierno ricorrente, in altri procedimenti penali relativi a stupefacenti tuttora
pendenti.
2.4. – In quarto luogo, si prospetta la mancanza di motivazione quanto al reato
di cui al capo a) dell’imputazione. In particolare, il giudice avrebbe ritenuto provata la
cessione di stupefacente a D’Agostino, le cui dichiarazioni sono stati ritenute
inutilizzabili, ignorando la sussistenza di un lecito rapporto lavorativo tra l’imputato e
tale ultimo soggetto. Quanto, in particolare, alla cessione che sarebbe avvenuta 1’11

con la recidiva di cui all’art. 99, secondo comma, n. 1), cod. pen. e la continuazione.

giugno 2002, si sarebbe ritenuto in via ipotetica che l’incontro avvenuto fra d’Agostino
e l’imputato parecchie ore prima rispetto rinvenimento lo stupefacente fosse stato
determinato dalla supposta cessione da parte di quest’ultimo, senza considerare che
d’Agostino avrebbe potuto acquistare lo stupefacente in una delle tante località
attraversate durante il percorso stradale da lui effettuato, visto che la sua
autovettura, sottoposta a pedinamento da parte della polizia giudiziaria, era stata
persa di vista per 30-40 minuti.

pronuncia impugnata circa il diniego delle circostanze attenuanti generiche, la
determinazione della pena in misura molto superiore al minimo edittale, la mancata
concessione dell’indulto, il mancato riconoscimento dell’ipotesi di minore gravità di cui
al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, trattandosi di cessioni di modeste
quantità di stupefacenti a soggetti tossicodipendenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è infondato.
3.1. – Il primo motivo di impugnazione – riferito alla pretesa mancanza di
correlazione fra l’imputazione di cui al capo e), relativa a cessioni di stupefacenti, e la
fattispecie ritenuta in sentenza, relativa ad offerte o messe in vendita di sostanze
stupefacenti – è manifestamente infondato.
Secondo la nota e costante giurisprudenza di questa Corte, sussiste violazione
del principio di correlazione tra accusa e sentenza se il fatto contestato sia mutato nei
suoi elementi essenziali, così da provocare una situazione di incertezza e di
cambiamento sostanziale della fisionomia dell’ipotesi accusatoria capace di impedire o
menomare il diritto di difesa dell’imputato. E proprio con riferimento all’ipotesi di
condanna per il fatto di offerta in vendita di sostanza stupefacente, a fronte di
contestazione di cessione della stessa, la violazione del principio è stata

2.5. – Con ulteriori motivi di doglianza, si contestano la motivazione della

espressamente esclusa (sez. 6, 9 novembre 2012, n. 6346, rv. 254888). Si tratta,
infatti, di due condotte che coincidono quanto al profilo essenziale dell’antiguridicità,
costituito per entrambe proprio dall’offerta o messa in vendita dello stupefacente, la
cui contestazione costituisce il nucleo essenziale dell’attività difensiva. Coerentemente
con tale impostazione, questa Corte ha altresì escluso che la condanna per il fatto di
offerta, messa in vendita o comunque cessione di stupefacente, a fronte di
contestazione di mera detenzione, integri una violazione del principio di
corrispondenza fra accusa e sentenza (sez. 6, 5 marzo 2009, n. 12156, rv. 243025).

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Tali principi sono stati richiamati e fatti propri dalla Corte d’appello, la quale ha
ritenuto, nel caso di specie, che le condotte di messa in vendita costituiscano azioni
prodromiche necessariamente rientranti nella complessiva attività che conduce alla
cessione indicata nell’imputazione (pagine 29-30 della sentenza impugnata).
3.2. – Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso, con cui si
rilevano l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione in relazione alla ritenuta
insussistenza del reato di cui al capo e), perché le condotte di offerta e messa in

disponibilità della sostanza stupefacente.
La Corte d’appello evidenzia, infatti, che dalle dichiarazioni accusatorie di
Modafferi (sulla cui utilizzabilità v. infra) emerge che l’imputato aveva una costante
disponibilità di sostanze stupefacenti. In ogni caso, al fine di configurare l’ipotesi di
offerta in vendita di stupefacente, è sufficiente la mera dichiarazione di essere in
grado di procacciare lo stupefacente stesso, purché l’offerta si presenti realizzabile e
seria, nel senso che l’offerente abbia o possa conseguire la disponibilità, anche non
immediata, della sostanza stupefacente (ex multis, sez. 6, 22 maggio 2012, n. 36818,
rv. 253348; sez. 1, 25 marzo 2010, n. 29670, rv. 248606).
2.3. – Infondato è il terzo motivo di impugnazione, con cui, si deduce la
mancanza di motivazione circa l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese da Canale e
Modafferi circa i reati di cui ai capi c), d), f) della rubrica, trattandosi – secondo la
prospettazione difensiva – di soggetti acquirenti di sostanze stupefacenti sorpresi nei
pressi dell’abitazione dell’imputato, che avrebbero dovuto rivestire fin dall’inizio la
qualità di indagati e che avrebbero dovuto, perciò, essere interrogati alla presenza di
un difensore e con gli avvertimenti di legge.
La Corte d’appello ha, infatti, fornito sul punto una motivazione pienamente
sufficiente e logicamente coerente, laddove ha evidenziato che si trattava di soggetti
che, almeno nei frangenti di cui all’imputazione, si presentavano all’imputato come
semplici acquirenti-consumatori di stupefacente, senza che fossero emersi a loro
carico inizialmente indizi di reità, perché essi avevano compiuto, seppure con una
certa continuità, acquisti di quantitativi di stupefacente non particolarmente elevati.
Né al momento in cui tali soggetti furono sentiti dagli inquirenti era emerso un
coinvolgimento di questi in indagini a loro carico relativamente allo spaccio di
stupefacenti, anche perché il contesto di tali indagini era in larga parte diverso da
quello nel quale operava l’imputato (pagine 16-18 della sentenza impugnata). La
stessa sentenza reca, inoltre, un’ampia motivazione anche con riferimento

vendita potrebbero essere ritenute sussistenti solo qualora l’agente avesse l’effettiva

all’attendibilità intrinseca ed estrinseca dei dichiaranti, non contestata dalla difesa se
non sulla base di mere indimostrate asserzioni.
2.4. – Il quarto motivo di impugnazione – con cui si prospetta la mancanza di
motivazione quanto al reato di cui al capo a) dell’imputazione relativamente alla
cessione di stupefacente a tale D’Agostino – è inammissibile, perché diretto ad
ottenere da questa Corte una rivalutazione del merito della responsabilità penale, già
analiticamente vagliato, con esito conforme, dai giudici di primo e secondo grado.

svolta e la personalità di D’Agostino, soggetto stabilmente dedito all’attività di
approvvigionamento al fine di successiva cessione di sostanza stupefacente del tipo
eroina, come era emerso da intercettazioni telefoniche ripetute nel tempo analiticamente riportate in sentenza e inequivocamente riferite a cessioni di
stupefacenti – con le quali si concordava, fra l’altro, un appuntamento fra i due. Vi era
stato, poi, un pedinamento, al quale era seguito un sequestro di stupefacente a carico
dello stesso D’Agostino (su tali ultimi elementi di prova, si veda la dettagliata
esposizione alle pagine 41-44 della sentenza). Ne alcuna plausibilità può essere
attribuita – secondo la ricostruzione dei giudici di secondo grado – alla ipotesi
alternativa per cui lo stupefacente sarebbe stato dato ad Agostino d’altro soggetto in
un momento in cui la sua auto era sfuggita al pedinamento, vista la convergenza di un
numero significativo di elementi in ordine alla responsabilità penale dell’imputato sul
punto.
2.5. – Gli ulteriori motivi di doglianza – con cui si contestano la motivazione
della pronuncia impugnata circa il diniego delle circostanze attenuanti generiche, la
determinazione della pena in misura molto superiore al minimo edittale, la mancata
concessione dell’indulto, il mancato riconoscimento dell’ipotesi di minore gravità di cui
al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, trattandosi di cessioni di modeste
quantità di stupefacenti a soggetti tossicodipendenti – sono inammissibili.
Quanto alla mancata concessione dell’indulto, deve rilevarsi che il ricorso per
cassazione sul punto può essere ritenuto ammissibile solo quando il giudice di merito
l’abbia erroneamente escluso, con espressa statuizione nel dispositivo della sentenza,
diversamente dovendo adirsi il giudice dell’esecuzione (ex plurimis, sez. 5, 22 ottobre
2009, n. 43262, rv. 245106; sez. 3, 15 aprile 2009, n. 25135, rv. 243907). Tale
principio trova applicazione anche nel caso di specie, in cui la Corte d’appello si è
limitata ad affermare che la richiesta di applicazione dell’indulto dovrà essere
deliberata in sede esecutiva.
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In particolare la sentenza impugnata delinea ampiamente l’attività investigativa

Quanto al mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui al comma 5 del richiamato
art. 73, i giudici di primo e secondo grado correttamente evidenziano che il fatto ha
una rilevante gravità: per la continuità dell’azione, per la presenza di rapporti con una
pluralità di acquirenti provenienti anche da località relativamente lontane, per le
ragguardevoli quantità di sostanza commerciate, per le articolate modalità operative
dell’attività criminale.
Quanto, infine, alla pena e alla mancata concessione delle circostanze

logica e coerente e, dunque, insindacabile in questa sede – che l’imputato ha
condanne definitive per un reato analogo e per ricettazione ed esprime una rilevante
propensione a delinquere.
4. – Il ricorso deve essere Conseguentemente rigettato, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q. M .
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2014.

attenuanti generiche, i giudici di primo e secondo grado sottolineano – con valutazione

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