Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31848 del 10/04/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31848 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GHISOLFI MARIO N. IL 27/06/1970
avverso la sentenza n. 4137/2009 CORTE APPELLO di MILANO, del
05/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIAPIA GAETANA SAVINO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
cz-gta-che ha concluso per e

e,

e

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 10/04/2014

Ritenuto in fatto
Con sentenza emessa in data 18 novembre 2008 il GUP presso il Tribunale di Pavia dichiarava
Ghisolfi Mario responsabile del reato di cui all’art. 73 co. 5 DPR 309/90 perché, con più azioni
esecutive del medesimo disegno criminoso cedeva a Brandoni Stephan Edward sostanza
stupefacente di tipo cocaina. Concessa l’attenuante della lieve entità, riconosciuta prevalente sulla
contestata recidiva reiterata infraquinquennale, e tenuto conto della diminuzione per il rito

multa.
Il giudice di prime cure riteneva sussistente la penale responsabilità del Ghisolfi in merito al reato
contestatogli sulla base della deposizione resa da Stephan Edward Brandoni. Secondo le
dichiarazioni di quest’ultimo, infatti, il Ghisolfi, suo conoscente, in varie occasioni gli aveva
fornito, dietro sua richiesta, più o meno una riga di cocaina che egli consumava occasionalmente
presso i locali bagno del ristorante presso cui svolgeva la attività di cameriere ( ristorante “Angolo
di Mare” sito nel centro storico di Pavia). Lo stesso Brandoni precisava di non aver mai pagato
suddette forniture, aggiungendo che i contatti con il Ghisolfi ed i conseguenti scambi si erano
protratti fino al momento in cui l’imputato non era stato tratto in arresto per la detenzione di 45 gr
di cocaina.
Proposto appello, la Corte di Appello di Milano confermava in toto l’appellata sentenza e
condannava l’imputato al pagamento delle spese processuali.
Avverso tale pronuncia il Ghisolfi ha presentato ricorso per cassazione per vizio di motivazione ed
erronea applicazione dell’art. 73 DPR 309/90 con conseguente illogicità del percorso seguito dal
giudice di merito nella determinazione della pena.
In sostanza il ricorrente sostiene che la Corte di Appello, confermando la decisione del giudice di
prime cure, avrebbe errato nell’inquadrare la vicenda nell’ambito della detenzione a fini di spaccio
trattandosi, al contrario, di un caso di “uso di gruppo” non punibile. Sostiene, infatti, la difesa che
nel caso di specie non sarebbe stata raggiunta alcuna prova con riguardo al fatto che la cocaina
detenuta dal Ghisolfi fosse finalizzata allo spaccio. Sarebbe, invece, provato, a detta della difesa,
che quest’ultimo ed il Brandoni fossero amici e che il teste, lavorando come cameriere in un
ristorante, invitasse, l’amico ogni tanto per stare insieme a fine serata mentre riordinava i tavoli e
che, a volte, i due, essendo assuntori di cocaina, consumavano la stessa insieme nei bagni del locale.
Dunque, a detta del ricorrente, manca la indefettibile prova di uno degli elementi costitutivi della
condotta di detenzione illecita: la destinazione della sostanza detenuta alla cessione a terzi mentre
sussistono tutti gli elementi richiesti dall’attuale giurisprudenza ai fini della configurabilità della
fattispecie non punibile del cd. “uso di gruppo” quali la presenza di un preventivo accordo, la
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abbreviato, è stato condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro 6.000,00 di

certezza sul piano dell’identificazione dei soggetti componenti il gruppo, la certezza nella
partecipazione al gruppo degli assuntori da parte del soggetto mandatario dell’acquisto, un numero
ridotto di passaggi della sostanza prima che la stessa entri in possesso del gruppo.
Il ricorso appare inammissibile. Difatti il ricorrente sub specie di vizio di motivazione e di erronea
applicazione della legge penale mira ad ottenere una nuova valutazione delle risultante probatorie
che è per definizione preclusa a questo giudice di legittimità.

una versione diversa rispetto a quanto affermato dal ricorrente: in particolare non si riviene alcuna
prova dell’uso di gruppo che, come è noto, presuppone l’assunzione da parte di tutti i soggetti che
partecipano all’acquisto. Al contrario dalle dichiarazioni del teste emerge che lo stesso consumava
da solo la cocaina offerta dal Ghisolfi. Nella vicenda in questione, quindi, il Brandoni appare
l’unico assuntore (nelle dichiarazioni, infatti, si legge “lui mi preparava la riga ed io la assumevo”).
Né è dato ravvisare nella vicenda in questione, come giustamente messo in evidenza dal giudice di
secondo grado, gli altri requisiti indicati dalla giurisprudenza di legittimità come condizioni
necessarie per la sussistenza del consumo di gruppo: in particolare si richiede che i componenti del
gruppo abbiano avuto fin dall’origine, quindi fin dall’acquisto, quel potere di fatto sulla cosa
proprio della detenzione. Se, invece, come nel caso di specie, manca tale circostanza l’acquirente
deve considerarsi l’unico originario detentore e la successiva consegna si configura come una
cessione penalmente rilevante. In altri termini, perché sia ravvisabile l’uso di gruppo nel caso in cui
l’acquirente sia unico, è necessario che lo stesso abbia agito su mandato degli altri appartenenti al
gruppo: solo in tal caso, infatti, si può dire che anche questi ultimi abbiano acquisto ab origine e pro
quota la disponibilità della sostanza con conseguente irrilevanza penale della successiva ripartizione
per l’uso in comune. Nel caso di specie, però, non risulta alcun mandato conferito dal Brandoni al
Ghisolfi per un acquisto della droga in comune (vedi ex pluris Cass., Sez. V n. 31443/2006 secondo
la quale “non è punibile la condotta di un soggetto, acquirente di sostanze stupefacenti, finalizzata
al consumo di gruppo quando si accerti che gli altri componenti abbiano avuto fin dal momento
dell’acquisto un autonomo potere di fatto sulla cosa, nel quale si sostanzia la detenzione, con la
conseguenza che, in mancanza di tale condizione, l’acquirente deve considerarsi l’unico originario
detentore e la successiva consegna si configura come una cessione penalmente rilevante).
Quanto al profilo sanzionatorio, il percorso seguito dal giudice di merito nel determinarlo risulta del
tutto logico contrariamente a quanto affermato dal ricorrente sennonché occorre considerare gli
effetti –

sulla sentenza impugnata della pronuncia cost. n. 34/2014 nonché del DL. 146 che ha

trasformato la fattispecie del co. 5 da attenuante ad autonoma figura di reato riducendo la pena
prevista per le ipotesi di lieve entità (oggi da 6 mesi a 5 anni).
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Peraltro merita notare che dalle dichiarazioni del Brandoni, riportate dalla Corte territoriale, emerge

Quanto alla pronuncia di illegittimità costituzionale, trattandosi di droga pesante, deve continuarsi
ad applicare la disciplina introdotta nel 2006 in quanto più favorevole: dunque la stessa non fa
sorgere la necessità di rideterminare la pena. Peraltro, merita notare, che la suddetta dichiarazione di
illegittimità non ha interessato il co. 5.
Per quanto concerne le modifiche apportate dal DL 146 poi convertito in legge, invece, occorre
rilevare che da una parte lo stesso ha reso l’ipotesi di lieve entità autonoma figura di reato e

generale la nuova legge sembrerebbe più favorevole per il reo e quindi dovrebbe trovare attuazione
in luogo della precedente disciplina con la necessità di rinviare ai fini della rideterminazione della
pena.
Nel caso di specie, però, tale necessità non sussiste risultando più favorevole la precedente
disciplina. Difatti deve considerarsi anche un altro elemento: la fattispecie del co. 5, essendo
all’epoca della pronuncia di primo e secondo grado unanimemente considerata un’attenuante, è
stata giudicata prevalente sulla recidiva reiterata infraquinquennale di cui al co. 3 dell’art. 99 la cui
applicazione avrebbe comportato un aumento di pena pari a due terzi.
Orbene alla luce della nuova disciplina applicando l’aumento per la suddetta disciplina alla pena
massima prevista per l’autonoma nuova fattispecie si arriva ad una pena pari ad 8 anni e tre mesi di
reclusione quindi ad una pena superiore ai sei anni applicabili in virtù della fattispecie di cui al co. 5
precedente formulazione giudicata prevalente rispetto alla contestata recidiva reiterata
infraquinquennale.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, in data 1 °aprile 2014.

dall’altro ha introdotto con riguardo alla stessa una cornice edittale più favorevole. Dunque in

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