Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31846 del 10/04/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31846 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA

Data Udienza: 10/04/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
URIBE QUICENO HUGO ALEXANDER N. IL 30/11/1981
avverso la sentenza n. 3006/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
16/07/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIAPIA GAETANA SAVINO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per e r(),,,…,…,„_,„tz„,c(2)…..—e —

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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Udit i difensor Avv. L-3(1.,•—- C3b-,31A-^

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Ritenuto in fatto

Con sentenza emessa in data 29 gennaio 2013 il Tribunale di Milano condannava Uribe Quiceno
Hugo Alexander alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione ed euro 14.000 di multa per i reati di cui
all’art. 73 co. 1 bis lett. a) DPR 309/90 perché illecitamente deteneva nella propria autovettura 19
involucri in cellophane trasparente contenenti cocaina per un peso complessivo di 156 gr. e presso

un peso pari a 232 gr., 16 dosi preconfezionate di cocaina per un peso di 4 gr., una dose di cocaina
del peso di 2 gr ed infine 4 dosi dello stesso stupefacente del peso complessivo di 2 gr.
Proposto appello, la Corte di Appello di Milano confermava in toto la sentenza di primo e
condannava l’imputato al pagamento delle ulteriori spese processuali.
Avverso tale pronuncia il difensore dell’imputato ha presentato ricorso per cassazione per i seguenti
motivi:
1) Inosservanza ed erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 125,
546 c.p.p. e 27 Cost. In particolare, la difesa lamenta di aver ricevuto una copia della sentenza di
primo grado non integrale, mancando l’indicazione dei capi di imputazione. Sul punto, però, la
Corte di Appello, sempre a detta della difesa, si sarebbe limitata ad enunciare il principio per cui
il rilascio di copia non integrale della sentenza non da luogo ad alcuna nullità in quanto, essendo
i capi di accusa noti a tutti sin dall’inizio, non si verifica alcuna menomazione del diritto di
difesa. Al contrario, sostiene il ricorrente, il richiamo alla imputazione di cui all’art. 546 c.p.p.
sta a significare che la sentenza deve riportare in modo preciso l’accusa che è stata mossa
all’imputato e che costituisce l’oggetto della decisione del giudice: ciononostante nel caso di
specie non è dato evincere il contenuto dei capi di imputazione né dal dispositivo, né dalla
motivazione né dal calcolo della pena finale in palese violazione dell’art. 27 Cost.
2) Violazione degli artt. 125, 546 c.p.p. in relazione all’art. 132 c.p. e vizio di motivazione in
relazione al trattamento sanzionatorio. A detta del ricorrente la sentenza di appello manca di
qualsivoglia specificazione in ordine alle modalità ed ai criteri seguiti nella determinazione della
pena irrogata. Ciò in aperto contrasto con l’art. 132 c.p. che nel codificare il principio di
discrezionalità nell’applicazione della pena ha posto come limite il dovere, per il giudice, i
criteri alla luce dei quali ha esercitato siffatto potere discrezionale. In altre parole la motivazione
costituisce uno strumento di limitazione e controllo della discrezionalità del giudice e per questo
deve essere logica, completa e mai contraddittoria.

1

la propria abitazione 4 panetti di cocaina per un peso complessivo di 326 gr., 34 ovuli di cocaina per

Ritenuto in diritto

Il primo motivo relativo alla mancata indicazione dei capi di imputazione è manifestamente
infondato in quanto gli stessi sono invero indicati nella sentenza di appello.
Peraltro costituisce principio consolidato in giurisprudenza quello per cui stante anche la previsione

nullità della sentenza qualora essa riporti la indicazione della imputazione non già nella epigrafe ma
nel suo stesso contesto, in modo tale da lasciare intendere in ordine a quale complessiva
contestazione sia stata adottata la decisione. Dunque la mancata o incompleta indicazione in
sentenza – nel caso di specie di appello – del capo di imputazione non ne determina la nullità, in
quanto l’enunciazione dei fatti e delle circostanze ascritti all’imputato può essere desunta dal
contenuto complessivo della decisione (Cass., Sez. V, n. 1137/2009)
Al pari inammissibile appare il secondo motivo di ricorso relativo al trattamento sanzionatorio.
Difatti, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, si è soffermata nel delineare per ciascuno
dei coimputati, quindi anche per l’odierno ricorrente, i criteri seguiti nella determinazione della
pena da applicare a ciascuno. In particolare, con riguardo all’Uribe Quiceno la stessa afferma di
aver tenuto conto dell’intensità del dolo, dell’ambiente di provenienza e della capacità criminosa
dimostrate. Spiega anche di aver concesso le attenuanti generiche in considerazione della condotta
processuale collaborativa tenuta dall’imputato. Infine riproduce l’iter logico matematico, il calcolo
eseguito, per quantificare la pena da irrogare nel caso di specie.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, in data lOaprile 2014.

tassativa dei casi di nullità della sentenza, di cui all’art. 546, comma terzo, c.p.p., non sussiste

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