Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31844 del 09/04/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31844 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LAPORTA VITA N. IL 13/10/1962
avverso la sentenza n. 1089/2011 CORTE APPELLO di LECCE, del
13/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIAPIA GAETANA SAVINO
Udito il Procuratore Generale in ersona del Qott.
che ha concluso per
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Data Udienza: 09/04/2014

Ritenuto in fatto e diritto

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Con sentenza emessa in data 14 marzo 2011 il Tribunale di Brindisi dichiarava Laporta Vita
responsabile del reato di cui agli artt. 81 cpv. c.p. e 2 co. bis L. 638/83 per aver omesso di versare
all’INPS le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti
nei periodi dicembre 2005- gennaio 2006 e da marzo 2006 a maggio 2008. Condannava la stessa

Presentato appello, la Corte di Appello di Lecce confermava in toto la sentenza di primo grado
condannando l’imputato al pagamento delle spese processuali.
Avverso tale sentenza l’imputato ha presentato ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
1) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 2 co. 1 bis L.
638/83
2) Mancato riconoscimento dell’esimente per aver agito in stato di necessità
3) Eccessività della pena
Con il primo motivo la ricorrente lamenta una erronea applicazione dell’art. 2 co. 1 bis L. 638/83
affermando che la Corte di appello avrebbe del tutto omesso di considerare alcuni aspetti inerenti
l’elemento soggettivo del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali. In
particolare, secondo la difesa prima il giudice di seconde cure descrive la fattispecie in esame quale
reato a dolo specifico consistente nella coscienza e volontà di trarre profitto dalle somme
indebitamente trattenute e, poi, afferma che, nel caso di specie, non occorre siffatto dolo considerato
che, esaurendosi l’elemento soggettivo nella coscienza e volontà dell’omissione, è sufficiente il
dolo generico.
Il motivo è inammissibile trattandosi della riproposizione di una censura già mossa con apposito
motivo di appello e che la Corte territoriale ha respinto con una motivazione del tutto logica e
condivisibile. Come giustamente affermato dal giudice di secondo grado e più volte precisato da
questa stessa Corte, infatti, il reato di omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali
non richiede il dolo specifico, bensì, il dolo generico consistente nella coscienza e volontà della
omissione o della tardività del versamento delle ritenute (vedi ex pluris Sez. III, n. 2354/2009).
Dunque la Corte di appello ha operato correttamente ritenendo integrato l’elemento psicologico
richiesto dall’art. 2 co. 1 bis L.: è innegabile, infatti, che l’imputata fosse consapevole
dell’omissione avendo lei stessa trasmesso all’INPS i modelli DM 10 contenenti l’indicazione dei
lavoratori che erano stati mensilmente retribuiti nonché delle ritenute previdenziali ed assistenziali
operate.

alla pena di mesi 4 di reclusione ed euro 400,00 di multa.

A1 pari infondata appare anche la seconda doglianza con la quale si lamenta l’omessa applicazione
dell’esimente dell’aver agito in stato di necessità. Anche in questo caso, infatti, si tratta della
pedissequa riproposizione di quanto già fatto valere con l’atto di appello.
Peraltro, come giustamente notato dalla Corte territoriale, il reato di omesso versamento delle
ritenute previdenziali ed assistenziali, è configurabile anche nel caso in cui si accerti l’esistenza del
successivo stato di insolvenza dell’imprenditore, in quanto è onere di quest’ultimo ripartire le risorse

adempiere all’obbligo del versamento delle ritenute, anche se ciò possa riflettersi sull’integrale
pagamento delle retribuzioni medesime (Cass. Sez. III, n. 38269/2007). Né incide sulla
configurabilità dello stesso la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e
destini risorse finanziarie per far fronte, ad esempio, a debiti ritenuti più urgenti (Sez. III, n.
13100/2011).
Infine risulta inammissibile anche la terza censura — peraltro già proposta in appello — relativa alla
eccessività della pena. Come più volte affermato da questa Corte, infatti, la determinazione della
pena al pari dell’applicazione e del bilanciamento delle circostanze attiene aspetti inerenti il merito
e, quindi, sottratti al giudizio di legittimità qualora, come nel caso di specie, siano logicamente
motivati. La Corte territoriale, infatti, nel negare le attenuanti generiche ha messo in luce la
presenza di precedenti anche specifici a carico della Laporta ed ha ritenuto la pena irrogata in primo
grado adeguata in relazione agli indici di cui all’art. 133 c.p. “tenuto conto dell’entità del danno
cagionato all’INPS, dei plurimi e specifici precedenti penali di cui la Laporta è portatrice e del
numero delle violazioni commesse”.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, in data

3 aprile 2014.

esistenti al momento di corrispondere le retribuzioni ai lavoratori dipendenti in modo da poter

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