Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31843 del 09/04/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31843 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COPPOLA GIUSEPPE N. IL 19/03/1966
avverso la sentenza n. 86/2013 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
BOLZANO, del 27/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIAPIA GAETANA SAVINO _
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per (1,Jzz,..),1:–2N:VC-e-Y.
i

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 09/04/2014

Ritenuto in fatto

Con sentenza emessa in data 8 febbraio 2013 il Tribunale di Bolzano dichiarava Coppola Giuseppe
responsabile del reato di cui agli artt. 81 cpv. e 2 Dlgs. 74/2000 perché, quale legale rappresentante
della “C & G. s.r.l.”, con più azioni esecutive dello stesso disegno criminoso, al fine di evadere le
imposte sui redditi e sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti relative

venivano registrate nelle scritture contabili obbligatorie, indicava nelle dichiarazioni dei redditi e
sul valore aggiunto relative agli anni di imposta 2004-2005-2006 elementi passivi fittizi
(segnatamente fattura n. 3/2004 emessa dalla Edil Komp s.r.l. per un imponibile pari a 12.500,00
euro ed un’IVA pari a 2.500,00; fattura n. 6 del 18/2004 emessa dalla Edil Komp ditta individuale
di Kompatscher Hildegard per un imponibile pari a 7. 500,00 euro ed un’IVA pari a 1.500,00;
fatture del 2005 limitatamente alle fatture della Elettrobus di Camuti Sebastiano dalla n. 14 dd.
07/03/2005; fatture relative all’anno 2006 per un ammontare di 134.317,00 euro ed un’IVA pari a
26.863,00). Condannava lo stesso alla pena di anni uno di reclusione nonché al pagamento delle
spese processuali ed alle pene accessorie dell’interdizione dagli uffici direttivi delle persone
giuridiche e delle imprese per la durata di un anno, dell’interdizione dalle funzioni di
rappresentanza ed assistenza in materia tributaria per la durata di due anni, dell’interdizione
perpetua dall’ufficio di componente di commissione tributaria e dell’incapacità di contrattare con la
PA per la durata di un anno e sei mesi. Ordinava, infine, la pubblicazione della sentenza sul
quotidiano Alto Adige, per una sola volta, per estratto ed a spese dell’imputato.
Proposto appello, la Corte di Appello di Trento, in parziale riforma della sentenza di primo grado e
previa concessione delle attenuanti generiche, riduceva la pena a mesi otto di reclusione none le
pene accessorie rispettivamente a mesi otto, ad anni uno, ad anni uno e mesi due e ad anni uno e
mesi sei. Confermava nel resto l’appellata sentenza.

all’acquisto di materiale ed attrezzature edili ed alla fruizione di prestazioni di servizio che

Avverso tale pronuncia il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione per i seguenti
motivi:
1) Difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dei reati contestati al Coppola ed alla verifica
delle censure opposte dalla difesa nonché alla sussistenza del dolo specifico della fattispecie. In
particolare, secondo il ricorrente la Corte di appello si sarebbe limitata a richiamare per
relationem la sentenza di primo grado senza dare atto del percorso motivazionale in base al
quale ha ritenuto di confermare sotto tali profili la sentenza appellata.
2) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 2 Dlgs. 74/2002 e
192 c.p.p. A detta del ricorrente, il giudice di seconde cure avrebbe violato il principio, più volte

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affermato in sede di legittimità, in base al quale le presunzioni fiscali non rilevano in ambito
penale, con la conseguenza che il giudice non può applicarle né può ricorrere a criteri di
valutazione induttivi indiretti affini alle presunzioni ma deve essere l’accusa ad eseguire gli
accertamenti atti a provare la colpevolezza dell’imputato in relazione ad ogni elemento
costitutivo del reato. Tali presunzioni, osserva il ricorrente, possono avere al più un valore
indiziario ma non possono costituire, di per sé, fonte di prova della commissione del reato,

giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della
condotta criminosa (cita Cass. Sez. III, n. 19709/2013). Ne consegue, secondo l’assunto
difensivo, che in materia penale non è ammissibile alcun inversione dell’onere della prova che
imponga al contribuente di giustificare le operazioni compiute e che il giudice penale non potrà
limitarsi a presumere l’esistenza degli elementi costitutivi del reato fiscale sulla base delle
norme tributarie o di argomentazioni indiziarie indirette ma dovrà acceli al di la di ogni
ragionevole dubbio: nel caso di specie, quindi, la Corte di appello avrebbe dovuto verificare
l’inesistenza delle operazioni rappresentate nella fattura inserita in contabilità e non ritenere
attraverso meri indizi l’inesistenza dell’operazione. Al contrario la Corte di appello di Bolzano,
afferma la difesa, confermando la decisione del giudice di prime cure, ha sovvertito il principio
in esame ed ha omesso di indicare in motivazione gli elementi acquisiti ed i criteri di
valutazione adottati per superare le prove offerte dalla difesa sull’esistenza delle operazioni.
3) Erronea applicazione dell’art. 2 Dlgs. 74/2000 e vizio di motivazione in relazione alla
valutazione degli elementi indiziari relativi alle singole annualità di imposta e fatture contestate
all’imputato. In particolare, il ricorrente sostiene che la Corte di appello non abbia tenuto in
debito conto le prove offerte dalla difesa omettendo ogni raffronto tra le stesse e gli elementi
presuntivi ed indiziari rilevati dalla Guardia di Finanza. In questo modo il giudice di seconde
cure avrebbe omesso valutare l’effettiva gravità, precisione e concordanza degli elementi posti
dal giudice di primo grado a fondamento della ritenuta inesistenza delle operazioni inserite in
contabilità e di cui è causa. Peraltro, nota ancora il ricorrente, la Corte territoriale non si è
neppure pronunciata sulla natura soggettiva o oggettiva dell’inesistenza dell’operazione:
qualificazione che, se orientata sulle operazioni soggettivamente inesistenti, avrebbe permesso
al Coppola, secondo la difesa, di provare l’insussistenza del dolo specifico della fattispecie. In
proposito la difesa, infatti, afferma che “allorquando l’imputato, benché non tenuto a provare
l’esistenza effettiva dell’operazione, possa fornire tale prova, laddove, come nel caso di specie,
manchi la prova e l’individuazione del soggetto che effettivamente ha svolto il lavoro, il giudice

assumendo il valore esclusivamente di dati di fatto che devono essere valutati liberamente dal

debba ritenere configurato, secondo la definizione di cui all’art. 1 Dlgs. 74/2000, non una
operazione oggettivamente inesistente, bensì un’operazione soggettivamente inesistente”.
4) (Specificazione del terzo motivo) 3. A, B, C. Vizio di motivazione ed errata applicazione
dell’art. 2 Dlgs. 74/2000. In particolare il ricorrente lamenta l’erronea qualificazione delle
operazioni sottostanti le fatture n. 3 e 6 del 2004 emesse dalla ditta individuale Edile Komp, le
fatture emesse dalla Elettrobus di Camuti Sebastiano in relazione all’anno di imposta 2005, le

Elettroimpianti Sas nonché l’assenza dell’elemento oggettivo del reato.

Ritenuto in diritto

Il ricorso risulta inammissibile non solo perché eccessivamente generico ma anche, e soprattutto, in
quanto, tramite l’adduzione di vizi rientranti nei motivi di ricorso di cui all’art. 606 c.p.p., in realtà,
il ricorrente cerca di ottenere una diversa valutazione degli elementi di prova che è preclusa al
giudice di legittimità.
Come è noto, infatti, nel giudizio di legittimità il sindacato sulla correttezza del procedimento
indiziario non può consistere nella rivalutazione della gravità, della precisione e della concordanza
degli indizi. Ciò comporterebbe inevitabilmente degli apprezzamenti riservati al giudice di merito.
Dunque la Suprema Corte deve limitarsi ad un controllo logico e giuridico della struttura della
motivazione, al fine di verificare se sia stata data esatta applicazione ai criteri legali dettati dall’art.
192 co. 2 c.p.p. e se siano state coerentemente applicate le regole della logica nell’interpretazione
dei risultati probatori. In altri termini, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della
correttezza del ragionamento probatorio del giudice di merito, che deve fornire una ricostruzione
non inficiata da manifeste illogicità e non fondata su base meramente congetturale in assenza di
riferimenti individualizzanti, o sostenuta da riferimenti palesemente inadeguati. Al contrario non si
può pretendere, come vorrebbe la difesa, in sede di legittimità una diversa valutazione degli stessi
elementi già apprezzati dal giudice di primo e secondo grado (vedi ex pluris Cass. Sez. I, n.
42993/2008; Cass. Sez. IV, n. 48320/2009).
Peraltro merita precisare che la sentenza di appello che richiama la decisione di primo grado è
viziata per carenza di motivazione solo qualora il giudice di seconde cure si sia limitato a riprodurre
la decisione confermata, dichiarando in termini apodittici e stereotipati di aderirvi, senza dare conto
degli specifici motivi di impugnazione che censurino in modo puntuale le soluzioni adottate dal
giudice di primo grado e senza argomentare sull’inconsistenza o sulla non pertinenza degli stessi
(vedi ex pluris Cass., Sez. Vi, n. 49754/2012). In tal caso, infatti, non si può evocare lo schema

fatture del 2006 emesse dalla Elle System S.n.c. e la fattura 29/2006 emessa dalla

della motivazione “per relationem” (che, come è noto, è normalmente ammessa a patto che il
giudice di seconde cure dimostri di aver fatto proprie le argomentazioni poste a fondamento della
decisione richiamata).
Quest’ultima circostanza, però, è da escludersi nel caso di specie in quanto la Corte di appello nel
richiamare le determinazioni del giudice di primo grado ha dato adeguata e logica spiegazione della
ragioni che la hanno portata a condividerle e, quindi, a scartare le diverse prospettazioni della

Quanto alla materialità dei fatti contestati al Coppola, infatti, ha confermato la sentenza di primo
grado quanto alle fatture della ditta Komp perché le stesse riguardano l’anno 2004 ma tale ditta ha
cessato la propria attività nel 2002, non vi è traccia documentale dei relativi pagamenti anche se
somme così ingenti normalmente non si pagano in contanti, la forma grafica delle stesse è risultata
ben diversa da quella delle fatture normalmente emesse da tale ditta e le causali sono del tutto
generiche.
Quanto alle fatture dell’anno 2005 della Elettrobus di Camuti Stefano la Corte di appello ha messo
in luce che è stato lo stesso titolare a dichiarare di non averle mai emesse ed a favore
dell’attendibilità del teste milita una circostanza significativa: dalla contabilità della Elettrobus sono
emerse altre fatture recanti la medesima numerazione attribuita alle fatture contestate ma emesse nei
confronti di altre ditte. Peraltro, anche in questo caso la forma grafica delle fatture utilizzate dal
Coppola è diversa rispetto alle altre fatture effettivamente emesse dalla Elettrobus e non vi è
documentazione dei pagamenti anche se normalmente una somma di circa 100.00 euro difficilmente
viene pagata in contanti.
Per quanto concerne, infine, le fatture utilizzate nella contabilità del 2006 la sentenza di appello
evidenzia che le ditte emittenti, la Elle System S.n.c. e la Elettroimpianti S.a.s sono risultate
sconosciute, neppure il Coppola è stato in grado di indicarne i legali rappresentanti e le utenze
telefoniche riportate nelle fatture sono risultate inesistenti.

difesa.

Quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, più volte contestata dal ricorrente, la
Corte di appello ha giustamente osservato che lo stesso non si può che ritenere sussistente atteso che
il Coppola certamente sapeva di inserire nella propria contabilità fatture relative ad operazioni
inesistenti. Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti
per operazioni inesistenti di cui all’art. 2 D.Lgs. 74/2000, infatti, è integrato dalla registrazione in
contabilità delle false fatture o dalla loro conservazione ai fini di prova, nonché dall’inserimento
nella dichiarazione d’imposta dei corrispondenti elementi fittizi, condotte queste ultime tutte
congiuntamente necessarie ai fini della punibilità ed è configurabile anche nel caso in cui la falsa

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documentazione venga creata dal medesimo utilizzatore che la faccia apparire come proveniente da
terzi (Cass. Sez. III, n. 48498/2011).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e

Così deciso in Roma, in data

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aprile 2014.

della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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