Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31836 del 16/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 31836 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FORASTEFANO ANTONIO N. IL 04/11/1971
avverso il decreto n. 101/2009 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 19/10/2012
sentita la relazione fatt
l Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO;
fette7~e conclusioni del P o .

Uditi difenso Avv.;

Data Udienza: 16/05/2014

Letta la requisitoria del PG, che ha concluso per la inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN FATTO

2. Ricorre per cassazione il difensore e deduce violazione di legge e carenza
dell’apparato motivazionale, atteso che la corte, pur dando atto dello status di collaboratore di
giustizia del ricorrente, ha erroneamente applicato la legge penale, sostenendo che tale status
non fa venir meno la pericolosità sociale e l’attualità della stessa. Sulla base della medesima
massima giurisprudenziale citata dal giudice dell’appello, si deve in vero arguire il contrario. È
ben vero che all’acquisizione dello status di collaboratore non consegue automaticamente la
scomparsa della pericolosità sociale del soggetto, ma, nel caso di specie, appare evidente che
proprio il conseguimento di tale status e l’inserimento del ricorrente nel programma di
protezione hanno reciso in maniera inequivocabile ogni legame con la compagine malavitosa
nella quale aveva militato.
2.1. Per quel che riguarda poi la misura patrimoniale, contrariamente a quanto
sostenuto nel provvedimento che si impugna, il venir meno della pericolosità sociale, a seguito
della ricordata rescissione dei contatti con la criminalità organizzata, fa venir meno anche il
presupposto della misura reale, atteso che i beni che si intende confiscare in realtà non
possono più essere utilizzati per fini contrari alla legge.
3. In data 5 settembre 2013 sono stati depositati motivi aggiunti, con i quali si ribadisce
la censura di violazione di legge anche per mancanza assoluta di motivazione, derivante,
oltretutto, dalla mancata assunzione di prova decisiva. Invero, con sentenza della sesta
sezione della corte di cassazione n. 17912, resa all’udienza del 7 marzo 2013, è stata cassata
la sentenza di condanna della corte d’appello di Catanzaro relativa al reato associativo; di
talché viene a cadere il perno logico intorno al quale ruota l’intera motivazione relativa alla
pericolosità del ricorrente. Oggetto di cassazione è stato anche il provvedimento di confisca (ex
articolo 12 sexies della legge 356 del 1992) incidente sui medesimi beni oggetto dell’attuale
provvedimento di prevenzione reale. Di tutto ciò non ha voluto tener conto il giudice a quo, il
quale peraltro dubita anche dell’effettivo status di collaboratore ammesso al programma
speciale di protezione del ricorrente, addebitando alla difesa di non aver fornito prova
documentale di detto status. Ebbene, a parte il fatto che il dato della collaborazione del
ricorrente era ed è notorio negli ambienti giudiziari catanzaresi, nulla impediva alla corte
d’appello di acquisire ex officio, come doveroso, detto documento.
3.1. Sotto altro aspetto, si sostiene da parte della corte territoriale che la perdurante
collaborazione (iniziata due anni addietro) non abbia rescisso i legami con la struttura mafiosa
di origine; ma questa è affermazione che cozza contro la logica e l’esperienza.
3.2. Quanto alla misura patrimoniale, la corte d’appello trascura colpevolmente il fatto
che il Forastefano disponeva legittimamente di somme sufficienti per acquistare i beni
erroneamente oggetto di provvedimento ablativo (C 78.000 derivanti dalla risarcimento per
ingiusta detenzione ed C 49.000 derivanti dall’indennità per la malattia della figlia).

1. Con il provvedimento di cui in epigrafe, la corte di appello di Catanzaro ha
confermato i decreti del tribunale di Cosenza con i quali veniva disposta la misura di
prevenzione della sorveglianza speciale, nonché la misura patrimoniale della confisca nei
confronti di Forastefano Antonio.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Come è noto, in tema di misure di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso
solo per violazione di legge. Non può dunque tenersi conto delle doglianze riconducibili alla
categoria della illogicità o contraddittorietà della motivazione.
1.1. E tuttavia costituisce jus receptum (cfr. ad es. ASN 200414107-RV 229305) il
principio in base al quale la motivazione c.d. apparente è in realtà una non-motivazione, in
presenza della quale si deve necessariamente concludere che il giudice, violando il disposto
normativo, non ha corredato la sua decisione di un (reale) apparato argomentativo. La
mancanza di motivazione (e dunque anche la motivazione apparente) integra pertanto

..L.

2. Quanto alla misura reale, il provvedimento impugnato afferma (a fol. 4) che i dati
forniti dalla difesa “anche quando nuovi rispetto a quelli già valutati in primo grado, sono
inidonei…a scardinare le argomentazioni esposte nel decreto di confisca”.
Ebbene, è evidente che la corte di merito avrebbe dovuto chiarire, innanzitutto, a quali dati
abbia inteso fare specifico riferimento (si ricorda che il ricorrente fa parola della somma
complessiva di € 127.000, rivenienti da risarcimenti e indennità) e, in secondo luogo, per qual
motivo tali dati debbano essere considerati privi di incidenza.
2.1. Anche su tale versante, dunque, la motivazione ha il carattere della mera
apparenza.

violazione di legge e, in quanto tale, ben può essere dedotta anche in sede di ricorso per
cassazione avverso misura di prevenzione.
1.2. Nel caso in esame, la mera apparenza della motivazione si evidenzia con
riferimento allo status di collaboratore di giustizia, che, per stessa ammissione della corte
territoriale, il Forastefano riveste (e rivestiva al momento del giudizio di merito).
1.3. Invero, al proposito, la corte di appello, innanzitutto, evidenzia una (prima)
incongruenza motivazionale quando afferma che l’ordinamento vigente non prevede alcun
beneficio per i collaboranti in tema di misure di prevenzione. L’affermazione, in sé considerata,
è esatta, ma non è pertinente al thema decidendum , atteso che la difesa non aveva invocato
per Forastefano uno specifico beneficio (quasi che esso scaturisse automaticamente dal
riconosciuto status di collaboratore di giustizia), ma aveva evidenziato tale status perché se ne
tenesse conto ai fini della valutazione della attualità della pericolosità sociale del predetto. In
merito, la corte catanzarese si limita a rilevare che la collaborazione aveva avuto inizio da poco
tempo e che essa non comportava ispso jure l’affievolimento della pericolosità del proposto.
Il che è certamente esatto, ma non esime il giudice del merito dalla verifica in concreto circa la
permanenza di tale pericolosità, nonostante la “svolta collaborativa” impressa dal soggetto alla
sua esistenza criminale.
È infatti indubbiamente vero che, pur in presenza di un’accertata condotta collaborativa e dei
conseguenti riconoscimenti amministrativi (ammissione al programma speciale di protezione),
il giudice della prevenzione resta comunque libero di operare apprezzamenti anche divergenti
sul piano della pericolosità del collaboratore, ma lo stesso non può trascurare la circostanza
che l’assunzione di quella condizione presuppone già un accertamento di qualità personali e di
elementi di fatto che non richiedono alcuno specifico onere dimostrativo da parte
dell’interessato ai fini dello scrutinio circa l’esistenza o il permanere della pericolosità sociale
(ASN 200420612-RV 229525). È dunque il giudice che deve chiarire per qual motivo ritiene
che, ad onta dell’intrapreso percorso collaborativo (che non può non implicare accuse e
chiamate in correità in danno dei vecchi sodali malavitosi), il soggetto sia da considerare
(ancora) portatore di concreta e apprezzabile capacità criminale.
1.4. Ebbene, nel caso in esame, la corte d’appello di Catanzaro, invertendo il principio
sopra enunciato, si limita ad affermare che non vi è prova che la collaborazione abbia del tutto
eliso i legami del collaborante con la struttura criminale nella quale aveva militato e,
conseguentemente, azzerato la sua pericolosità sociale.
1.5. In realtà, anche in tema di misure cautelari, si è ritenuto (tra le tante: ASN
201121245-RV 250295) che la scelta di collaborare con la giustizia, sia certamente elemento
rilevante ai fini dell’eventuale superamento della presunzione di pericolosità sancita dall’art.
275, comma terzo, cpp. Compete tuttavia al giudice la concreta verifica del fatto che il
comportamento collaborativo possa essere effettivamente “letto” (oppure no) come espressivo
della diversa condizione di vita intrapresa, vale a dire di una scelta radicale di rimozione di
qualsivoglia legame con la criminalità organizzata e, in particolare, con la precedente attività
delinquenziale. Così che, ad esempio, si è ritenuto (ASN 201003488-RV 245984) che una
collaborazione solo parziale fosse da interpretare come sintomatica di una non completa (e non
definitiva) rottura con l’ambiente criminogeno di appartenenza
1.6. Sussistendo la eadem ratio, non vi è motivo di non applicare il principio anche alle
misure di prevenzione, con la conseguenza che, perché la scelta collaborativa sia considerata
dato fattuale neutro (e dunque non significativo), è necessario che il giudicante chiarisca donde
abbia tratto il suo convincimento.

3. Conclusivamente il provvedimento ricorso va annullato con rinvio alla medesima
corte, per nuovo esame.
PQM
annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame alla corte di appello di
Catanzaro

Così deciso in Roma, camera di c nsiglio, in data 16.5.2014.-

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