Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31820 del 10/05/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 31820 Anno 2013
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: AMORESANO SILVIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SANTORO ROMANINO N. IL 18/12/1946
avverso la sentenza n. 437/2009 TRIBUNALE di VALLO DELLA
LUCANIA, del 22/05/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVIO AMORESANO;

Data Udienza: 10/05/2013

1) Con sentenza del 22.5.2012 il Tribunale di Vallo della Lucania, in composizione
monocratica, condannava Santoro Romanino, previo riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche, alla pena di euro 400,00 di ammenda per i reati di cui agli artt.
64 e 71, 65 e 72, 93 e 95 DPR 380/2001, unificati sotto il vincolo della continuazione.
Propone ricorso per cassazione il Santoro, a mezzo del difensore, denunciando la
violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla omessa declaratoria di
estinzione dei reati per intervenuta sanatorio, ed in relazione alla determinazione
della pena.
2) Il ricorso propone censure completamente disancorate dal tessuto argomentativo
della pronuncia gravata e, per di più, è manifestamente infondato.
2.1) Il Tribunale ha invero correttamente rilevato che il rilascio di permesso in
sanatorio non può determinare l’estinzione dei reati di cui ai capi b), c) e d).
A norma dell’art.45 DPR 380/01, infatti, il rilascio in sanatorio del permesso di
costruire estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti.
La giurisprudenza di questa Corte ( a partire da quella formatasi in relazione agli
artt.13 e 22 L.47/85) ha costantemente affermato che l’effetto estintivo non opera
nei confronti dei reati aventi oggettività giuridica diversa, come quelli relativi a
violazioni di disposizioni dettate dalle leggi in materia di costruzioni in zona sismica, di
opere in conglomerato cementizio o di vincoli ambientali e paesaggistici.
Tali disposizioni, infatti, pur riguardando l’attività edificatoria sono “diverse” sotto il
profilo della ratio e degli obiettivi perseguiti, da quelle in materia urbanistica <(cfr. ex multis Cass.sez.3 2.7.1994 n.7541; Cass.sez.3 26.6.1997 n.6225; Cass.sez.3 n.11511 del 15.2.2002; Cass.sez.3 22.5.2006 n.17591). 2.2) Quanto al trattamento sanzionatorio, dopo aver riconosciuto le circostanze attenuanti generiche ed optato per la sanzione pecuniaria, il Tribunale ha richiamato tutti i criteri di cui all'art.133 c.p. nella determinazione della pena base. Peraltro, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficiente a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art.133 c.p.le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" (cfr. Cass.pen. Sez. 2 n.36245 del 26.6.2009). 2.3) Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro 1.000,00 ai sensi dell'art.616 c.p.p. 2.3.1) Va solo aggiunto che l'inammissibilità del ricorso non consente di dichiarare la prescrizione maturata dopo l'emissione della sentenza impugnata. OSSERVA Questa Corte si è pronunciata più volte sul tema anche a sezioni unite (per ultimo sent.n.23428/2005-Bracale). Tale pronuncia, operando una sintesi delle precedenti decisioni, ha enunciato il condivisibile principio che l'intervenuta formazione del giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perché contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art.591 comma 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione, e art.606 comma 3), precluda ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata sia di rilevarla d'ufficio. L'intrinseca incapacità dell'atto invalido di accedere davanti al giudice dell'impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico, divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato il giudicato sostanziale". P. Q. M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 10.5.2013

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