Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31819 del 23/04/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 31819 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VATSADZE GEORGE ALIAS… N. IL 13/07/1977
avverso la sentenza n. 2809/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del
30/09/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 23/04/2014

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Carmine Stabile, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

d’appello di Milano il 14 maggio 2012, il G.U.P. del Tribunale di Milano, in esito a
rito abbreviato, condannava Vatsadze George alla pena di giustizia per i delitti di
furto in abitazione di opere d’arte, trasferimento all’estero di cose di interesse
artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o
archivistico e possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi. Le
opere d’arte furono ritrovate dalla polizia giudiziaria francese in una stanza
d’albergo di Parigi, occupata da tale Dadjani Levan, nominativo che l’odierno
imputato utilizzava insieme ad altri indicati nella decisione impugnata.
2. Contro la sentenza propone ricorso per Cassazione l’imputato, con atto
sottoscritto dal difensore, avv. Aurelio Gironda, con il quale deduce violazione
dell’art. 606, lettera B, cod. proc. pen., in relazione agli articoli 178 e 370 cod.
proc. pen., poiché l’imputato è stato interrogato da parte di ufficiali di polizia
giudiziaria e non del pubblico ministero di Roma, in violazione della norma
processuale che disciplina gli atti diretti e gli atti delegati del pubblico ministero.
In particolare si censura la motivazione della decisione, laddove la Corte
territoriale ha ritenuto inapplicabile al caso di specie il divieto di delega
dell’interrogatorio, allorchè l’imputato sia detenuto per altra causa. Il ricorrente
richiama la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 9 del
25/03/1998, D’Abramo, Rv. 210803), secondo la quale la garanzia prevista dalla
norma processuale si applica anche al caso in cui l’indagato sia detenuto per un
diverso procedimento. Inoltre si deduce l’assenza di un atto formale di delega da
parte dell’organo inquirente di Milano, indirizzato a quello di Roma.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente va dato atto dell’istanza di rinvio depositata in data 22 aprile
2014 unitamente all’atto di nomina dall’avv. Vittorio Mennella, per concomitante
impegno professionale. Tale istanza, su conforme parere del pubblico ministero

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1. Con la sentenza resa in data 14 gennaio 2009, confermata dalla Corte

di udienza, è stata disattesa, considerata da una parte la tardività, essendo stata
presentata solamente 1 giorno prima dell’udienza e dall’altra la presenza di altro
difensore di fiducia, l’avv. Aurelio Gironda, autore del ricorso, non revocato con
la nuova nomina.
2. Passando alla disamina del ricorso, lo stesso va rigettato.

corso dell’interrogatorio presso la casa circondariale di Rebibbia, poiché reso alla
polizia giudiziaria delegata, anziché personalmente al magistrato inquirente,
come imposto dall’art. 370 cod. proc. pen. ed in assenza di una delega del
pubblico ministero di Milano, titolare del procedimento, a quello di Roma.
2.1 Come è noto la categoria dell’inutilizzabilità è disciplinata dall’art. 191 cod.
roc. pen., norma che sancisce il divieto di utilizzazione delle prove acquisite in
violazione dei divieti stabiliti dalla legge e la rilevabilità del vizio anche di ufficio,
in ogni stato e grado del procedimento.
Come è stato autorevolmente osservato in dottrina il concetto di inutilizzabilità
dell’atto si collega al principio di legalità della prova, con il quale si indica che
l’esercizio del potere conoscitivo del giudice è sottoposto ai limiti fissati dalla
legge, nel senso che sono previste regole legali probatorie in grado di selezionare
i dati utilizzabili determinando, in anticipo, i modi in cui il giudice deve conoscere
i fatti. Si è anche sottolineato che tale precetto esprime la reazione negativa
dell’ordinamento di fronte al fenomeno delle prove illegittime, perché acquisite
contra legem, sia con riferimento al momento dell’acquisizione, sia, ancor prima,
della loro ammissione.
Pur non essendo codificato un principio di tassatività, si ritiene che non ogni
violazione di legge determini l’inutilizzabilità del risultato probatorio, dovendosi
avere riguardo più che al dato letterale che lo espliciti, al fine che una certa
modalità di prova vuole tutelare: in altri termini solo la violazione di un bene
giuridico fondamentale comporta l’inutilizzabilità della prova.
In questa prospettiva si afferma comunemente che sono inutilizzabili le prove cd.
c.d. incostituzionali o, più in generale, illecite, cioè, quelle ottenute attraverso
modalità, metodi e comportamenti realizzati in violazione di fondamentali diritti
dell’individuo.
2.2 In giurisprudenza si è ritenuto che rientrano nella categoria delle prove
sanzionate dall’inutilizzabilità le

“prove oggettivamente vietate” e

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le prove

Il ricorrente lamenta l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’imputato nel

formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati dalla “legge”, ed a
maggior ragione, quindi, quelle acquisite in violazione dei diritti tutelati in modo
specifico dalla Costituzione (Sez. U, n. 21 del 13/07/1998 – dep. 24/09/1998,
Gallieri, Rv. 211196). Ipotesi quest’ultima sussumibile nella previsione dell’art.
191 c.p.p., proprio perché l’antigiuridicità di prove così formate od acquisite

Costituzione; ciò significa anche che l’inosservanza delle formalità prescritte dalla
legge ai fini della legittima acquisizione della prova nel processo non è, di per sè,
sufficiente a rendere quest’ultima inutilizzabile, per effetto di quanto disposto dal
primo comma dell’art. 191 cod. proc. pen..
Quest’ultima norma, se ha previsto l’inutilizzabilità come sanzione di carattere
generale, applicabile alle prove acquisite in violazione ai divieti probatori, non ha,
per questo, eliminato lo strumento della nullità, in quanto le categorie della
nullità e dell’inutilizzabilità, pur operando nell’area della patologia della prova,
restano distinte e autonome, siccome correlate a diversi presupposti, la prima
attenendo sempre e soltanto all’inosservanza di alcune formalità di assunzione
della prova – vizio che non pone il procedimento formativo o acquisitivo
completamente al di fuori del parametro normativo di riferimento, ma questo
non rispetta in alcuni dei suoi peculiari presupposti – la seconda presupponendo,
invece, la presenza di una prova “vietata” per la sua intrinseca illegittimità
oggettiva (si pensi ai casi disciplinati dagli articoli 407, 430 e 240 cod. proc.
pen.), ovvero per effetto del procedimento acquisitivo, la cui manifesta
illegittimità lo pone certamente al di fuori del sistema processuale, poichè incide
negativamente sui diritti fondamentali del cittadino (Sez. U, n. 5021 del
27/03/1996 – dep. 16/05/1996, Sala, Rv. 204644)
2.3 Applicando questi principi al caso di specie, occorre innanzi rilevare tutto che
dal verbale di interrogatorio del 13 dicembre 2007 risulta espressamente la
delega specifica all’esecuzione dell’atto da parte del pubblico ministero di Milano,
per la cui la doglianza sul punto del ricorrente è manifestamente infondata.
Inoltre risulta espressamente la presenza del difensore, per cui l’unico profilo
astrattamente patologico che viene in rilievo è quello attinente allo

status

libertatis del soggetto interrogato, poiché l’imputato (individuato, oltre che come
Vatsadze George, con gli alias Babyev Artor, Dgainiani Habuki e Levani Gaiann),
risulta detenuto per altro.

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attiene alla lesione di diritti fondamentali, riconosciuti cioé come intangibili dalla

Il ricorrente sostiene che l’atto debba ritenersi inutilizzabile, sulla scorta della
previsione dell’art. 370 cod. proc. pen., che, nel prevedere la possibilità di
delegare alla polizia giudiziaria l’interrogatorio dell’indagato qualora questi

“si

trovi in stato di libertà” e sia assistito dal difensore, ne impone l’esecuzione
personale da parte dell’organo inquirente, in ossequio alla previsione generale
(“Il pubblico ministero compie

personalmente ogni attività di indagine”). Ciò a prescindere dalla circostanza che
la privazione della libertà personale tragga la sua origine nel procedimento
penale in cui viene assunto l’atto oppure in altro procedimento; si richiama, in
proposito, l’analoga conclusione cui sono prevenute le Sezioni Unite di questa
Corte in relazione al diverso tema della documentazione prescritte a pena di
inutilizzabilità dall’art. 141 bis cod. proc. pen. (Sez. U, n. 9 del 25/03/1998,
D’Abramo, Rv. 210803), poiché in quel caso si è ritenuto che, quale che sia il
titolo detentivo (anche se relativo a fatti privi di connessione o di collegamento
con quelli per cui l’interrogatorio è stato disposto), l’interrogatorio deve essere
documentato con le formalità previste dall’art. 141

bis cod. proc. pen., a

salvaguardia di chiunque possa essere coinvolto in ipotesi comportanti eventuali
responsabilità penali.
2.4 La tesi del ricorrente non può essere condivisa.
In primo luogo va dato atto della differenza, sul piano letterale, delle due
disposizioni processuali: l’art. 141 bis prevede espressamente sia la sanzione
(l’inutilizzabilità) sia l’ambito dell’obbligo di documentazione dell’interrogatorio,
quando riguardi una “persona che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di
detenzione”; l’art. 370 non prevede né la sanzione, né l’estensione ad ogni forma
di titolo custodiate, limitandosi a facoltizzare la delega dell’atto, allorchè partecipi
un soggetto che si trovi in stato di libertà e sia contestualmente assistito dal
difensore.
L’eventuale inutilizzabilità, allora, dovrebbe essere ricondotta al vizio del
procedimento acquisitivo della prova, poiché la prova non è certamente vietata
in sè, essendone espressamente prevista anche la delegabilità, sia pure a
determinate condizioni. Ed il vizio dovrebbe essere di tale gravità, da rendere
certamente l’atto al di fuori del sistema processuale, incidendo negativamente
sui diritti fondamentali del cittadino; evenienza che può senza dubbio escludersi
con riferimento allo status libertatis della persona interrogata, soprattutto avuto

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della medesima disposizione processuale

riguardo alla presenza del difensore di fiducia.
2.5 Va poi considerato che, stando al tenore della norma, come affermato dalla
decisione della Corte d’appello di Milano, l’interrogatorio in concreto fu eseguito
con il rispetto dell’art. 370 cod. proc. pen., poiché avvenne nei confronti di
soggetto a piede libero (in quello specifico procedimento) ed assistito dal

intermedio) per violazione del diritto di difesa, che comunque sarebbe sanata,
atteso che per consolidata giurisprudenza nel giudizio abbreviato (come è quello
oggetto di questo procedimento) sono deducibili e rilevabili solo le nullità di
carattere assoluto e le inutilizzabilità cosiddette patologiche (Sez. 2, n. 19483 del
16/04/2013, Avallone, Rv. 256038; Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, Tammaro, Rv.
216246).
3. In conclusione il ricorso dell’imputato va rigettato, con condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 23 aprile 2014
Il consigliere estensore

Il Pesi. nte

difensore, per cui può escludersi anche la sussistenza di una nullità (a regime

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