Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31819 del 10/05/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 31819 Anno 2013
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: RAMACCI LUCA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PILO CLAUDIA N. IL 30/10/1986
PILO ALESSANDRO N. IL 18/12/1957
avverso la sentenza n. 1372/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 04/07/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;

Data Udienza: 10/05/2013

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del
procedimento, nonché ciascuno di essi al versamento della somma di euro 1.000,00 (mille/00) alla
Cassa delle ammende.
Così deliberato in ROMA, nella camera di consiglio del 10/5/2013

t

Ritenuto:
— che la Corte di appello di Palermo con sentenza del 4/7/2012 ha confermato la sentenza
28/2/2012 del Tribunale di quella città, che aveva affermato la penale responsabilità di PILO
Claudia e PILO Alessandro in ordine ai reati di cui agli artt.: 44 lett. c), 64, 65, 71, 72, 93, 94 e 95
d.P.R. 380\01 e 42\2004 (acc. in Palermo, il 13/8/2007);
— che la Corte di merito ha valorizzato, ai fini dell’affermazione di responsabilità, il complessivo
materiale probatorio acquisito agli atti processuali;
— che avverso detta sentenza hanno proposto ricorso congiunto per cassazione gli imputati,
denunziando il vizio di motivazione, in quanto non sarebbero state indicate le ragioni
dell’affermazione di penale responsabilità;
— che la motivazione della sentenza impugnata appare esauriente e corrispondente alle premesse
fattuali acquisite in atti, in quanto essa esamina tutti gli elementi decisivi a disposizione e fornisce
risposte coerenti alle obiezioni della difesa. In particolare, i giudici del gravame hanno specificato
che gli imputati, in quanto proprietari dell’immobile ove sono stati eseguiti gli interventi di
ampliamento e residenti nell’immobile medesimo, erano gli unici soggetti interessati all’esecuzione
delle opere;
— che devono ribadirsi le affermazioni della costante giurisprudenza di questa Corte Suprema
secondo le quali la disponibilità di indizi e presunzioni gravi, precise e concordanti è richiesta con
riferimento al proprietario (o comproprietario) dell’area non formalmente committente e tali indizi
sono individuabili, ad esempio, nella piena disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie
edificata e dell’interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del “cui prode,s1”).
nella fruizione dell’opera secondo le norme civilistiche dell’accessione ed in tutte quelle situazioni e
quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e
prove circa la compartecipazione, anche morale, all’esecuzione delle opere, tenendo presente pure la
destinazione finale della stessa. Grava inoltre sull’interessato l’onere di allegare circostanze utili a
convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua
volontà (così Sez. 111 19 settembre 2008, n. 35907 che riporta anche gran parte degli esempi sopra
indicati e ampi richiami a precedenti pronunce. Conf. Sez. III n. 25669, 3 luglio 2012). Si è
ulteriormente precisato che, ai fini del disconoscimento del concorso del proprietario del terreno
non committente dei lavori nel reato urbanistico, occorre escludere l’interesse o il suo consenso alla
commissione dell’abuso edilizio ovvero dimostrare che egli non sia stato nelle condizioni di
impedirne l’esecuzione (Sez. III n. 33540, 31 agosto 2012).
— che le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione
dei fatti e dell’attribuzione degli stessi alla persona dell’imputato non sono proponibili nel giudizio
di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico
e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si
limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel
merito della sentenza impugnata;
— che il ricorso, conseguentemente, va dichiarato inammissibile, poiché manifestamente infondato
e, a norma dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità — non potendosi escludere che
essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) — consegue l’onere
solidale delle spese del procedimento, nonché, per ciascuno di essi, quello del versamento, in favore
della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00

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