Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31816 del 04/04/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 31816 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ARTALE GIUSEPPE N. IL 26/11/1950
avverso la sentenza n. 3042/2010 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
18/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO
che ha concluso-per

Udito, per la parte • vile, l’Avv
Uditi difensor

Data Udienza: 04/04/2014

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott. E. Delehaye, che ha concluso per il rigetto del ricorso. Udito
altresì per l’imputato l’avv. De Mucci, in sostituzione del difensore di fiducia, che
si è riportato ai motivi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza deliberata il 18/01/2013, la Corte di appello di Firenze ha

aveva dichiarato Giuseppe Artale colpevole del reati di violenza privata
continuata e di danneggiamento aggravato continuato e lo ha condannato alla
pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili Franco
Mennini in proprio e per conto della Costruzioni Edili San Paolo s.a.s., da
liquidarsi in separata sede, con l’assegnazione a ciascuna di esse di una somma
a titolo di provvisionale. La Corte di appello rileva che: la vicenda civilistica
riferita nel dettaglio dall’appellante non incide sulla configurazione penalistica dei
fatti ascritti all’imputato, come evidenziato dalla sentenza di primo grado che ha
segnalato la prepotente condotta dello stesso nell’ambito di un marcato e
spinoso contenzioso civile, che ha reso più acuta la consapevolezza da parte
dell’agente di intimidire gli operai al fine di far interrompere, come di fatto
avveniva, i lavori del cantiere; è da escludere l’atto arbitrario da parte di
Mennini, in quanto nella vicenda vi era già stato un giudizio possessorio
conclusosi a suo favore, sicché non sussistevano ragioni fondate per lo spoglio
lamentato dall’imputato; subita la prima sconfitta in sede cautelare civile,
l’imputato non poteva invocare la legittima difesa, nemmeno putativa, dal
momento che il giudizio possessorio indirizzava in senso inverso alle sue
rivendicazioni, né si poteva ipotizzare qualsiasi proporzione tra la presunta offesa
al suo diritto e la difesa posta in atto, consistita nel segare e gettare alla cieca
assi e mattoni, con alto rischio per gli operai al lavoro, che infatti
abbandonavano il cantiere. La sentenza di primo grado deve, pertanto, essere
confermata, anche in relazione alle statuizioni civili, che avranno nella
competente sede civile il ristoro completo nell’ambito della loro compiuta
determinazione.

2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Firenze ha proposto
personalmente ricorso per cassazione Giuseppe Artale, denunciando – nei
termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod.
proc. pen. – inosservanza delle norme processuali in punto di buon governo della
prova e vizio di motivazione. La Corte di appello non ha motivato sul contenuto

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confermato la sentenza in data 22/01/2010 con la quale il Tribunale di Prato

dei documenti indicati nell’atto di appello e sulla non chiara situazione catastale
che, sotto il profilo soggettivo, poneva l’imputato nella fondata convinzione di
opporsi, con modalità mai negate, ad una modifica dei luoghi che neppure la
parte civile poteva pretendere. La condotta dell’imputato poteva essere
ricondotta nell’ambito della legittima difesa, sussistendone i presupposti: la
situazione di pericolo attuale rappresentata dal pericolo di definitivo
spossessamento della stanza ai danni di Artale; l’offesa ingiusta integrata dalla
condotta delle parti civili che hanno demolito il piano calpestio, appropriandosi,

dall’imputato; la lesione del diritto di proprietà di Artale; la necessità di agire, cui
l’imputato era costretto per non subire il definitivo spossessamento della stanza;
la proporzione tra offesa e difesa, sussistente in quanto la condotta dell’imputato
si è limitata ad una difesa proporzionata alle turbative subite. In forza degli
elementi prospettati al giudice di appello, doveva ritenersi che l’imputato fosse
ragionevolmente persuaso di poter difendere quella che riteneva la sua
proprietà. Dopo che una diversa sezione della Corte di appello aveva disposto la
sospensione della provvisionale concessa dalla sentenza impugnata alla parte
civile Costruzioni Edili San Paolo s.a.s., la sentenza impugnata avrebbe dovuto
motivare in ordine alle statuizioni relative al risarcimento dei danni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
Deve premettersi che la denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett.
c), cod. proc. pen. deve essere valutata congiuntamente al vizio di motivazione,
in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione,
fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non
possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) del medesimo
articolo, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme
processuali stabilite a pena di nullità (Sez. 6, n. 45249 del 08/11/2012 – dep.
20/11/2012, Cimini e altri, Rv. 254274).
La censure afferenti ai profili penalistici sono inammissibili perché
sostanzialmente deducono questioni di merito. La sentenza impugnata, infatti,
ha escluso che la vicenda civilistica dettagliatamente ripercorsa dall’appellante
possa incidere sulla configurazione penalistica dei fatti, rimarcando che il giudizio
possessorio conclusosi sfavorevolmente per l’imputato esclude l’arbitrarietà della
condotta di Mennini e l’ipotizzabilità, anche in forma putativa, della legittima
difesa, non configurabile, peraltro, anche in considerazione dell’assenza di
qualsiasi proporzione tra la presunta offesa al diritto dell’imputato e la sua

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in assenza di provvedimenti giurisdizionali definitivi, della stanza goduta

reazione, concretizzatasi nel segare e gettare alla cieca assi e mattoni, così
mettendo ad alto rischio gli operai al lavoro. A fonte dell’apparato argomentativo
delineato dalla sentenza impugnata, la censura del ricorrente sollecita una
rivisitazione, esorbitante dai compiti del giudice di legittimità, della valutazione
del materiale probatorio che la Corte di merito ha operato con motivazione
coerente ai dati probatori richiamati e sulla base di una linea argomentativa
immune da cadute di consequenzialità logica.
La censura relativa alle statuizioni civili è manifestamente infondata.

esecuzione quanto alla somma liquidata a favore della Costruzioni Edili San Paolo
s.a.s., mentre ha rigettato la domanda relativamente alla somma liquidata a
favore di Franco Mennini, la Corte di merito ha confermato le statuizioni civili,
precisando che la compiuta determinazione del quantum dovrà avvenire nella
competente sede civile. La censura, dunque, è manifestamente infondata alla
luce dell’orientamento di questa Corte in forza del quale la condanna generica al
risarcimento dei danni, pronunciata dal giudice penale, non esige alcuna indagine
in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto
l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e della esistenza
di un nesso di causalità tra tale fatto e il pregiudizio lamentato (Sez. 5, n. 45118
del 23/04/2013 – dep. 07/11/2013, Di Fatta e altri, Rv. 257551).
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve
essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma, che si
stima equa, di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 04/04/2014

Rilevato che un diverso Collegio della medesima Corte ha sospeso la provvisoria

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