Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31812 del 04/04/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 31812 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: BEVERE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GANGEMI ANTONINO N. IL 17/06/1939
avverso la sentenza n. 45/2012 TRIBUNALE di MESSINA, del
24/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO BEVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. E j2AA\ cp,
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 04/04/2014

Il ricorso merita accoglimento a causa della evidente inidoneità delle espressioni usate
polemicamente dal Gangemi, a ledere il bene protetto dalla norma incriminatrice prevista
dall’art.594 c.p. . In tema di tutela dell’onore e del decoro è necessario fare riferimento ad un
criterio di medigtà convenzionale in rapporto alla personalità dell’offeso e dell’offensore ed al
contesto nel quale la frase sia stata pronunciata. Nel caso in esame è risultato che in un momento di
tensione tra i presenti, uno dei difensori aveva chiesto al giudice di allontanare il Gangemi dall’aula
sicuramente polemica, usando
e ciò aveva determinato quest’ultimo a esprimersi in maniera
parole scortesi. Queste parole —pronunciate nel corso dell’udienza dinanzi al giudice di primo
grado ,in un procedimento in cui protagonisti erano familiari dell’imputato e della persona offesa sebbene abbiano prodotto nella donna il senso di imbarazzo e di mortificazione rilevato dal giudice
di appello, non sono da considerarsi oggettivamente offensive ; non sono cioè inaccettabili in
qualsiasi contesto ,per l’intrinseca carica di disprezzo e dileggio che esse manifestano e/o per la
riconoscibile volontà di umiliare il destinatario(sez. 5 n. 11632 del 14.3.08 ,rv 239479.
E’ pertanto manifestamente illogica la rilevanza penale , riconosciuta dal giudice di appello a tali
espressioni , facendo ricorso a un non giustificabile ruolo determinante riconosciuto alla personale
sensibilità e alla fragilità emotiva della Squadrito. Tale conclusione si pone in contrasto, senza
adeguata argomentazione, con un orientamento interpretativo che fissa un minimo di oggettività
nella delimitazione tra ingiuria e inoffensiva espressione di divergenza di opinioni . Secondo sez.
1,n. 7157 del 6.12.2006, rv 235891, ai fini della ravvisabilità del reato va dato rilievo al contenuto
della frase pronunziata e al significato che le parole hanno nel linguaggio comune, prescindendo
oltre che dalla intenzioni inespresse dell’offensore, anche dalle sensazioni puramente soggettive che
la frase può aver provocato nell’offeso.
La sentenza va quindi annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. Consegue la condanna
della querelante al pagamento delle spese processuali.
PQM
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste. Condanna la querelante al
pagamento delle spese del procedimento.
Roma, 4 aprile 2014
er. sore

FATTO E DIRITTO
Con sentenza 24.1.2013, il tribunale di Messina ha confermato la sentenza 10.1.2012 del giudice di
pace di Messina, con la quale Gangemi Antonino era stato condannato alla pena di € 200 di multa,
al risarcimento dei danni, alla rifusione delle spese in favore della parte civile, per il reato di
ingiuria in danno di Squadrito Luciana.
Nell’interesse dell’imputato è stato presentato ricorso per violazione di legge in relazione all’art.
594 c.p. e per manifesta illogicità della motivazione . Secondo il ricorrente , l’espressione “E’ la
Squadrito la provocatrice “risulta priva di rilevanza penale , in quanto con essa era stata esposta la
doglianza sull’atteggiamento tenuto dalla donna, durante l’udienza in corso dinanzi al tribunale di
Messina, nel processo in cui la propria moglie, Salvo Eleonora, era persona offesa e Alacqua
Giuseppe, cognato della Squadrito , era testimone. Prima della deposizione della Salvo, la Squadrito
aveva fissato lo sguardo negli occhi del Gangemi, ammiccando, con sorrisetti, a mo’ di sfida. A
questo comportamento, il ricorrente aveva reagito con la suddetta frase , formulata a titolo di
denuncia indirizzata al giudice di udienza. Nella sentenza di appello, l’ efficacia offensiva di queste
parole è stata affermata con carente motivazione , mediante la sibillina affermazione “non vi è
dubbio che l’espressione proferita dall’imputato avesse una carica offensiva e la stessa persona
offesa ha riferito di essersi sentita mortificata nel sentire le parole…]

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