Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31811 del 04/04/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 31811 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
KHLAPOVA VALENTINA N. IL 01/08/1961
avverso la sentenza n. 16/2012 TRIBUNALE di MESSINA, del
23/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO
ehe-ita-csincluso-pe.

Udito, per la pa r e civile, l’Avv
Uditi difens r Avv.

Data Udienza: 04/04/2014

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott. E. Delehaye, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Udito altresì per la ricorrente l’avv. Miasi, che ha concluso per l’annullamento
senza rinvio della sentenza impugnata e, in via subordinata, per l’annullamento
con rinvio.

RITENUTO IN FATTO

confermato la sentenza in data 24/11/2011 con la quale il Giudice di pace di
Messina aveva giudicato Valentina Khlapova colpevole del reato di lesioni in
danno di Rita Ceccio, condannandola alla pena di giustizia e al risarcimento dei
danni in favore della parte civile. Rileva il Tribunale di Messina l’irrilevanza della
tesi difensiva secondo cui sarebbe falsa l’affermazione della persona offesa di
essere andata ad abitare in una piccola casa estiva dopo l’episodio in questione:
dalle stesse parole di Rita Ceccio, sembra evincersi che andò ad abitare in una
casa già affittata ma in precedenza utilizzata solo per il soggiorno estivo. Resta,
comunque, impregiudicato il nucleo essenziale del racconto della persona offesa,
relativo all’aggressione subita, racconto che trova riscontro nel certificato medico
e nella deposizione del teste Giliberto. Condivisibili sono le considerazioni
espresse dal giudice di primo grado in ordine all’inattendibilità della
testimonianza di Domenico Ceccio, padre della persona offesa.

2. Avverso l’indicata sentenza del Tribunale di Messina ha proposto ricorso
per cassazione, nell’interesse di Valentina Khlapova, il difensore avv. G. Miasi,
articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1,
disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Mancata assunzione di una prova decisiva. Nei motivi di appello era
stata chiesta la riapertura dell’istruttoria dibattimentale ai fini dell’esame del
teste Carmelo Sciarrone al fine di provare che all’epoca dei fatti la parte civile,
contrariamente a quanto dichiarato in dibattimento, non viveva in casa con il
padre: la circostanza, conosciuta in modo fortuito dall’imputata successivamente
alla conclusione del giudizio di primo grado, che Rita Ceccio fosse stata
destinataria di uno sfratto per morosità, in uno con la testimonianza di
Sciarrone, locatore della stessa Ceccio, avrebbe dimostrato l’inattendibilità della
persona offesa.
2.2. Vizio di motivazione. Il Tribunale di Messina ha omesso di considerare il
motivo di appello relativo alla riconducibilità delle lesioni a un atto di

2

1. Con sentenza deliberata il 23/11/2012, il Tribunale di Messina ha

autolesionismo mirato ad espellere l’imputata dalla casa familiare dopo il suo
matrimonio con Domenico Ceccio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere rigettato.
Il primo motivo di ricorso non è fondato. In tema di rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale, ex art. 603, comma secondo, cod. proc. pen., il

sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, salvo il limite costituito
da richieste di prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti;
diversamente nell’ipotesi contemplata dall’art. 603, comma primo, cod. proc.
pen., la rinnovazione è subordinata alla condizione che il giudice ritenga,
nell’ambito della propria discrezionalità, che i dati probatori già acquisiti siano
incerti e che l’incombente processuale richiesto rivesta carattere di decisività
(Sez. 2, n. 31065 del 10/05/2012 – dep. 31/07/2012, Lo Bianco e altri, Rv.
253526). Nel caso di specie, il giudice di appello ha dato conto dell’irrilevanza
della deduzione difensiva sulla quale faceva leva la richiesta riapertura
dell’istruttoria dibattimentale, osservando che, per un verso, dalle stesse parole
di Rita Ceccio, sembra evincersi che andò ad abitare in una casa già affittata ma
in precedenza utilizzata solo per il soggiorno estivo e che, per altro verso, resta
comunque impregiudicato il nucleo essenziale del racconto della persona offesa
relativo all’aggressione subita.
Il secondo motivo è inammissibile in quanto deduce una questione di merito,
volta a prospettare una diversa ricostruzione del fatto, così sollecitando questa
Corte ad una rivisitazione – esorbitante dai compiti del giudice di legittimità della valutazione del materiale probatorio operata dalla sentenza impugnata. Il
giudice di appello ha motivato la conferma del giudizio di colpevolezza,
sottolineando come il racconto della persona offesa circa l’aggressione subita
avesse trovato riscontro nel certificato medico e nella deposizione del teste
Giliberto, che – come si evince dalla sentenza di primo grado, che si integra con
quella conforme di secondo grado (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 – dep.
05/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145) – ha riferito puntualmente di quanto aveva
potuto verificare dopo aver ricevuto la telefonata della Ceccio, che, allarmata, gli
chiedeva aiuto: la valutazione del giudice di appello risulta sostenuta con
motivazione coerente ai dati probatori richiamati ed immune da vizi logici,
restando così non scalfita dalla doglianza del ricorrente.

3

giudice di appello è tenuto a disporre la rinnovazione delle nuove prove

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 04/04/2014.

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