Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31808 del 04/04/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 31808 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI MARIA SEBASTIANO N. IL 25/01/1971
avverso la sentenza n. 2151/2011 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 04/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO
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Udito, per la p e civile, l’Avv
Uditi difens e r Avv.

Data Udienza: 04/04/2014

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott. E. Delehaye, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Udito altresì per l’imputato l’avv. Giancola, che ha concluso per l’accoglimento
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza deliberata il 04/02/2013, la Corte di appello dell’Aquila ha

aveva dichiarato Sebastiano Di Maria colpevole del reato di bancarotta
fraudolenta patrimoniale, condannandolo alla pena di giustizia. Rileva la Corte di
merito che: i fatti di distrazione sono pienamente provati dalla precisa
ricostruzione operata dal curatore, essendo indubbio che nella contabilità era
indicata la permanente esistenza di crediti verso terzi in realtà già riscossi in
assenza di annotazione del relativo introito, così come indubbi sono stati i
ripetuti prelievi da parte dei soci da cui scaturivano i conseguenti crediti. Quanto
alla posizione di amministratore di fatto attribuita all’imputato, tutti i testi,
compreso il curatore, hanno riferito che dominus assoluto della società era Di
Maria, che gestiva ogni cosa, dirigeva i dipendenti, dava direttive, li pagava ed
era significativamente ritenuto il “capo”; altrettanto è emerso con riferimento ai
rapporti con fornitori e clienti; la moglie dell’imputato e l’Arditi, succedutisi nella
qualifica, si sono dimostrati ignari di tutto ciò, mentre, a detta dei testi, il
secondo, amministratore della società dal 19/11/2003 al fallimento, era solo un
meccanico agli ordini dell’imputato; il quadro probatorio risulta granitico e
conferma che l’imputato, già fallito, si servì della moglie e di un suo fedele
dipendente per gestire in via esclusiva la società e porre in essere le condotte
distrattive, a nulla rilevando che la società avesse stipulato un mutuo assistito da
garanzie personali, che peraltro sarebbero state rilasciate non già dall’imputato,
bensì dalla moglie e dai genitori di Arditi.

2. Avverso la sentenza della Corte di appello dell’Aquila indicata ha proposto
ricorso per cassazione, nell’interesse di Sebastiano Di Maria, l’avv. B. Giancola,
articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1,
disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Mancanza di motivazione. L’atto di appello aveva richiamato, per un
verso, la relazione del curatore, ove era escluso un intento fraudolento nella
conduzione dell’impresa, il che consente di escludere la sussistenza del dolo
specifico richiesto dalla norma e, per altro verso, la presenza di garanzie
personali. La ricostruzione consente di ricondurre la condotta dell’imputato al

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confermato la sentenza in data 01/03/2011 con la quale il Tribunale di Pescara

reato di bancarotta semplice, mentre la sentenza impugnata ha omesso qualsiasi
valutazione sull’elemento soggettivo.
2.2. Inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale. La sentenza
impugnata non ha affrontato la prova della sussistenza del dolo specifico o
dell’assenza dello stesso dolo. Un’attenta ricostruzione della volontà
dell’imputato avrebbe consentito di qualificare la fattispecie come bancarotta
semplice, in quanto sono stati semplicemente tenuti i libri e le scritture contabili
in maniera irregolare e incompleta e sono state effettuate spese personali e

e 2004 può essere qualificato come bancarotta preferenziale, mentre con
riferimento ai due libretti di circolazione per due carrelli, gli stessi non sono stati
sottratti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
Premesso che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte (ribadito
anche dopo l’isolata presa di posizione di Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012 – dep.
06/12/2012, Corvetta e altri, Rv. 253493), il delitto di bancarotta fraudolenta
per distrazione è reato di pericolo a dolo generico per la cui sussistenza,
pertanto, non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di
insolvenza dell’impresa, né che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai
creditori (Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012 – dep. 22/01/2013, Rossetto e altri,
Rv. 253932), la Corte di merito ha rilevato come il quadro probatorio abbia
confermato che l’imputato, già fallito, si servì della moglie e di un fedele
dipendente per gestire in via esclusiva la società e porre in essere le condotte
distrattive a lui addebitate. Di conseguenza, le censure del ricorrente sulla
mancata prova del dolo specifico e dell’assenza del dolo (con la conseguente
possibilità di configurare il fatto come bancarotta semplice), oltre che
contrastanti con l’indirizzo sopra richiamato, in parte, sono prive di correlazione
con le ragioni argomentative della pronuncia impugnata e, in parte, deducono
questioni di merito, sollecitando una rivisitazione, esorbitante dai compiti del
giudice di legittimità, della valutazione del materiale probatorio che la Corte di
merito ha operato, sostenendola con motivazione coerente ai dati probatori
richiamati ed immune da vizi logici.
La sentenza impugnata, inoltre, ha dato analiticamente conto delle condotte
distrattive (crediti verso terzi annotati anche dopo la loro riscossione, il cui
importo non è stato rinvenuto; ripetuti prelievi da parte dei soci, rispetto ai quali
lo stesso ricorrente si limita a prospettare la configurabilità della bancarotta

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familiari sproporzionate. Il prelievo soci di 40.000 euro avvenuto negli anni 2003

preferenziale, senza però neppure indicare il titolo creditorio in base al quale
detti prelievi sarebbero stati effettuati), evidenziando, per un verso, la prova
delle stesse fornita dalla precisa ricostruzione dei fatti operata dal curatore, il
che supera il rilievo circa la possibile inattendibilità delle scritture contabili, e, per
altro verso, l’irrilevanza delle garanzie personali che avrebbero assistito
l’accensione di un mutuo, garanzie prestate dalla moglie e da terzi. Anche sotto
questo profilo, la doglianze del ricorrente non sono idonee a scalfire

l’iter

argomentativo della sentenza impugnata, la cui motivazione è sviluppata sulla

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 04/04/2014

base di una linea argomentativa immune da cadute di consequenzialità logica.

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