Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31802 del 28/03/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 31802 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VESCO ANTONINO N. IL 10/11/1958
avverso la sentenza n. 4436/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 15/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Ud.
che ha concluso per

Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 28/03/2014

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Dott. Eduardo Scardaccione, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 15 maggio 2013 la Corte d’Appello di Palermo, in
parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Palermo in data
22 maggio 2012, concedeva a Vesco Antonino le circostanze attenuanti
generiche e riduceva la pena inflittagli a mesi otto di reclusione, per il

confermando nel resto la sentenza impugnata, perché, in qualità di
amministratore della società cooperativa denominata “M.A.R. a r.l. “,
dichiarata fallita dal Tribunale di Palermo in data 19.1.2006 – carica
rivestita dall’8.5.2003 al 2.3.2004 – aggravava il dissesto finanziario
della società, astenendosi dal chiedere il fallimento.
2.Avverso tale sentenza il Vesco, a mezzo del proprio difensore, ha
proposto ricorso per Cassazione affidato ad un unico motivo, con il
quale lamenta la ricorrenza dei vizi di violazione e falsa applicazione di
legge in relazione all’art. 217, comma primo, n° 4 L.F. e l’ errata
valutazione delle risultanze probatorie, oltre al travisamento di
emergenze processuali, atteso che la Corte di merito, uniformandosi alla
motivazione del primo grado, ha erroneamente ritenuto dimostrata la
responsabilità dell’imputato, nella veste di legale rappresentante della
società cooperativa M.A.R. a r.I., laddove risulta dagli atti processuali
che, nell’anno 2003 (anno in cui le perdite ammontavano ad oltre €
100.000,00), il Vesco ebbe a subentrare al precedente amministratore
Carmelo Latino in data 18.5.2003, sicchè non può essere attribuito
tutto l’ammontare delle perdite al suo operato; l’unico addebito
contestato è l’aggravamento della situazione debitoria nei confronti
dell’I.R.C.A.C. e degli Istituti Bancari, per finanziamenti che la
Cooperativa Agricola M.A.R. aveva ottenuto, senza che però venisse
specificata la quantità e/o entità dell’esposizione debitoria maturata nel
periodo imputato (dal 18/5/2003 al 02/03/2004); che la decisione di
non chiedere il fallimento, pur a fronte di una cospicua perdita di
esercizio, ammontante ad € 100.000,00, ben può ascriversi alla
convinzione della reversibilità del dissesto e di risanamento
dell’impresa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è inammissibile ai sensi dell’art. 606/3 c.p.p., sicchè
non è preclusa a questa Corte la possibilità di rilevare e dichiarare cause
1

reato di bancarotta semplice di cui all’art. 217, comma primo, n. 4 L.F.,

di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. (Sez.Un., n.23428 del
22/03/2005; Sez. IV, n.31344 dell’ 11/06/2013).
2. Per il reato per cui è processo, invero, è maturato successivamente
alla sentenza di secondo grado, alla data odierna, il termine di
prescrizione, pari ad anni sette e mesi sei, a decorrere dal 19.1.2006, ma
l’obbligo della immediata declaratoria di tale causa di estinzione, sancito
dal primo comma dell’art. 129 c.p.p., implica nel contempo la valutazione
della sussistenza in modo evidente di una ragione di proscioglimento

del medesimo art. 129 c.p.p., rilevabile, tuttavia, soltanto nel caso in
cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione
del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano
dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione
che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di
“constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di
“apprezzamento” e sia, quindi, incompatibile con qualsiasi necessità di
accertamento o di approfondimento (Sez. III, n.10221 del 24/01/2013).
3. Nel caso di specie non ricorrono in modo evidente ed assolutamente
non contestabile ragioni di proscioglimento dell’imputato, ai sensi dell’art.
129/2 c.p.p.- atteso che la sentenza impugnata dà conto esaurientemente
degli elementi di responsabilità a carico dell’imputato e segnatamente del
fatto che quantunque il Vesco sia stato amministratore della società solo
dal maggio del 2003, ciò non ha impedito a costui di conoscere e
valutare la situazione di grave difficoltà economica della società causata
dalle ingenti perdite che si erano già verificate nel 2002; in particolare, le
perdite già ammontanti ad oltre C 350.000,00 sono aumentate di ulteriori
C 100.000,00, rendendo evidente all’amministratore l’aggravamento del
dissesto dell’impresa, che si sarebbe potuto evitare con una richiesta di
tempestivo fallimento della società.
4.Tale valutazione si presenta in linea con i principi affermati da
questa Corte, secondo i quali per la configurabilità del delitto di cui art.
217, comma primo, n. 4, L. Fall.- che mira ad evitare che l’esercizio
dell’impresa possa prolungare lo stato di perdita ed in tal senso oggetto di
punizione per la sussistenza del reato- non è richiesto che l’imprenditore
abbia colpevolmente determinato tale aggravamento, essendo sufficiente
che lo stesso aggravamento costituisca il naturale esito del
prolungamento dell’attività dell’impresa, di per sè considerato idoneo
dalla norma incriminatrice a produrre tale esito (Sez. V, n. 13318 del

2

dell’imputato, alla luce della regola di giudizio posta dal secondo comma

14/02/2013).
L’intento dedotto dal ricorrente di “rimettere in piedi la società” si scontra
con il dato non seriamente contestato, messo in risalto nella sentenza
impugnata, secondo cui è stata l’inerzia totale dell’impresa con la
concomitante lievitazione del passivo, con particolare riferimento agli
interessi passivi dovuti dall’impresa in ragione dei finanziamenti a suo
tempo ottenuti dagli istituti di crediti, ad aggravare il dissesto.
5. La sentenza impugnata, pertanto, va annullata senza rinvio perché

p.q.m.
annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il reato è estinto
per prescrizione.
Così deciso il 28.3.2014

il reato è estinto per prescrizione.

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