Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31800 del 28/03/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 31800 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIACCA PAOLO N. IL 10/10/1963
avverso la sentenza n. 1679/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
15/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
persona
Ud ;
rocura o
e ha concluso per

Udito, per la

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Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 28/03/2014

i

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Dott. Eduardo Scardaccione, che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
Udito, per il ricorrente, l’avvocato Alberto Barletta che ha concluso per
raccoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 15 marzo 2013 la Corte d’Appello di Napoli
confermava la sentenza emessa il 10.1.2008 dal Tribunale di S.Maria

era stato condannato alla pena di mesi due di reclusione ed al
risarcimento danni in favore della parte civile, da liquidarsi in separata
sede, per il delitto di cui all’art. 610 c.p., per avere -con minaccia
consistita nel posizionare la propria autovettura, modello fuoristrada, sulla
strada denominata Acquaferrata del comune di Teano ed asserendo di
essere titolare di una servitù di passaggio sulla stessa- costretto i
proprietari degli appezzamenti di terreno limitrofi ed in particolare
Gliottone Pietro a tollerare tale ostacolo, impedendo l’accesso al fondo di
sua proprietà.
2. Avverso tale sentenza l’imputato, a mezzo del suo difensore, ha
proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi con i quali lamenta:
-con il primo motivo, la ricorrenza del vizio di violazione di legge, ai
sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b) c.p.p., in relazione alla
configurabilità nella fattispecie in esame del delitto di cui all’art. 610 c.p.
In particolare, il ricorrente ha dedotto: che non si comprende come possa
integrare comportamento minaccioso l’aver parcheggiato la propria
autovettura in una parte del fondo di proprietà del suocero e, comunque,
anche se il parcheggio è avvenuto in maniera irregolare certamente esso
non integra un comportamento minaccioso, così come contestato nel capo
di imputazione; che la sentenza impugnata incorre in errore di diritto,
laddove ha ritenuto che l’imputato, non essendo proprietario del bene,
del quale era titolare il suocero, non aveva neppure presuntivamente la
possibilità di tutelarlo, laddove la tutela del diritto di proprietà ben può
essere correttamente esercitata anche da chi non ha la titolarità diretta
della proprietà che si intende tutelare, specie quando si vetta, come nel
caso in esame, in un’ipotesi di cui all’art. 392 c.p.; che, inoltre, andava
considerato che quando si opera per difendere il diritto di proprietà, che
all’attualità necessita di tutela piena ed esclusiva, per evitare il
condizionamento di ingiuste pretese altrui, non vi è responsabilità penale,
anche nel caso in cui vi sia stata un’azione con violenza sulle cose; che in

1

Capua Vetere, Sezione Distaccata di Carinola, con la quale Giacca Paolo

,

definitiva il ricorrente ha agito in rappresentanza e nell’interesse del
suocero Riccio Pasquale, con la conseguenza che al limite poteva essere
considerato responsabile del reato di cui all’art. 392 c.p.;
– con il secondo motivo, i vizi di cui all’art. 606, primo comma, lett.
d) ed e) c.p.p., atteso che la sentenza impugnata difetta di motivazione,
anche con riferimento alla mancata assunzione di prove documentali che
potevano essere decisive. Ed invero, contrariamente a quanto evidenziato
nella sentenza impugnata, le censure rivolte in sede di appello non

porre in luce veri e propri travisamenti in ordine alla valutazione delle
deposizioni testimoniali e conseguentemente a verificare la reale
esistenza del diritto accampato dalle presunte parti offese; che, in
particolare, con i motivi di appello sono stati evidenziati tutti gli elementi
che mettevano in luce la mancanza di concordia e sincerità delle
dichiarazioni della persona offesa e le anomalie, contraddizioni, errori dei
testi dell’accusa, tali da inficiare fortemente le testimonianze sulle quali è
stata fondata la responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’art. 610
c.p.; che, anche per quanto concerne le dichiarazioni dei testi estranei e
segnatamente del brig. dei C.C. Passaretti e del comandante dei VV.UU.
Di Nardo, la sentenza di primo grado evidenziava situazioni difformi da
u.v.AvtA
quanto riferito dai testi e, comunque, non 153ransiderato tutte le
dichiarazioni dei testi medesimi; che, dunque, risultévidente che solo
con l’appello potevano essere dedotte incongruenze della sentenza di
primo grado che ha privilegiato testimonianze rese dai testi interessati
rispetto a quelle rese dai testi terzi; che la sentenza impugnata non

tuf

esaminato alcuni fondamentali aspetti giuridici in ordine all’esistenza di
presunti diritti il cui esercizio sarebbe stato negato dal comportamento
dell’imputato e segnatamente atti e documenti, tra cui una sentenza del
TAR divenuta definitiva, nonché una relazione tecnica fondata su dati
oggettivamente inoppugnabili, attraverso i quali si dimostrava
l’inesistenza dei diritti accampati dalle presunte parti offese; che in
particolare la sentenza d’appello, per avvalorare la tesi delle presunte
parti offese ha fondato l’affermazione di un uso pubblico della strada in
questione sulle dichiarazioni della teste Masiello, che riferiva all’uopo di
aver visionato una mappa militare, senza considerare che tale teste, pur
invitata a dare riscontro di quanto da lei affermato, con l’esibizione della
detta mappa, o quantomeno con indicazioni circa le modalità per il suo
reperimento non esibiva alcunchè e non dava indicazioni per il suo
reperimento.

2

aviv A

potevano essere ritenute carenti di novità, in quanto erano finalizzate a

I

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è inammissibile ai sensi dell’art. 606/3 c.p.p., sicchè
non è preclusa a questa Corte la possibilità di rilevare e dichiarare cause
di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. (Sez.Un., n.23428 del
22/03/2005; Sez. IV, n.31344 dell’ 11/06/2013).
2. Per il reato per cui è processo è maturato, successivamente alla
sentenza impugnata, il termine di prescrizione, pari ad anni sette e mesi
sei, a decorrere dal 6.11.2005, ma l’obbligo della immediata declaratoria

implica nel contempo la valutazione della sussistenza in modo evidente
di una ragione di proscioglimento dell’imputato, alla luce della regola di
giudizio posta dal secondo comma del medesimo art. 129 c.p.p.,
rilevabile, tuttavia,

soltanto nel caso in cui le circostanze idonee ad

escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte
dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo
assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice
deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”,
ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia
quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di
approfondimento

(Sez.

III,

n.10221

del

24/01/2013).

Nel caso di specie non ricorrono in modo evidente ed assolutamente non
contestabile ragioni di proscioglimento dell’imputato, ai sensi dell’art.
129/2 c.p.p., tenuto conto di quanto evidenziato nella sentenza
impugnata circa la sosta del fuoristrada Suzuki del Giacca, messa di lato,
sulla strada Acqua Ferrata, in modo da impedire il transito con i propri
veicoli ai proprietari dei fondi posti lungo la predetta via, circostanza
questa confermata dai testi, proprietari dei fondi limitrofi a quelli del
suocero del Giacca, oltre che dal querelante Gliottone Pietro, nonchè dal
brig. dei carabinieri, Passaretti Aquilin9 e dal Com.te dei VV.UU. di Teano,
Di Nardo Antonio. Tale condotta, poi, è stata, anche in base a quanto si
evidenzierà innanzi, correttamente inquadrata nel reato di violenza
privata e non in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
L____
14 mr
3. Il ricorso vaingettato in relazione agli effetti civili scaturenti dalla
sentenza impugnata.
3.1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Ed invero, premesso che
risulta pacifico, come già innanzi evidenziato, che il Giacca parcheggiò il
suo veicolo fuoristrada in modo da impedire ai proprietari dei fondi di
accedere ad essi, contrariamente a quanto evidenziato dal ricorrente, in

3

di tale causa di estinzione, sancito dal primo comma dell’art. 129 c.p.p.,


tale condotta si ravvisa il delitto di violenza privata di cui all’art. 610 c.p.
Va in proposito evidenziato che sebbene il capo d’imputazione faccia
riferimento alla “minaccia” consistita nel posizionare il veicolo in modo da
impedire il transito sulla strada, la sentenza di primo grado richiamata
per relationem da quella di secondo grado indica l’elemento oggettivo del
reato innanzitutto nella “violenza” che ha assunto, poi, anche i connotati
di una “minaccia”.
Tale inquadramento è condivisibile tenuto conto dei principi più volte

cui all’art. 610 c.p. la minaccia, ancorché non esplicita, che si concreti in
un qualsiasi comportamento o atteggiamento idoneo ad incutere timore
ed a suscitare la preoccupazione di un danno ingiusto al fine di ottenere
che, mediante la detta intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a
fare, tollerare o ad omettere qualcosa (Sez. V, 21/03/2013, n. 23945);
l’elemento della violenza o della minaccia nella fattispecie criminosa di
violenza privata consiste nel privare l’offeso della libertà di
determinazione e di azione, che può attuarsi attraverso l’uso di mezzi
anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la
libera determinazione (Rv. 246551; Massime precedenti Conformi: N.
1195 del 1998 Rv. 211230, N. 3403 del 2004 Rv. 228063).
L’elemento della violenza nella fattispecie criminosa di violenza privata si
identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della
libertà di determinazione e di azione, potendo consistere anche in una
violenza “impropria”, che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali diretti
ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera
determinazione (Rv. 246551; Massime precedenti Conformi: N. 1195 del
1998 Rv. 211230, N. 3403 del 2004 Rv. 228063; Sez. V 18/11/2011 n.
603).
Alla stregua di tali principi, nel caso in esame l’aver parcheggiato
l’autovettura sulla strada, in modo da impedire il passaggio agli altri
proprietari per raggiungere i propri fondi ed aver profferito alla richiesta
di spostare l’auto grida e minacce, intimando di andare via, tanto da
richiedere l’intervento dei C.C., integra l’elemento oggettivo delle violenza
ed anche della minaccia, capace di determinare la costrizione psicologica
della persona offesa (Sez. V 18/11/2011 n. 603) a non utilizzare più la
strada ostruita.
Infondata è la tesi del ricorrente secondo cui alla condotta in questione va
attribuito il nomen iuris ex art. 392 c.p. e non quello ex art. 610 c.p..
4

espressi da questa Corte, secondo cui integra gli estremi del delitto di

r

Innanzitutto nel caso in esame non è stata ipotizzata alcuna violenza sulle
cose, bensì sulle persone. In ogni caso è ravvisabile l’ esercizio arbitrario
delle proprie ragioni, di cui all’art. 393 c.p., soltanto se il comportamento
dell’agente si sia concretato nella realizzazione di una pretesa di diritto,
mediante la sostituzione della privata violenza alla coazione del
provvedimento giudiziale, traducendosi nell’indebita attribuzione a sè
stesso, da parte del privato, di poteri e facoltà spettanti esclusivamente al
giudice, e l’agente deve essere animato dal fine di esercitare un diritto

giuridicamente “in toto” (anche se non sia azionabile o sia infondata). Ne
consegue che resta escluso il reato di ragion fattasi quando trattasi di
pretesa illegittima in tutto o in parte in tal caso l’opinato diritto non è
altro che un pretesto per mascherare altre finalità che hanno determinato
la violenza. (Sez. II, 04/05/1990).
Nel caso di specie, posto che la strada oggetto di ostruzione con il
fuoristrada era stata da sempre utilizzata dai proprietari dei fondi
limitrofi, come emerge da quanto riportato nelle sentenze di merito,
impedire l’accesso esuladel tutto dall’ottica dell’esercizio, sia pure
arbitrario, di un diritto spettante all’imputato (Sez. VI 12/02/2013 n.
21197).
D’altra parte va richiamato il principio secondo il quale ricorre il delitto di
violenza privata e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni
quando si eccedono macroscopicamente i limiti insiti nel fine di esercitare
sia pure arbitrariamente un preteso diritto (Sez. V n. 10148 del
15.11.84).
In tale contesto il rilievo del ricorrente circa l’erronea valutazione
effettuata dai giudici di merito in merito alla non titolarità del diritto da
parte dell’imputato appare irrilevante in riferimento al delitto di cui all’art.
610 c.p.
3.2.11 secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato sotto plurimi
aspetti. In primo luogo il ricorrente, al di là dei vizi denunciati, si duole
confusamente innanzitutto dei travisamenti compiuti nella valutazione
delle prove testimoniali e delle contraddizioni in generale delle
dichiarazioni dei testi e della p.o. Tale censura si presenta inammissibile
sotto il profilo della violazione della regola dell'”autosufficienza” del
ricorso, secondo la quale il ricorrente, che lamenti l’omessa o travisata
valutazione di specifici atti processuali, deve provvedere, nei limiti in cui il
relativo contenuto sia ritenuto idoneo a “scardinare” l’impianto

5

con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa effettivamente e

motivazionale della decisione contestata, alla trascrizione nel ricorso
dell’integrale contenuto degli atti medesimi ovvero all’allegazione di tali
atti al ricorso ovvero, ancora, alla loro assolutamente puntuale e
completa, indicazione in modo da non determinare la necessità di alcun
tipo di ricerca e selezione autonoma; ciò in quanto il giudice di legittimità
non deve essere costretto alla “ricerca” di quegli atti che confermerebbero
la tesi del ricorrente, essendo piuttosto onere di chi impugna e dispone
dell’intero incarto processuale mettere la Corte di legittimità in grado di

e Sez. VI, n. 18491 del 24/02/2010).
In secondo luogo, la valutazione della credibilità della persona offesa,
così come degli altri testi, rappresenta una questione di fatto, che non
può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso
in manifeste contraddizioni (Sez. I, n. 33267 del 11.6.2013),
contraddizioni queste che non si ravvisano nel caso di specie.
Inoltre, il ricorrente sollecita inammissibilmente il giudice di legittimità a
svolgere una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice del
merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata,
valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U. 30.4/2.7.97 n. 6402,
ric. Dessimone e altri; Cass. S.U. 24.9-10.12.2003 n. 47289, ric.
Petrella).
Per quanto concerne, poi, la doglianza secondo la quale la Corte di merito
si sarebbe “rifiutata di prendere in esame “vari documenti a prescindere
dalla sua genericità è infondata atteso che la rinnovazione dell’istruzione
dibattimentale nel giudizio di appello è evenienza eccezionale,
subordinata ad una valutazione giudiziale di assoluta necessità
conseguente all’insufficienza degli elementi istruttori già acquisiti, che
impone l’assunzione di ulteriori mezzi istruttori pur se le parti non
abbiano provveduto a presentare la relativa istanza nel termine stabilito
dall’art. 468 cod. proc. pen. (Sez. II, 27/09/2013, n. 41808). In proposito
la Corte di merito ha escluso con motivazione esauriente la significatività
delle documentazione della quale l’imputato aveva chiesto l’acquisizione,
non essendo in grado di privare di rilevanza penale la condotta posta in
essere dallo stesso e tale valutazione si presenta immune da vizi logici e
da violazioni di legge .

valutare la fondatezza della doglianza (Sez. VI, n. 48451 del 11/12/2012

4. La sentenza impugnata, dunque, va annullata senza rinvio agli effetti
penali perché il reato è estinto per prescrizione, laddove il ricorso va
rigettato agli effetti civili.
p.q.m.
annulla la sentenza impugnata senza rinvio agli effetti penali perché
il reato è estinto per prescrizione; rigetta il ricorso agli effetti civili.

Così deciso il 28.3.2014

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