Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31782 del 20/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 31782 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MATACENA AMEDEO GENNARO RANIERO N. IL 15/09/1963
avverso la sentenza n. 62/2013 CORTE DI CASSAZIONE di ROMA,
del 05/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
Il:te/sentite le conclusioni del PG Dott. EcIeuztuLD
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Data Udienza: 20/06/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 5.6.2013, la V Sezione di questa Corte rigettava il
ricorso proposto da MATACENA Amedeo Gennaro Raniero avverso la pronuncia resa il
18.7.2012 dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, determinando l’irrevocabilità della
condanna dell’imputato alla pena di 5 anni di reclusione, comminata, previo riconoscimento

e 5 dell’art. 416 bis cod. pen.), per il reato di concorso esterno in associazione di stampo
mafioso.
2. Avverso la citata sentenza del 5.6.2013, uno dei due difensori del MATACENA (l’atto
è sottoscritto unicamente dall’avv. Franco Coppi) ha proposto ricorso straordinario ai sensi
dell’art. 625 bis cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo, deduce “errore di fatto in relazione al calcolo del termine di
prescrizione”.
La sentenza impugnata, a causa di un equivoco nella lettura del capo di imputazione
relativo al tempus commissi delicti, aveva omesso di rilevare lo spirare del termine di
prescrizione.
Ed invero, l’imputazione contestata al MATACENA di concorso esterno in associazione
mafiosa di cui agli artt. 110, 416 bis cod. pen., aggravata ai sensi dei commi 4 e 5 art. cit.,
formulata nella richiesta di rinvio a giudizio del 23.4.1998 (data del deposito presso la
cancelleria del G.I.P. di Reggio Calabria) – mai mutata nel corso di tutte le varie fasi che
hanno articolato il procedimento d’interesse – indicava come luogo e tempo del commesso
reato “Reggio Calabria ed altre località nazionali dal 1988 alla data odierna” ovvero il
23.4.1998.
Trattandosi di contestazione “chiusa” – posto che individuava una data precisa di
cessazione della condotta delittuosa permanente – doveva venire in considerazione, nella
specie, l’applicabilità della disciplina della prescrizione precedente alla legge n. 251/05, che,
per i delitti puniti con pena non inferiore a 10 anni – tenuto conto dell’aumento massimo della
pena stabilito per le circostanze aggravanti e della diminuzione minima stabilita per le
circostanze attenuanti – prevedeva un termine di quindici anni: la prescrizione era, dunque,
maturata il 23.4.2013, in data antecedente quella della sentenza emessa da questa Corte,
Sezione V (5.6.2013).
Ciò detto, chiede il difensore ricorrente di correggere il decisivo errore di fatto
contenuto nella sentenza impugnata, individuando nel 23.4.1998 il momento della cessazione
del reato permanente.
2.2. Con il secondo motivo, denuncia “errore di fatto… per omessa considerazione delle
conclusioni difensive, decisive ai fini del giudizio di legittimità”.

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delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti (di cui ai commi 4

La sentenza impugnata aveva omesso di rispondere alle conclusioni difensive in ordine
alla durata della permanenza e alla necessità di un’eventuale contestazione suppletiva, qualora
fosse stato necessario imputare al MATACENA un contributo criminoso successivo al
23.4.1998.
Ed invero, detta pronuncia:
– ricordava che l’oggetto del precedente giudizio di rinvio ad altra sezione della Corte
d’Assise d’Appello di Reggio Calabria era volto a stabilire se le vicende cc.dd. “Aquila” (ovvero

Marina” (ovvero la tentata estorsione per i lavori ivi effettuati: vedi, sempre, pag. 3 sent. cit.)
rappresentassero degli indizi gravi, precisi e concordanti al fine di confermare la contestazione
indicata nel capo di imputazione;
– ammetteva che l’episodio di via Marina si poneva al di fuori del “perimetro della
contestazione”, e che era stato valutato non come fatto in sé penalmente rilevante, ma come
episodio sintomatico del permanere del legame tra MATACENA e la cosca Rosnnini, salvo, poi,
aggiungere, inaspettatamente, che, essendo all’epoca della richiesta estorsiva poi rientrata per
i lavori di via Marina il legame del ricorrente e la cosca ancora attivo, almeno fino a quel
momento (anni 1999/2000) il termine di prescrizione non poteva iniziare a decorrere;
– concludeva affermando che, con le argomentazioni sopra esposte, si era data risposta
alle censure dedotte nel ricorso sub c), d) ed e), inclusa quella in ordine all’omessa
modificazione dell’imputazione ai sensi dell’art. 516 cod. proc. pen..
La sentenza impugnata, in sostanza, riconosceva di aver tratto dalla vicenda di via
Marina, avvenuta tra il 1999 e il 2000, un elemento per affermare la permanenza del legame
tra il MATACENA e la cosca Rosmini oltre il

tempus commissi delicti indicato nel capo

d’imputazione, ma non offriva alcuna risposta alle conclusioni difensive in ordine alla necessità
di contestare ai sensi dell’art. 516 cod. proc. pen. il segmento ulteriore della durata del reato
contestato al ricorrente.
2.3. Con il terzo motivo, si duole di un ulteriore “errore di fatto… per omessa

considerazione delle conclusioni difensive, decisive ai fini del giudizio di legittimità”.
Nell’elencare i motivi di ricorso susseguenti al giudizio di rinvio, la sentenza della V
Sezione ricordava come al punto 4.4 (d) la difesa avesse contestato la violazione degli articoli
2 cod. pen., della legge n. 251/2005 e dell’art. 416 bis cod. pen..
Si era, infatti, lamentato che in sede di giudizio di rinvio la Corte di Assise di Appello di
Reggio Calabria avesse ritenuto applicabile, in punto pena, la legge n. 251/2005 entrata in
vigore più di dieci anni dopo l’epoca del fatto contestato.
Rispetto a questo motivo di ricorso, la Cassazione non solo non aveva dato una risposta
specifica, ma aveva ritenuto, erroneamente, di dare una risposta implicita considerando
assorbita la questione dall’analisi, svolta in motivazione, per attribuire natura permanente al
reato di concorso esterno nell’associazione di stampo mafioso, laddove aveva valutato

2

la progressione del cursus honorum politico di AQUILA Giuseppe: vedi pag. 3 sent. cit.) e “via

l’episodio di via Marina come sintomatico della persistenza del legame tra MATACENA e la
cosca Rosmini.
Ammesso e non concesso che un fatto non costituente reato come il predetto episodio
potesse avere assunto la descritta valenza sintomatica, era innegabile, per come riconosciuto
dalla sentenza ricorsa, che nessun successivo episodio, rispetto all’anno 2001, fosse stato
indicato quale ulteriore indice di questa presunta permanenza.
Se a ciò si aggiunge che il 2001 è l’anno coincidente con la pronuncia della prima

permanenza del reato, risultava confermato l’errore di fatto in cui era incorsa la Corte di
legittimità nel non censurare la violazione compiuta dai Giudici di merito nell’applicare una
pena più sfavorevole al reo prevista da una legge successiva.
3. In data 12.6.2014, il comune di Reggio Calabria, costituitosi Parte civile nel processo
definito con la sentenza impugnata, ha depositato memoria ex art. 127 cod. proc. pen..
In relazione ai motivi di cui ai punti 1) e 2) del ricorso, osserva che la Corte di secondo
grado aveva correttamente applicato al caso concreto, quanto al trattamento sanzionatorio, la
disciplina di cui alla L. n. 251/2005, avendo attribuito al reato contestato all’imputato natura di
reato permanente, cessato alla data della pronuncia di primo grado, cioè al 16.3.2006.
La considerazione assorbiva quanto dedotto al punto 2) del ricorso, non occorrendo
alcuna nuova contestazione quando si verta in materia di reato permanente.
La Corte di Cassazione aveva valutato e correttamente respinto le conclusioni della
difesa, riprendendo, in maniera sintetica, ma chiara e completa, quanto già statuito dalla Corte
di merito.
Sulla presunta erronea applicazione dell’art. 2 cod. pen. e della L. n. 251/05, la Parte
civile richiama quanto già scritto dalla Corte di Assise di Appello e ribadito con la sentenza
impugnata e cioè che, essendo il reato commesso dal MATACENA permanente, in caso di
successione di leggi penali nel tempo concernenti tale tipo di reato deve applicarsi la norma
sopravvenuta sotto l’impero della quale la permanenza è cessata.
In ogni caso, non si tratterebbe di un errore di fatto, ma di diritto.
4. In data 14.6.2014, la difesa del ricorrente ha depositato estratto della richiesta di
rinvio a giudizio presentata dai PP.MM . di Reggio Calabria nel procedimento penale n. 42/97
R.G.N.R. – D.D.A..

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato nei limiti che in seguito verranno specificati.
1. Per una migliore comprensione della motivazione, appare opportuno premettere una

sintetica cronologia della presente vicenda giudiziaria, protrattasi per lunghi anni.
Va ricordato che:

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sentenza di condanna, seppure successivamente annullata, comunque interruttiva della

a) con sentenza del 13 marzo 2001, la Corte di Assise di Reggio Calabria condannò
l’imputato alla pena di cinque anni di reclusione;
al) detta sentenza fu annullata in sede di appello (decisione del 12 febbraio 2003), in
conseguenza della presa d’atto, da parte della Corte d’Assise d’Appello, della pronuncia con la
quale la Corte Costituzionale aveva risolto il conflitto di attribuzione in favore del MATACENA,
all’epoca deputato, affermando che non spettava alla Corte di merito negare la validità
dell’impedimento addotto (il giudice di primo grado aveva disatteso l’allegazione di un

dichiarandolo contumace);
b) con sentenza del 16 marzo 2006, la Corte di Assise di Reggio Calabria assolse il
MATACENA perché il fatto non sussiste;
bl) previa riqualificazione dell’impugnazione del P.M. come appello, la Sezione V di
questa Corte, con sentenza 5 maggio 2009, dispose trasmettersi gli atti alla Corte d’Assise
d’Appello di Reggio Calabria per il giudizio di secondo grado;
b2) detta Corte, con sentenza resa in data 11 maggio 2010, confermò la sentenza
assolutoria del primo Giudice;
b3) su ricorso proposto dal Procuratore Generale competente, questa Sezione I, con
sentenza del 24 maggio 2011, annullò con rinvio la sentenza impugnata;
b4) con sentenza pronunciata in data 18 luglio 2012, la Seconda sezione della Corte
d’Assise d’Appello di Reggio Calabria riformò la sentenza di primo grado, condannando
l’imputato alla pena di cinque anni, nonché alle pene accessorie di legge e al risarcimento del
danno in favore della costituita parte civile, Comune di Reggio Calabria, disponendo, infine,
che, a pena espiata, l’imputato fosse sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata
per il periodo di un anno.
2. La sentenza oggi ricorsa, emessa dalla Sezione V di questa Corte, costituisce,

dunque, l’approdo dell’articolato giudizio di merito celebratosi a seguito dell’annullamento della
prima decisione di condanna del MATACENA, resa dalla Corte di Assise reggina in data 13
marzo 2001.
2.1. Per quel che rileva ai presenti fini, è necessario, anzitutto, richiamare, della

predetta decisione, la parte espositiva dei motivi di ricorso sub c), d) ed e) (trattata in quarta
pagina), dal momento che i rilievi oggi proposti dalla difesa del MATACENA ai sensi dell’art.
625 bis cod. proc. pen. investono la “omessa considerazione delle conclusioni difensive”
formulate in relazione a quei determinati motivi (i “motivi nuovi” si limitano ad ampliare profili
già dedotti).
2.1.1. Nel motivo di ricorso sub c) (violazione dell’art. 627, comma secondo, e degli

artt. 648 e 624, comma secondo, cod. proc. pen.), assumevano i difensori dell’imputato che la
Corte di Cassazione (Sez. 1, sentenza 24.5.2011), annullando la sentenza d’appello, aveva
recepito come definitivo il dictum della suddetta decisione relativo al tempus commissi delicti,
da individuarsi nel 1994, anno della elezione del MATACENA alla Camera dei Deputati; aveva,
4

impedimento a comparire addotto dall’imputato per la concomitanza di impegni parlamentari,

dunque, errato, la Corte di rinvio nel ritenere di trovarsi in presenza di una contestazione
temporalmente aperta in relazione ad un reato permanente e, conseguentemente,
nell’estendere arbitrariamente la cessazione della permanenza alla data del 13.3.2006,
coincidente con quella della sentenza di primo grado (par. 4.3.).
2.1.2. Nel motivo di ricorso sub d) (violazione ed erronea applicazione del combinato
disposto degli articoli 2 cod. pen. e della legge n. 251/2005, nonché dell’articolo 416 bis cod.
pen. nella formulazione precedente la legge citata), la difesa ricorrente, in base alla

applicazione, in punto pena, della normativa all’epoca vigente, che prevedeva per il partecipe
dell’associazione mafiosa di cui all’art. 416 bis cod. pen. la reclusione da tre a sei anni (par.
4.4.)
2.1.3. Nel motivo di ricorso sub e) (violazione ed erronea applicazione degli articoli 2 e
157 cod. pen., nonché degli articoli 627, 624 e 648 cod. proc. pen.), infine, quale logico
sviluppo dei motivi precedenti, la difesa ricorrente si doleva della mancata declaratoria di
estinzione del reato, commesso nel 1994, per intervenuta prescrizione (par. 4.5.).
2.2. Dato atto dei motivi di ricorso, i Giudici della Sezione V di questa Corte hanno
affrontato il “nodo” circa la natura – permanente o istantanea – del concorso esterno nei
delitti associativi, concludendo come segue: “il concorso esterno in associazione mafiosa
ha.. .natura permanente, o, almeno, tendenzialmente permanente (cfr ASN 201215727 – RV
252329, che qualifica tale delitto come reato “di regola” permanente), nel senso che nulla vieta
che, così come l’associato pieno jure possa, a un certo punto, decidere di non far più parte del
“club criminale” cui aveva aderito, del pari, il concorrente esterno cessi di essere a disposizione
– sia pure ab extrinseco – della struttura malavitosa”.
2.3. Alla luce di tale affermazione, il Collegio ha coerentemente osservato che la
questione della persistenza o meno della disponibilità del concorrente esterno a fornire il suo
apporto doveva risolversi “in un mero problema di prova”.
2.4. Calando gli enunciati principi nel caso di specie e tenendo conto delle motivazioni
svolte dalla Corte reggina sulla questione oggetto del giudizio di rinvio (stabilire se le vicende
cc. dd. “Aquila” e “via Marina” costituissero “indizi gravi, precisi e concordanti della serietà e
concretezza degli impegni assunti dall’imputato nei confronti del sodalizio criminale, per
ottenere la sua elezione alla Camera dei deputati, nelle elezioni politiche del 1994”), la V
Sezione è giunta ad evidenziare:

che l’episodio c.d. “via Marina”, certamente al di fuori del perimetro della

contestazione, era stato valutato, non come fatto in sé penalmente rilevante, ma come
episodio sintomatico del permanere del legame tra MATACENA, da un lato, e i Rosmini e i loro
associati, dall’altro;
– che, siccome all’epoca della richiesta estorsiva (poi rientrata) per i lavori di via Marina
in Reggio Calabria (anni 1999/2000) il legame tra il ricorrente e la cosca era ancora attivo,
“(almeno) fino a auel momento, il termine di prescrizione non poteva iniziare a decorrere”.
5

individuazione della data del commesso reato nel dicembre 1994, lamentava la mancata

Concludono, poi, i Giudici affermando: “Con le argomentazioni sopra esposte, si è data
risposta alle censure sub c), d) ed e), nonché a parte delle censure introdotte con i motivi
nuovi. Dette censure sono, pertanto, da qualificare infondate”.
3. Osserva, preliminarmente, il Collegio che i rilievi svolti dalla difesa del ricorrente in
ordine alla natura del reato di concorso esterno in associazione mafiosa (istantaneo ovvero
permanente), al tipo di contestazione (se “chiusa” o “aperta”), al momento della cessazione
della condotta delittuosa (dipendente dalla ravvisata natura di reato “permanente”) ed alla

all’imputato (l’episodio dei lavori di via Marina, risalente agli anni 1999/2000) devono ritenersi
inammissibili nella presente sede, in quanto tutti hanno costituito oggetto, esplicitamente o
implicitamente, di compiute e argomentate valutazioni espresse nella sentenza impugnata,
che, quindi, non potrebbero mai essere ricondotte al paradigma dell’errore materiale o di fatto.
4. Venendo alla tipologia di errori deducibili con il particolare strumento del ricorso
straordinario ex art. 625 bis cod. proc. pen., ritiene questo Collegio che la sentenza censurata
sia incorsa in un errore percettivo laddove ha individuato la sentenza di primo grado cui
ancorare la cessazione della permanenza del reato ascritto all’imputato nella decisione emessa
dalla Corte di Assise di Reggio Calabria in data 16.3.2006, anziché nella antecedente pronuncia
resa dalla stessa Corte in data 13.3.2001, seppure di detta decisione si faccia menzione nella
esposizione in fatto.
E’ pacifico, infatti, che, in tema di delitti associativi – come nel caso di concorso
esterno negli stessi – la permanenza del reato, allorquando la contestazione sia “aperta” come
è stato ritenuto nella specie, cessi con la pronuncia di primo grado, in quanto, a seguito
dell’istruttoria dibattimentale espletata in tale fase, si accerta compiutamente il fatto da
giudicare e si cristallizza l’imputazione, non più modificabile nei giudizi successivi (v., fra
molte, Sez. II, sent. n. 23695 del 22.3.2012, P.M. in proc. Foti, Rv. 253187; Sez. V, sent. n.
36928 del 18.4.2008, Pandolfino, Rv. 241579; Sez. I, sent. n. 17265 dell’8.4.2008, Zavettieri,
Rv. 239628).
Né è dato rilevare nella sentenza oggi ricorsa alcun tipo di valutazione, esplicita o
implicita, che dall’enunciato principio si discosti.
4.1. Va, subito, osservato che tale errore percettivo in cui è incorsa la sentenza
impugnata non incide affatto sulla maturazione, nel caso in esame, del termine prescrizionale.
Dovendosi applicare in relazione alla data di consumazione del reato coincidente con il
13.3.2001 la disciplina previgente la legge n. 251/2005, che fissava, per i reati puniti con pena
della reclusione “non inferiore a cinque anni” (si ricorda che, per effetto del giudizio di
bilanciamento delle circostanze, l’ipotesi-base del reato di cui all’art. 416 bis cod. pen, era,
all’epoca, punita con la reclusione “da tre a sei anni”), in dieci anni il tempo necessario a
prescrivere, tenuto conto del prolungamento fino alla metà per i fatti interruttivi (dieci più
cinque), il reato per cui il MATACENA è stato condannato sarebbe, infatti, prescritto non prima
del 16.3.2016 (16.3.2001 + quindici anni).
6

mancata contestazione suppletiva del segmento ulteriore di durata del reato ascritto

4.2. L’errore percettivo riscontrato rileva, viceversa, sull’entità della pena principale da
irrogarsi nei confronti dell’imputato.
Ed invero, alla data del 13.3.2001, la pena inflitta per il reato di cui all’art. 416 bis cod.
pen. ed in concreto applicabile al MATACENA previo giudizio di bilanciamento delle circostanze
ex art. 69 cod. pen. era quella della reclusione da tre a sei anni, sanzione all’evidenza più
favorevole di quella successivamente introdotta dalla I. n. 251/2005, applicata, nella specie,
dai Giudici di merito (da cinque a dieci anni).

rinvenibile nella sopra menzionata espressione “Con le argomentazioni sopra esposte, si è data
risposta alle censure sub c), d) ed e)…”, che, lambendo i confini dell’argomentare apparente,
non chiarisce le ragioni per le quali, pur essendosi poco prima individuata la cessazione della
permanenza della condotta delittuosa dell’imputato quanto meno in coincidenza con i lavori
effettuati in via Marina (anni 1999/2000) e, comunque, con la data della decisione di primo
grado in relazione a contestazione che la Corte ha ritenuto “aperta”, il trattamento
sanzionatorio andava, comunque, stabilito ai sensi della L. n. 251/2005.
Sotto questo profilo, deve, quindi, rilevarsi un ulteriore errore di fatto in cui è incorsa la
sentenza in esame, per omessa considerazione delle conclusioni difensive decisive ai fini del
giudizio di legittimità (Sez. 1, Sentenza n. 26697 del 23/05/2013 Grande Rv. 255970).
5. Ciò detto, atteso che, a mente dell’art. 625 bis, quarto comma, ultima parte, cod.
proc. pen., in caso di accoglimento della richiesta di correzione dell’errore, la Corte “adotta i
provvedimenti necessari”, e che il Giudice di merito ha inteso esercitare la sua discrezionalità
ancorando il trattamento sanzionatorio al minimo edittale, deve determinarsi nei confronti del
ricorrente per il delitto oggetto di condanna l’entità della pena secondo il limite edittale minimo
di tre anni di reclusione vigente alla data del 13.3.2001 (data della sentenza di primo grado
della Corte di Assise di Reggio Calabria).
In conseguenza della determinazione della pena principale in tre anni di reclusione, va
limitata a cinque anni la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici (art. 29, primo
comma, ultima parte, cod. pen.), mentre la pena accessoria della interdizione legale va
eliminata del tutto (art. 32, terzo comma, cod. pen.).
La sentenza impugnata va, nel resto, confermata.

P.Q.M.

Annulla la sentenza emessa in data 5.6.2013 da questa Corte di Cassazione Sezione V,
limitatamente alla entità della pena che determina in anni tre di reclusione, alla pena
accessoria della interdizione dai pubblici uffici, che limita ad anni cinque, ed alla pena
accessoria della interdizione legale, che elimina.
Conferma, nel resto, la sentenza impugnata.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2014
7

Trattasi di errore in qualche modo alimentato da eccessiva stringatezza motivazionale,

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