Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31773 del 06/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 31773 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da TAWFIK GHAREB SHARAF, nato a Milano il
26/12/1981,
avverso l’ordinanza emessa in data 12/6/2013 dal Tribunale di sorveglianza
di Milano.
Visti gli atti, il provvedimento denunziato, il ricorso;
Udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
Lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Giovanni D’Angelo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Milano revocava
la detenzione domiciliare – già cautelativamente sospesa con provvedimento del
21.5.2013 del magistrato di sorveglianza – concessa a TAWFIK GHAREB SHARAF
il 16.1.2013 in relazione alla pena residua di 7 mesi e 28 giorni di reclusione
determinata con provvedimento di cumulo del Pubblico ministero.
A ragione rilevava che dalla denunzia del Commissariato di Scalo Romana e
dall’allegato verbale di arresto risultava che alle 11,20 del 17 m gio 2013 gli

Data Udienza: 06/06/2014

agenti erano dovuti intervenire in un bar perché il TAWFIK, che aveva già bevuto
quattro o cinque bicchieri di “Sambuca”, stava dando in escandescenze per il
rifiuto del gestore di somministrargli altre bevande, dopo avere minacciato di
morte la moglie dello stesso gestore se l’avesse denunziato e aver dichiarato che
la moglie lo tradiva e che preferiva tornare in carcere, perché, se fosse rientrato
in casa, l’avrebbe uccisa. Il fatto non integravano il reato di evasione (come
ritenuto dal giudice del merito, giacché il TAWFIK era autorizzato ad allontanarsi
in quelle ore), ma il comportamento tenuto, da un lato dimostrava che l’attuale
domicilio non era più idoneo per l’esecuzione della misura (mentre l’asserzione
difensiva, secondo cui la madre del condannato sarebbe stata disposta ad
doverose verifiche); dall’altro appariva comunque incompatibile con la
prosecuzione del beneficio.
2. Ricorre il condannato a mezzo del difensore avv. Angela Marchianò, che
chiede l’annullamento del provvedimento di revoca, denunziando:
2.1. con il primo motivo, violazione dell’art. 47, commi 6, 7 e 9, legge n.
354 del 1975, sull’assunto che nel caso in esame non era ravvisabile alcuna delle
situazioni che legittimavano la revoca del beneficio; l’episodio riferito era isolato
e del tutto occasionale, per nulla sintomatico di comportamento incompatibile
con la prosecuzione della misura; il fatto non integrava, come s’era riconosciuto,
evasione; l’interruzione del trattamento era in contrasto con le finalità
rieducative;
2.2 con il secondo motivo, vizi di motivazione, attesa la laconicità della
stessa, che mancava di spiegare perché il domicilio ove l’istante si trovava
sarebbe divenuto inidoneo e perché la condotta era ritenuta incompatibile con la
prosecuzione della misura.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che il ricorso appare inammissibile.
2. Come esattamente rileva il Procuratore generale, il comportamento
tenuto dal ricorrente, puntualmente descritto nel provvedimento impugnato,
risulta, con auto-evidenza, non solo illegittimo (contrario a legge, avendo
arrecato, in violazione del precetto generalissimo del neminem laedere, disturbo
nell’esercizio pubblico ed avendo richiesto, per la sua interruzione, addirittura
l’intervento delle forze dell’ordine), ma addirittura illecito, integrando perlomeno
il reato di minacce (se non addirittura il tentativo di costringere il gestore del bar
a violare le disposizioni degli artt. 690 e 691 cod. pen.).
E in relazione alla possibilità di valutare detta condotta, ai sensi dell’art. 47ter, I. n. 354 del 1975, ai fini della revoca del beneficio, è del tutto irrilevante
che per essa non sia stata sporta querela ovvero che per altro motivo non vi sia
stata condanna, giacché quello che conta, e che è rimesso all’apprezzamento del
giudice del merito, è appunto l’oggettivo comportamento tenuto (nello stesso
senso, tra moltissime e con riferimento a fattispecie per molti versi analoga, cfr.
Sez. 1, n. 25640 del 21/05/2013, Adelizzi, Rv. 256066).

2

accoglierlo, non era supportata da alcuna documentazione che consentisse le

3. Manifestamente infondata è, dunque, la censura di violazione di legge. E
manifestamente infondata è la doglianza relativa al difetto di motivazione,
perché, come detto, la descrizione del comportamento rende di per sé ragione
del suo apprezzamento in termini di fatto illecito, incompatibile – per la gravità
delle minacce riportate – con la prosecuzione della misura.
4. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del
2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma il giorno 6 giugno 2014
Il Consigliere estensore

ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000.

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