Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31771 del 06/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 31771 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ZAMPETTI UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’AMICO FRANCESCO N. IL 18/03/1934
avverso l’ordinanza n. 692/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di
CATANZARO, del 17/10/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO ZAMPETTI;
lette/gentite le conclusioni del PG Dott. 19213-1UCE3c-.2 ‘A(_2 14 A>

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clured,12 cuA1 ,1

Uditi difensor Avv.; —

ee. t412.A.ts .–,2

Data Udienza: 06/06/2014

Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 17.10.2013 il Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro
rigettava le istanze proposte da Francesco D’Amico, detenuto in espiazione
dell’ergastolo, tese ad ottenere il differimento della pena o la detenzione domiciliare
per motivi di salute. Rilevava invero detto Tribunale, a ragione della decisione, come
dalle più recenti relazioni sanitarie risultassero a suo carico patologie (cardiovascolari)
non comportanti pericolo quoad vitam e ben fronteggiate in ambiente carcerario. Era

ospedale idoneo ad eseguire accertamenti ed eventuali cure.2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto condannato
che motivava l’impugnazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in
particolare argomentando in sintesi nei seguenti termini : – il Tribunale aveva
travisato l’ultima relazione sanitaria che aveva indicato il probabile aggravamento
delle condizioni di salute, anche con rischio di vita; – tale era stato anche il giudizio
del consulente medico di parte; – la detenzione era contraria ai sensi di umanità,
almeno ai fini del differimento facoltativo.Considerato in diritto
1. Il ricorso, infondato, non può trovare accoglimento.2. Ed invero il Tribunale di competenza si è attenuto, del tutto correttamente, al
principio cardine in materia che è quello della compatibilità dell’ambiente e del
trattamento carcerario con le condizioni di salute del condannato. In tal senso deve
rilevarsi che le due relazioni sanitarie dell’Istituto penitenziario (in data 30.03.2013 e
01.10.2013) e la stessa consulenza di parte concordano in ordine al quadro clinico
presentato dall’anziano detenuto (cardiopatia ipertensiva con pregresso infarto;
broncopatia cronica; ipertrofia prostatica benigna; varici; umore depresso). Si tratta,
all’evidenza, di situazione non particolarmente grave, ma soprattutto ben trattabile in
Istituto, avendo bisogno -allo stato- solo di terapia farmacologica. Si tratta, poi,
sempre per attestazione delle relazioni sanitarie, di situazione stabilizzata, non
bisognosa, almeno per il momento, di interventi di tipo straordinario non eseguibili in
Istituto. Né -come pare sostenere il ricorrente- la seconda di tali relazioni sanitarie
(quella in data 01.10.2013) attesta l’incompatibilità attuale di tali condizioni di salute
con l’ambiente carcerario, proponendo solo un’ipotesi in caso di futuro aggravamento,
sempre possibile -com’è nelle umane cose : ma anche in libertà- stante la natura
delle patologie e l’età avanzata del condannato. Ciò posto, da un lato risulta corretta
la decisione adottata che negava l’attualità della prospettata incompatibilità, dall’altro
risulta ben opportuna la disposizione data dal Collegio del controllo penitenziario di
1

comunque disposto il trasferimento del D’Amico in Istituto carcerario più vicino ad un

trasferire il D’Amico in un carcere più vicino a struttura ospedaliera pubblica
attrezzata a fronteggiare eventuali episodi critici. Tale disposizione è stata osservata,
posto che dall’acquisita certificazione del DAP risulta che in data 02.12.2013 il
predetto condannato, proveniente dal carcere di Rossano, ha fatto ingesso nella casa
Circondariale di Catanzaro, prossima alla Cardiochirurgia dell’Azienda Ospedaliera
Universitaria di tale sede, come ordinato nell’impugnata ordinanza.Orbene, ciò posto, si tratta di accertata situazione che non imponeva il

Vardaro, Rv. 251478; ecc.), né obbligatorio, né facoltativo, potendosi far ricorso, ove
necessario, allo strumento di cui all’art. 11 Ord. Pen.In presenza di tale situazione, diventa parimenti infondata la richiesta di
detenzione domiciliare, in quanto -agli effetti delle cure praticabili e con riferimento
alle prospettive di evoluzione del quadro clinico- non può emergere differenziazione
alcuna. Ed invero, anche in presenza di una patologia sicuramente grave del
condannato, il giudice non è tenuto automaticamente a concedere il rinvio
dell’esecuzione della pena per ragioni di salute, ovvero la misura alternativa della
detenzione domiciliare, dovendo invece verificare se la situazione patologica sia
congruamente fronteggiabile in ambiente carcerario, senza che ciò contrasti con il
basilare senso di umanità e impedisca il normale regime trattamentale (così Cass.
Pen. Sez. 1°, n. 27313 in data 24.06.2008, Commisso, Rv. 240877).Quanto infine ai principi di umanità, il ricorso è del tutto generico, risolvendosi in
un’affermazione di principio che non trova -allo stato- concreti riferimenti alla
condizione carceraria del D’Amico : costui è curato adeguatamente in carcere, vive
una condizione di sostanziale stabilità della sua situazione di salute, è stato posto in
condizione di fruire, all’occorrenza, dei migliori servizi sanitari specialistici di cui possa
avere bisogno. Nel ricorso, peraltro, oltre a ribadire le condizioni di salute (di cui si è
già detto), nessun elemento concreto è stato indicato idoneo a configurare la
violazione dei basilari principi suddetti. Si ha ragione di ritenere, quindi, che il
trattamento carcerario sia del tutto adeguato alle particolarità del caso.Va solo aggiunto che, in materia, non si crea preclusione endoprocessuale, ben
potendo la situazione essere sempre rivalutata dal Tribunale di competenza in esito
all’evoluzione del quadro clinico del detenuto.3. In definitiva il ricorso, infondato deve essere respinto. Al completo rigetto
dell’impugnazione consegue di diritto, in forza del disposto dell’art. 616 Cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.-

2

differimento della pena (cfr. Cass. Pen. Sez. 1°, n. 30495 in data 05.07.2011,

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.Così deciso in Roma il 06 Giugno 2014 Il Presidente

Il Consigliere estensore

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