Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31768 del 06/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 31768 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da MBENGUE MOHAMED, nato a Dakar, Senegal, il
27/9/1972,
avverso l’ordinanza emessa in data 1°/10/2013 dalla Corte di appello di
Salerno.
Visti gli atti, il provvedimento denunziato, il ricorso, la memoria;
Udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
Lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Gabriele Mazzotta, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe la Corte di appello di Salerno rigettava la
richiesta avanzata ex art. 673 cod. proc. pen. da MBENGUE MOHAMED, volta ad
ottenere la revoca, per “aboliti° criminis”, della sentenza di condanna in data
27.9.2004 dal Tribunale di Salerno [recte, delle sentenze di condanna emesse
dal Tribunale di Salerno il 23.9.2004 e depositate il 27.9.2004, unificate con la
sentenza d’appello emessa in data 25.2.2008 della Corte di appello di Salerno],
irrevocabile il 12.11.2008 [a seguito di sentenza n. 46893 del 2008 ella Corte di

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Data Udienza: 06/06/2014

cassazione], avente ad oggetto il reato [continuato] di cui all’art. 171-ter, lettere
c) e d), della legge n. 633 del 1941, commesso il 4.9.2001 el’8.10.2001.
Osservava, a ragione che nel caso in esame non si verteva in ipotesi di
abolizione del reato, bensì di condotta non suscettibile di sanzione penale fino
alla comunicazione alla Commissione Europea da parte dello Stato italiano della
regola tecnica che impone il contrassegno SIAE. E tale comunicazione era stata
effettuata d.P.C.M. del 23.2.2009, sicché la condotta in esame integrava,

2. Ha proposto ricorso il condannato, a mezzo del difensore avv. Vincenzo
Vegliante, denunziando violazione di legge e vizi della motivazione.
Osserva che per effetto della nota sentenza della Corte di Giustizia della
Unione europea emessa in data 8.11.2007 [pubblicata in GU C-315 del
22.12.2007, pag. 4] nel procedimento C-20/2005, Schwibbert, la condotta per la
quale MBENGUE MOHAMED era stato condannato non poteva essere sanzionata
penalmente, e il fenomeno della inapplicabilità della sanzione penale per effetto
di sentenza della Corte di giustizia è in tutto equiparabile, secondo i più recenti
arresti giurisprudenziali, all’abolitio criminis, posto che dette sentenze hanno
efficacia vincolante per tutte le autorità giurisdizionali degli stati membri.
Priva di fondamento era di contro l’osservazione della Corte di appello
secondo cui la questione avrebbe dovuto essere dedotta nel giudizio di merito,
posto che questo si era tenuto prima che si formasse detta giurisprudenza. Del
tutto irrilevante era quindi che a partire dal 2009 il reato potesse considerarsi
nuovamente integrabile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che il ricorso appare fondato.
2. E’ principio oramai consolidato, infatti, che il diritto dell’Unione, come
interpretato, in maniera autoritativa e con effetto diretto per tutti gli Stati
membri e le rispettive giurisdizioni, dalle decisioni della Corte di Giustizia
allorché affermano che lo stesso impedisce l’applicazione di una fattispecie
incriminatrice, produce effetti che non possono che considerarsi analoghi
all’abolitio criminis.
Più volte la stessa Corte costituzionale ha d’altra parte riconosciuto che i
principi enunciati nella decisione dalla Corte di giustizia si inseriscono
direttamente nell’ordinamento interno, con il valore di jus superveniens,
condizionando e determinando i limiti in cui le norme di questo conservano
efficacia e devono essere applicate anche da parte del giudice nazionale (v. da
ultimo C. cost. ordinanza nn. 311 del 2011 e 63 del 2003). In tal modo
mostrando di annettere valore conformativo alle sentenze della Corte di giustizia
che in via d’interpretazione pregiudiziale dichiarano l’incompatibilità del diritto
nazionale con quello europeo.
In relazione a ipotesi riferibile, come la presente, alla sentenza della Corte di
Giustizia 8.11.2007, pub. il 22.12.2007, procedimento C-20/2005, Schwibbert,
con sent. Sez. 1, n. 16521 del 20/01/2011, Titas Luca (non massimata, rpda

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all’attualità, reato. Mentre la non ravvisabilità del reato all’epoca dei fatti si
sarebbe dovuta dedurre con gli ordinari mezzi di impugnazione.

cui ha tratto origine l’analogo filone riferito alla sentenza della Corte di giustizia
El Dridi e all’art. 14, comma 5-ter d.lgs. n. 286 del 1998) ha già ritenuto
(citando altresì Corte Cost. nn. 13 del 1985, 389 del 1989, 168 del 1991, nonché
la conforme giurisprudenza di legittimità) che la pronunzia della Corte di
Giustizia che accerta l’incompatibilità della norma incriminatrice con il diritto
europeo (si trattava del caso Schwibbert) «si incorpora nella norma stessa e ne
integra il precetto con efficacia immediata», così producendo «una sorta di
abolitio criminis» che impone, in forza di interpretazione costituzionalmente

Nello stesso senso risultavano già essersi espresse, d’altronde, con riguardo
alla rilevabilità d’ufficio nel giudizio di legittimità e nel giudizio di rinvio della
abolitio criminis prodotta dalla sentenza della Corte di giustizia, tra molte, Sez.
6, n. 9028 del 05/11/2010, Gargiulo, Rv. 249680; Sez. 6, n. 41683 del
19/10/2010, Ndaw, Rv. 248720.
Più in particolare, con la sentenza Titas Luca si è osservato che:
«4.1- L’obbligo di apposizione del contrassegno SIAE è stato previsto
dalle varie disposizioni succedutesi nel tempo prima per le sole opere cartacee
(art. 12 re gol. per l’esecuzione della L. n. 633 del 1941) e poi, via via, per le
opere “tecnologiche” costituite dalle videocassette riproducenti opere
cinematografiche (D.L. 26 gennaio 1987, n. 9 convertito nella L. 27 marzo 1987,
n. 121), da videocassette, musicassette od altro supporto contenente
fonogrammi o video grammi di opere cinematografiche o audiovisive o sequenze
di immagini in movimento (D.Lgs. 16 novembre 1994, n. 685 introduttivo della
prima versione della L. n. 633 del 1941, art. 171 ter), da supporti contenenti
programmi per elaboratore o multimediali nonché da supporti contenenti suoni,
voci o immagini in movimento, recanti la fissazione di opere o parti di opere
specificatamente indicate (L. 18 agosto 2000, n. 248 introduttiva nella L. n. 633
del 1941 dell’art. 181 bis e delle modificate fattispecie di cui agli artt. 171 bis e
171 ter), così venendo siffatto obbligo ad assumere nel tempo non solo un
carattere meramente civilistico, la cui violazione costituiva mero inadempimento
contrattuale, ma una funzione pubblicistica, presidiata anche penalmente, volta a
consentire una verifica di autenticità dei prodotti e nel contempo ad assicurare la
tutela dei diritti relativi alle opere dell’ingegno.
4.2- Su tale quadro legislativo ha indubbiamente inciso la normativa
comunitaria laddove ha imposto una procedura di informazione nel settore delle
norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della
società dell’informazione (direttive CE n. 189 del 1983 e n. 34 del 1998),
conseguentemente ponendo problemi interpretativi in ordine ai rapporti tra
norma comunitaria e legislazione interna ed in ordine agli eventuali effetti su
decisioni passate in giudicato.
Al proposito deve essere ricordata la sentenza Schwibbert emessa dalla
Corte di Giustizia in data 8/11/2007 che ha affermato: che l’apposizione del
contrassegno SIAE costituisce “specificazione tecnica” ex art. 1 punto 3 della
direttiva CE n. 34 del 1998 nonché “regola tecnica” ai sensi dell’arti punto 11
della medesima direttiva, obbligatoria de iure per la commercializzazione dei
prodotti contemplati; che tale obbligo di apposizione, in quanto regola tec a,

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necessitata, di estendere a siffatte situazioni di sopravvenuta inapplicabilità della
norma incriminatrice nazionale, la previsione dell’art. 673 cod. proc. pen.»

doveva nella specie essere comunicato dallo Stato Italiano alla Commissione
Europea in conformità a quanto previsto dalla direttiva CE n. 189 del 1983; che
al riguardo non poteva condividersi la tesi di una pregressa previsione
dell’obbligo di apposizione del contrassegno (e, quindi, della non necessità di una
comunicazione al riguardo), essendo stato esso – nella sua nuova connotazione e
per il tipo di prodotto oggetto della controversia – in realtà previsto solo nel 1994
a seguito del D.Lgs. n. 685 del 1994 e, pertanto, successivamente alla direttiva
CE sopra citata.
4.3- Tenuto conto di quanto sopra questa Corte, preso atto della efficacia
diretta nell’ordinamento interno della direttiva comunitaria in questione perché
applicazione condizionata dalla necessità di ulteriori interventi normativi delle
Autorità nazionali (cfr. ex multis: Cass. sentenze nn. 13816/2008, 13819/2008,
21579/2008), ed affermata la estensibilità dei principi di cui alla sentenza
Schwibbert anche ai supporti diversi dai dischi compatti contenenti opere d’arte
figurativa (oggetto della sentenza in questione), ha riconosciuto che il dictum dei
giudici comunitari “stabilisce un principio generale secondo il quale la violazione
dell’obbligo di comunicare alla Commissione ogni istituzione del contrassegno
SIAE successiva alla data di entrata in vigore della direttiva per i supporti di ogni
specie (cartaceo, magnetico, plastico, etc.) e di ogni contenuto (musicale,
letterario, figurativo, etc.) rende inapplicabile contro i privati l’obbligo del
contrassegno stesso” (cfr. Cass. sentenze nn. 13810/2008, 13816/2008,
21579/2008, 34266/2008, 34553/2008, 30493/2009, 30595/2010).
5- Ebbene, tutto ciò premesso, restano da valutare i riflessi della
disapplicazione, per le ragioni di cui sopra, delle norme sul contrassegno su
quelle sanzionanti penalmente le condotte a vario titolo riguardanti i supporti
privi del predetto contrassegno (detenzione di supporti privi di contrassegno,
commercializzazione di tali prodotti, commercializzazione di supporti
illecitamente duplicati o riprodotti).
5.1- Al riguardo è certamente condivisibile l’orientamento
giurisprudenziale per il quale, allorquando la fattispecie penale contestata
contempli quale elemento costitutivo tipico (negativo) il contrassegno SIAE, deve
concludersi per la non più sussistente rilevanza penale del fatto, ove posto in
essere dopo l’emanazione della direttiva CE n. 189 del 1983 e prima del
completamento della procedura di notifica della regola tecnica alla Commissione
Europea a mezzo del D.P.C.M. 23 febbraio 2009, n. 31: ciò vale per le fattispecie
previste dalla L. n. 633 del 1941, art. 171-bis e art. 171-ter, comma 1, lett. d).
In ordine alla formula di proscioglimento, pur preso atto anche di un
diverso orientamento in proposito, il Collegio condivide quello che ha ritenuto
applicabile la formula “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”.
E ciò in quanto il fatto materiale contestato in imputazione si è verificato
ed è accertato, ma esso non costituisce illecito penale: perché la norma che
prevede l’obbligo di apposizione del contrassegno non è valevole nei confronti
dell’imputato ai sensi delle citate direttive comunitarie (fino al completamento
della procedura di comunicazione della regola tecnica alla Commissione
Europea), perché in ragione della prevalenza e della diretta efficacia del diritto
comunitario la norma sovranazionale può restringere l’ambito del penalmen

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contenente “disposizioni precise e determinate”, tali da non essere la loro

rilevante, perché il precetto penale è venuto meno a seguito, appunto, della
norma sovranazionale (cfr. Cass. sentenze nn. 34266/2008, 34553/2008,
30493/2009, 34376/2010, 30595/2010).
5.2- Di contro, in relazione alle diverse fattispecie che sanzionano
penalmente la illecita duplicazione o riproduzione di supporti ovvero la
detenzione di tali supporti a fini commerciali, senza prevedere tra gli elementi
costitutivi del reato l’assenza del contrassegno SIAE (art. 171-ter, comma 1, lett.
a, b e c L. cit.), il disvalore penale del fatto permane, non implicando la
fattispecie alcuna disapplicazione delle norme sul contrassegno in conseguenza
acquisita la prova della sussistenza di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del
reato.
5.3- Quanto infine agli effetti derivanti dalla disapplicazione delle norme
sul contrassegno relativamente alle sentenze passate in giudicato, ritiene il
Collegio che una interpretazione costituzionalmente corretta della norma
consenta una applicazione in via analogica del disposto dell’art. 673 c.p.p. pur
quando non trattasi di abrograzione o dichiarazione di illegittimità costituzionale
della norma incriminatrice ma anche quando, come nella specie, trattasi di
sopravvenuta inapplicabilità di una norma nazionale per effetto di una pronuncia
della Corte Europea, ipotesi certamente assimilabile dal punto di vista logico a
quelle espressamente indicate nel citato art. 673 c.p.p., in siffatto caso
sostanzialmente verificandosi una sorta di abolitio criminis e non già un mero
mutamento giurisprudenziale (cfr. a conferma: Cass. sentenze n. 30595/2010 e
n. 34376/2010). Del resto il ruolo di qualificato interprete del diritto comunitario
svolto dalla Corte di Giustizia connota autoritariamente la pronuncia emessa da
tale Corte, sicché la sentenza interpretativa di una norma, dalla Corte emanata,
si incorpora nella norma stessa e ne integra il precetto con efficacia immediata
(cfr. sentenze Corte Cost. nn. 13/85, 389/89, 168/91). »
3. Tanto posto, va rilevato che nel caso in esame, nonostante la sentenza
di condanna cui si riferisce la richiesta del ricorrente risulti dal certificato penale
irrevocabile il 13.11.2008, non può ritenersi che la condanna per l’ipotesi
riferibile all’art. 171-ter, lettera d), sia divenuta definitiva per un error in
iudicando successivamente alla sentenza della Corte di giustizia che rappresenta
lo ius superveniens. Risulta difatti dal tenore delle decisioni dei giudici delle
impugnazioni che sia l’appello sia il ricorso non investivano il punto della
condanna relativo alla fattispecie concernente la detenzione e vendita di supporti
privi di contrassegni SIAE (ovverosia la lettera d), ma soltanto l’illecita
duplicazione, e cioè la sola lettera c). Sicché in assenza d’impugnazione sul
punto, la condanna per l’ipotesi di cui all’art. 171-ter, lettera d), I. n. 633 del
1941 era sostanzialmente già definitiva (per giudicato parziale) al momento della
pubblicazione della sentenza Schwibbert.
4. Ne discende che alla stregua delle considerazioni svolte nella sentenza
Titas, che il Collegio interamente condivide e fa proprie, si impone
l’annullamento dell’ordinanza impugnata ed il rinvio alla Corte di appello di
Salerno perché proceda a nuovo esame al fine di verificare, tenuto cont dei

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della relativa normativa comunitaria, sempre che, naturalmente, sia stata

principi di diritto sopra esposti, se i fatti per i quali è stata pronunciata condanna
e le pene irrogate sono riferibili, anche solo in parte, ad ipotesi oggetto di
aboliti°, traendone le dovute conseguenze.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello
di Salerno.

Il Consigliere estensore

Così deciso in Roma il giorno 6 giugno 2014

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