Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31755 del 20/05/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 31755 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
PROCURATORE della REPUBBLICA presso il TRIBUNALE di MACERATA

avverso l’ordinanza in data 7 maggio 2013 del Magistrato di sorveglianza di
Macerata nel proc. n. 3299/2010, nei confronti di

D’ALESSANDRO Michela Maria, nata a Fermo il 24 ottobre 1964.

Visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Antonella Patrizia Mazzei;
lette le conclusioni del Pubblico ministero presso questa Corte di cassazione, in
persona del Sostituto procuratore generale, Antonio Mura, il quale ha concluso
per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

RILEVATO IN FATTO
1. Il Magistrato di sorveglianza di Macerata, con ordinanza del 7 maggio
2013, ha accolto parzialmente la richiesta di D’Alessandro Michela Maria di
remissione del debito relativamente alle spese processuali, ammontanti ad euro

Data Udienza: 20/05/2014

17.026,29, di cui alla condanna inflittale con sentenza della Corte di appello di
Ancona del 7 novembre 2005.
Il Magistrato ha rappresentato che la D’Alessandro, la quale aveva espiato la
pena in regime di affidamento in prova al servizio sociale con esito positivo
donde la dichiarata estinzione di essa, e aveva serbato anche successivamente
una regolare condotta, è percettrice di reddito da lavoro dipendente, così come il

sentenza insieme ad altre quattordici persone, obbligate in solido per le
medesime spese; conseguentemente, ad avviso del decidente, la D’Alessandro
non si trova in condizioni di assoluta incompatibilità con l’adempimento del
debito verso lo Stato, ove ridimensionato alla quota parte da lei dovuta in solido
col coniuge, condividente lo stesso bilancio familiare.
Il Magistrato ha pertanto rimesso il debito nei limiti di 14/16 (dunque 7/8)
della somma complessiva dovuta, ponendo a carico della D’Alessandro, la
restante quota di 1/8 del dovuto.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il
Procuratore della Repubblica di Macerata, il quale ha denunciato la violazione
dell’art. 6 d.P.R. n. 115 del 2002 e la manifesta illogicità e contraddittorietà della
motivazione.
In presenza dei requisiti normativamente previsti per la remissione del
debito non potrebbe essere disposto un esonero solo parziale, non contemplato
dal legislatore, dal pagamento del dovuto per spese processuali, sulla base di
una situazione di disagio limitato, secondo la motivazione -manifestamente
illogica- del Magistrato.

3. Il Pubblico ministero presso questa Corte ha ritenuto fondato il ricorso e
ha chiesto, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio degli
atti al Magistrato di sorveglianza per nuovo esame, rilevando, in particolare,
l’eccessiva discrezionalità nella determinazione, da parte del Magistrato, della
quota di debito rimessa, cui esporrebbe la tesi della remissione parziale
sostenuta nell’ordinanza impugnata, in mancanza di parametri normativi di
riferimento al riguardo, e, comunque, l’esigenza di una rigorosa motivazione
della soluzione adottata non sussistente nel caso di specie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.
2

marito, unico familiare convivente, a sua volta condannato con la stessa

Il provvedimento impugnato postula la possibilità di concedere parzialmente
il beneficio della remissione del debito, in presenza di condizioni economiche
dell’istante non completamente incapienti in relazione al dovuto e, tuttavia, tali
da non poter soddisfare l’intero debito senza esporre il condannato meritevole,
per aver tenuto una regolare condotta durante l’esecuzione della pena, ad un
impegno eccessivamente gravoso e, perciò, incompatibile con la finalità

dell’interessato.
La tesi non può essere condivisa.
L’art. 6 d.P.R. 30/05/2002, n. 115, intitolato “Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia”, non prevede la
remissione parziale del debito, così come non è prevista la concessione parziale
di alcuna misura premiale.
Questa Corte, peraltro, ha già precisato che, ai fini della remissione del
debito per le spese processuali, il requisito delle disagiate condizioni economiche
del condannato non equivale all’indigenza e non va valutato in astratto ma in
relazione all’entità della somma dovuta, con la conseguenza che, quando la
comparazione tra l’entità dei redditi percepiti e l’ammontare delle spese dovute
sia tale che l’adempimento comporterebbe un serio e considerevole squilibrio del
bilancio domestico del condannato, così da precludergli il soddisfacimento di
elementari esigenze vitali e comprometterne quindi il recupero e il reinserimento
sociale, la remissione deve essere disposta (Sez. 1, n. 48400 del 23/11/2012,
dep. 13/12/2012, Loreto, Rv. 253979; conformi: n. 13611 del 2012, Rv.
252292; n. 12232 del 2012, Rv. 252923; n. 5621 del 2009, Rv. 242445; n.
14541 del 2006, Rv. 233939).
La disposizione in tema di remissione del debito, di cui all’art. 6 d.P.R. n.
115 del 2002, interpretata, come deve essere, a norma dell’art. 12 delle
disposizioni sulla legge in generale, secondo il senso fatto palese dal significato
proprio delle parole utilizzate e dalla intenzione del legislatore, già consente
quindi di considerare positivamente ai fini dell’applicazione della misura, senza
necessità di ricorrere alla remissione parziale del debito, estranea alla previsione
normativa, le condizioni economiche del condannato, laddove esse, pur non
essendo assimilabili all’indigenza, siano tuttavia indicative di grave difficoltà a far
fronte alle normali esigenze di una vita decorosa, così da esporre l’istante, in
caso di forzato adempimento, a rischio criminogeno e desocializzante.
Il provvedimento in esame non opera tale esame globale e comparativo
delle risorse economiche della condannata in relazione all’entità del suo debito
erariale per spese processuali, peraltro rateizzabile, preferendo un’applicazione
3

dell’istituto della remissione, che è quella di favorire il reinserimento sociale

di tipo creativo, non consentita all’interprete, che postula una configurazione
della remissione del debito come beneficio riconoscibile anche solo parzialmente
del tutto avulsa dalla previsione normativa di cui all’art. 6 d.P.R. n. 115 dei
2002, cit.
3. Ne discende l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per
627, comma 3, cod. proc. pen., si uniformerà al principio di diritto sopra
enunciato, secondo il quale va esclusa la remissione parziale del debito, fermo il
dovere del giudice di vagliare le condizioni economiche del condannato in
relazione all’importo delle spese dovute, al fine di escludere che il loro
pagamento possa determinare una grave destabilizzazione economica
dell’obbligato e frustrarne il pieno recupero e reinserimento sociale.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Magistrato di
sorveglianza di Macerata.
Così deciso, in Roma, il 20 maggio 2014.

nuovo esame al Magistrato di sorveglianza di Macerata, il quale, a norma dell’art.

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