Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31751 del 09/06/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 31751 Anno 2015
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
TORINO
nei confronti di:
CATALANO COSIMO N. IL 24/05/1974
inoltre:
CATALANO COSIMO N. IL 24/05/1974
avverso il decreto n. 26/2014 CORTE APPELLO di TORINO, del
17/09/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
lette/s~ le conclusioni del PG Dott. i gs a u 5 CE
H /.

-1.4.

Uditi difensor Avv.;

‘ AA4

Data Udienza: 09/06/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto del 17 settembre 2014, depositato il 5 dicembre 2014, la
Corte d’appello di Torino, in riforma del decreto emesso il 27 marzo 2014 dal
Tribunale di Torino, ha disposto l’applicazione della misura di prevenzione
personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di anno
uno e mesi sei nei confronti di Cosimo Catalano, confermando nel resto il decreto
appellato, che aveva respinto la richiesta di confisca dei beni immobili, dei mobili

sequestro emesso dal medesimo Tribunale in data 2 luglio 2013.

2. Nell’interesse del Catalano ha proposto ricorso per cassazione l’Avv. Carlo
Maria Romeo deducendo violazioni di legge con riferimento agli artt. 4, lett. a) e
10, comma 2, del d. Igs. n. 159/2011, nonché il vizio di motivazione apparente
circa l’attualità del presupposto della pericolosità sociale, tenuto conto del fatto
che il soggetto proposto è stato assolto dal delitto di cui all’art. 416-bis c.p. e
che l’impugnato decreto indica quali circostanze di fatto elementi già smentiti
dalla sentenza di assoluzione, senza prendere in considerazione altri aspetti
come l’incensuratezza, l’assenza di precedenti di polizia e la mancata
frequentazione di persone pregiudicate ovvero contigue ad ambienti criminali,
oltre il fatto che due anni or sono il Tribunale di Torino aveva disposto la revoca
della misura cautelare per l’insussistenza delle esigenze cautelari.

3. Avverso il su indicato decreto della Corte d’appello di Torino ha proposto
ricorso per cassazione il P.G., deducendo l’inosservanza dell’art. 24 del d.lgs. n.
159/2011, nella parte in cui impone al proposto un rigoroso onere di allegazione
circa l’acquisto di un immobile attraverso l’accensione di un mutuo.
Sulla base dell’allegata annotazione della D.I.A. in data 20 giugno 2013, non
considerata nella decisione del Tribunale, è emerso, inoltre, che il nucleo
familiare composto dal Catalano e dalla moglie, dal 1999 al 2009, ha prodotto un
reddito appena sufficiente alla propria sussistenza, ma del tutto incompatibile
con le operazioni immobiliari e commerciali effettuate in quel periodo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso di Cosimo Catalano è infondato e va pertanto rigettato per le
ragioni di seguito indicate.

1

e dei rapporti creditizi a lui intestati, già oggetto del provvedimento anticipato di

2. Secondo un pacifico insegnamento giurisprudenziale di questa Suprema
Corte (da ultimo, Sez. Un., n. 33451 del 29/05/2014, dep. 29/07/2014, Rv.
260246; Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, dep. 14/05/2013, Rv. 257007), nel
procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per
violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 della I. 27 dicembre 1956, n.
1423, richiamato dall’art. 3-ter, comma secondo, I. 31 maggio 1965, n. 575; ne
consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei
vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art.

poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto
motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 della
legge n. 1423/56, il caso della motivazione inesistente o meramente apparente.
Entro questa prospettiva, inoltre, si è precisato che non può essere proposta
come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di
sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in
considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni
poste a fondamento del provvedimento impugnato.
Nel caso in esame, per vero, il ricorrente, pur denunciando formalmente la
violazione e l’erronea applicazione di legge, mira in sostanza a confutare,
nell’illustrazione delle correlative doglianze, le ragioni poste alla base dell’assetto
motivazionale del provvedimento impugnato, nella chiara prospettiva di
accreditare una diversa interpretazione delle circostanze di fatto emerse e di
togliere così valenza agli elementi che sorreggono il giudizio di pericolosità
sociale formulato e la connessa misura di prevenzione nei suoi confronti
adottata.
Il decreto impugnato, infatti, è sorretto da un apparato argomentativo
corretto e logicamente correlato alle risultanze in atti, le quali sono state
apprezzate e valutate nel pieno rispetto di principii normativi esattamente
interpretati ed applicati.
Al riguardo, considerando i tratti della pericolosità sociale qualificata alla
luce dei plurimi elementi indiziari tratti dalle risultanze del procedimento penale
definito con sentenza di assoluzione – ritenuti sintomatici dell’appartenenza del
Catalano alla struttura della “locale” di Siderno operante nel torinese poiché dalle
conversazioni telefoniche intercorse fra gli affiliati è emerso, in particolare, il
conferimento della dote di “santa”, con il conseguente passaggio dalla società
“minore” a quella “maggiore” in occasione di una cerimonia tenutasi presso un
luogo di abituale ritrovo degli associati – del tutto coerentemente il Giudice
distrettuale ha ritenuto presente, con motivazione completa e immune da vizi
logico-giuridici, il requisito della attualità, desunta dalla prossimità temporale
2

606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso,

della condotta e dall’assenza di elementi tali da giustificare, allo stato, una
rescissione del legame dal proposto intrattenuto con tale consorteria.
Sul punto deve altresì ribadirsi che, in tema di misure di prevenzione,
l’assoluzione del proposto dal reato associativo non comporta l’automatica
esclusione della pericolosità sociale dello stesso, in quanto, in ragione
dell’autonomia del procedimento di prevenzione rispetto a quello penale, il
giudice chiamato ad applicare la misura ben può avvalersi, come avvenuto nel
caso in esame, di un complesso quadro di elementi indiziari, anche attinti dallo

Ne discende che, ai fini della formulazione del giudizio di pericolosità
funzionale all’adozione di misure di prevenzione, è legittimo avvalersi di elementi
di prova e/o indiziari tratti da procedimenti penali, benché non ancora conclusi,
e, nel caso di processi definiti con sentenza irrevocabile, anche
indipendentemente dalla natura delle statuizioni terminali in ordine
all’accertamento della penale responsabilità dell’imputato, sicchè anche una
sentenza di assoluzione, pur irrevocabile, non comporta la automatica esclusione
della pericolosità sociale (Sez. 6, n. 50946 del 18/09/2014, dep. 04/12/2014,
Rv. 261591; Sez. 5, n. 32353 del 16/05/2014, dep. 22/07/2014, Rv. 260482).

3. Al rigetto del ricorso, conclusivamente, consegue, ex art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

4. Fondato, di contro, deve ritenersi il ricorso proposto dal P.G. presso la
Corte d’appello di Torino, ove si consideri, alla luce della regula iuris al riguardo
stabilita da questa Suprema Corte, che, in tema di misure di prevenzione
patrimoniali, l’onere di allegazione difensiva in ordine alla legittima provenienza
dei beni non può essere soddisfatto con la mera indicazione della esistenza della
provvista sufficiente per concludere il negozio di acquisto degli stessi, dovendo
invece il soggetto sottoposto al procedimento di prevenzione indicare gli
elementi fattuali dai quali il giudice possa dedurre che il bene non sia stato
acquistato con i proventi di attività illecita ovvero ricorrendo ad esborsi non
sproporzionati rispetto alla sua capacità reddituale (Sez. 5, n. 20743 del
07/03/2014, dep. 21/05/2014, Rv. 260402).
Nel caso in esame, contrariamente alla linea interpretativa in questa Sede
tracciata, emerge dalla motivazione che la Corte distrettuale ha escluso la
sussistenza del requisito della sproporzione reddituale per essersi il patrimonio
formato “in larga parte attraverso il ricorso al sistema bancario”, tenuto conto
anche della garanzia fideiussoria prestata dal padre del proposto, senza tuttavia
avvedersi, da un lato, che la valorizzazione di tali profili non è sorretta da dati
3

stesso processo penale conclusosi con l’assoluzione.

certi ed oggettivi, introducendo un elemento di valutazione di per sè neutro
rispetto alla corretta individuazione del rapporto tra il reddito ed il valore dei beni
acquistati – non avendo quella garanzia alcun effetto di incremento, diretto o
indiretto, della capacità reddituale – e, dall’altro lato, che nessuna ulteriore
giustificazione risulta esser stata congruamente fornita dal proposto in merito
alla verifica della su indicata proporzionalità.

5. Sulla base delle su esposte considerazioni, conclusivamente, l’impugnato

d’appello di Torino, che dovrà porre rimedio alla su rilevata omissione
motivazionale, uniformandosi ai principii di diritto in questa Sede stabiliti.

P.Q.M.

In accoglimento del ricorso del P.G., annulla il decreto impugnato
limitatamente alla misura patrimoniale e rinvia alla Corte d’appello di Torino per
nuovo esame.
Rigetta il ricorso di Cosimo Catalano e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

Così deciso in Roma, lì, 9 giugno 2015

Il Consigliere estensore

provvedimento deve essere annullato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte

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