Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31750 del 09/06/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 31750 Anno 2015
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DIOCIAIUTI CLAUDIO N. IL 20/02/1977
avverso la sentenza n. 9516/2009 CORTE APPELLO di ROMA, del
05/03/2014

Data Udienza: 09/06/2015

visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. A=”sil gza (77ì2 gí fp seR)2&gee/0/1/`
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 5 marzo 2014 la Corte d’appello di Roma ha
confermato la sentenza del Tribunale di Velletri del 23 marzo 2009, che all’esito di
giudizio abbreviato aveva dichiarato Diociaiuti Claudio colpevole del reato di
favoreggiamento personale per avere ospitato presso un immobile da lui preso in
locazione Silvia Gaetano, persona ricercata per essersi resa irreperibile alla misura di
sicurezza della casa lavoro e responsabile di alcune rapine lungo il litorale laziale,
condannandolo alla pena di mesi otto di reclusione, previa concessione delle attenuanti

2. Avverso la su indicata pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il difensore
dell’imputato, deducendo la carenza assoluta di motivazione in ordine alla ritenuta
sussistenza dell’elemento psicologico del reato, non essendovi in atti alcun elemento
concreto che possa far ritenere certa la conoscenza, da parte dell’imputato, della
condizione di latitante in cui versava il Silvia.
Si deduce, inoltre, che il riferimento al possibile inserimento dell’imputato in ambienti
della malavita locale dai quali egli avrebbe tratto conoscenza di tale situazione si fonda su
un giudizio probabilistico del tutto insufficiente ai fini della prova.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni di seguito indicate.

2. I Giudici di merito hanno compiutamente esaminato e disatteso le obiezioni
difensive, ponendo in evidenza, con argomenti congruamente esposti ed immuni da vizi
logico-giuridici in questa Sede rilevabili: a) che l’imputato, da circa una settimana, aveva
preso in locazione un immobile in Ardea, al cui interno, all’esito di un servizio di controllo
da parte degli organi inquirenti, veniva trovato in compagnia del ricercato Silvia Gaetano;
b) che all’interno dell’abitazione, inoltre, venivano rinvenuti anche degli indumenti
personali del Silvia; c) che già qualche giorno prima, nella camera da letto di altro
immobile situato in Anzio, anch’essa in uso all’imputato, gli organi di P.G. avevano
rinvenuto il cellulare e la carta d’identità del Silvia; d) che nella memoria del cellulare di
Diociaiuti vi era una fotografia che lo ritraeva in compagnia del Silvia; e) che l’imputato,
in sede di convalida dell’arresto, ha ammesso l’addebito.
Muovendo da tali premesse ricostruttive della vicenda storico- fattuale oggetto della
regiudicanda, ed in particolare dal rilievo logicamente attribuito ai tempi ed alle peculiari
modalità di realizzazione dell’azione – oggettivamente connotate dal rinvenimento di
entrambi nello stesso immobile preso in locazione dall’imputato una settimana prima dei
fatti, dal precedente ritrovamento degli effetti personali del ricercato in altra abitazione
anch’essa in uso all’imputato, oltre che dalla sussistenza di rapporti personali risalenti nel
tempo – i Giudici di merito hanno coerentemente concluso nel senso di ritenere la piena
configurabilità degli elementi costitutivi del reato contestato, per avere la condotta

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generiche ritenute equivalenti alla recidiva.

dell’imputato fornito un sicuro ed efficace ausilio ad un soggetto sottrattosi all’esecuzione
di una misura di sicurezza detentiva, offrendogli la disponibilità di un appartamento
proprio per consentirgli di eludere le ricerche avviate nei suoi confronti dagli organi
investigativi.
Al riguardo, invero, è agevole rilevare come l’impugnata sentenza abbia fatto buon
governo del quadro di principii, da tempo stabiliti da questa Suprema Corte (Sez. 6, n.
14655 del 05/05/1988, dep. 30/10/1989, Rv. 182385), secondo cui, in tema di
favoreggiamento personale, l’aiuto prestato al favorito per eludere le investigazioni e
sottrarsi alle ricerche dell’autorità può manifestarsi con modi e mezzi diversi, purché

recare turbamento all’esercizio della funzione giudiziaria deve essere apprezzata sotto il
profilo oggettivo (in motivazione, v. Sez. 6, n. 3523 del 07/11/2011, dep. 27/01/2012,
Rv. 251649), considerando cioè la condotta in sè e con riferimento alla sua intrinseca
attitudine a deviare, ad ostacolare, o solo a ritardare le indagini e le ricerche degli
inquirenti, sicché il reato deve ritenersi consumato anche quando tale deviazione non si
sia in effetti verificata (v., inoltre, Sez. 1, 14 aprile 2010, n. 21956, Mitran; Sez. 6, 24
ottobre 2006, n. 24161, D’Angelo; Sez. 6, 23 settembre 1998, n. 773, Soresi; Sez. 6, 3
novembre 1997, n. 539, Leanza; Sez. 6, 25 gennaio 1995, n. 3575, Mendola).
Entro tale prospettiva, dunque, costituisce un aiuto senz’altro rilevante fornire al
ricercato la disponibilità di un luogo di stabile dimora, ignoto e non agevolmente
individuabile dalle forze dell’ordine, offrendogli in tal modo la copertura necessaria per
non esporsi alla loro attenzione (v. Sez. 6, n. 53735 del 02/12/2014, dep. 29/12/2014,
Rv. 261692; Sez. 1, n. 1318 del 18/03/1991, dep. 19/04/1991, Rv. 186938).
Per la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di favoreggiamento personale,
del resto, è sufficiente il dolo generico, che deve consistere, come i Giudici di merito
hanno concordemente osservato, nella cosciente e volontaria determinazione della
condotta nella consapevolezza della sua natura elusiva delle investigazioni e delle ricerche
dell’autorità e della finalizzazione della stessa a favorire colui che sia sottoposto a tali
investigazioni o ricerche (Sez. 6, n. 24035 del 24/05/2011, dep. 15/06/2011, Rv.
250433; v., inoltre, Sez. 6, n. 44756 del 29/10/2003, dep. 20/11/2003, Rv. 227159).
Non è necessario, dunque, il dolo specifico, ma è sufficiente il dolo generico, che
consiste nella volontà cosciente di aiutare una persona a sottrarsi alle investigazioni o alle
ricerche intraprese dall’autorità (Sez. 1, n. 8786 del 06/05/1999, dep. 08/07/1999, Rv.
214886).

3. Nel caso portato alla cognizione di questa Suprema Corte – in cui due pronunzie,
di primo e di secondo grado, concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di
prova, con una struttura motivazionale della sentenza di appello che viene a saldarsi
perfettamente con quella precedente, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e
privo di lacune, in considerazione del fatto che entrambe le decisioni hanno offerto una
congrua e ragionevole spiegazione del giudizio di colpevolezza – l’adeguatezza delle
ragioni giustificative illustrate nell’impugnata sentenza non è stata validamente censurata
dal ricorrente, limitatosi a riproporre obiezioni già esaustivamente disattese dai Giudici di
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oggettivamente idonei al raggiungimento dello scopo sopra indicato, mentre l’idoneità a

merito ed a formulare critiche e rilievi sulle valutazioni espresse in ordine alle risultanze
offerte dal materiale probatorio sottoposto alla loro cognizione, prospettandone, tuttavia,
una diversa ed alternativa lettura, in questa Sede, evidentemente, non assoggettabile ad
alcun tipo di verifica, per quanto sopra evidenziato.
Il tessuto motivazionale della sentenza in esame, dunque, non presenta affatto
quegli aspetti di carenza, contraddittorietà o macroscopica illogicità del ragionamento del
giudice di merito che, alla stregua del consolidato insegnamento giurisprudenziale da
questa Suprema Corte elaborato, potrebbero indurre a ritenere sussistente il vizio di cui
alla lett. e) del comma primo dell’art. 606 c.p.p. (anche nella sua nuova formulazione),

4. Al rigetto del ricorso, conclusivamente, consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, ex art. 616 c.p.p.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dee spese processuali.

Così deciso in Roma, lì, 9 giugno 2015

Il Consigliere estensore

nel quale sostanzialmente si risolvono le censure dal ricorrente articolate.

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