Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31743 del 03/07/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 31743 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TALL MOR DIE N. IL 07/08/1977
avverso la sentenza n. 5322/2012 TRIBUNALE di ROMA, del
20/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FILIPPO CASA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
RIeLL
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 03/07/2014

:-.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza resa in data 20 giugno 2012, il Tribunale di Roma in composizione
monocratica condannava TALL MOR DIE, cittadino senegalese, alla pena di euro 120,00 di
ammenda per il reato di cui all’art. 650 cod. pen., non avendo egli ottemperato all’invito a
presentarsi presso gli uffici del Comando II Gruppo Roma – Nucleo operativo P. I. della Guardia
di Finanza per motivi inerenti alla regolarizzazione della sua posizione di cittadino straniero e

Avverso detta sentenza ha proposto atto di appello, riqualificato come ricorso per
cassazione (sono, infatti, inappellabili le sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda, ai
sensi dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen.), il difensore del TALL, sviluppando due motivi: il
primo, fondantesi sulla mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputato, che
non gli aveva consentito di comprendere appieno il tenore dell’invito a presentarsi presso gli
uffici della Guardia di Finanza; il secondo, esprimente la doglianza sull’eccessività della pena,
tenuto conto della difficoltà di comprensione di un cittadino senegalese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve trovare accoglimento per le ragioni, diverse da quelle difensivamente
illustrate, che si passa ad esporre.
2. Con riferimento alla contestazione di cui all’art. 650 cod. pen. in esame, rammenta il
Collegio che ha di recente affermato questa sezione della Corte di legittimità che non risponde
del reato previsto dall’art. 650 cod pen. lo straniero che non ottemperi all’invito a presentarsi
presso un ufficio di P.S. ai fini dell’espulsione dal territorio nazionale, in quanto l’ordine di
allontanamento del Questore e la relativa sequenza procedimentale stabilita dall’art. 14 del
D.Lgs. n. 286 del 1998 non possono essere validamente surrogati da altri atti (Sez. I, sent. n.
25606 del 7/5/2013, Zhuo, Rv. 255969; Sez. I, sent. n. 32974 del 20/5/2010, P.G. in proc.
Gradinariu, Rv. 248273; conforme Sez. I, n. 19154 del 2009, Rv. 243692).
2.1. A sostegno del richiamato principio di diritto la Corte ha rammentato che l’art. 650
cod. pen. è una norma penale in bianco a carattere sussidiario, applicabile solo quando il fatto
non sia previsto come reato da una specifica disposizione ovvero allorché il provvedimento
dell’autorità rimasto inosservato sia munito di un proprio, specifico meccanismo di tutela (cfr.
Sez. 1, sent. n. 1711 del 14/2/2000, Di Maggio, Rv. 215341; Sez. 1, sent. n. 2653 del
3/3/2000, Parla, Rv. 215373).
2.2. Giova, pertanto, osservare che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art.
650 c.p., è necessario:
a) che l’inosservanza riguardi un ordine specifico impartito ad un soggetto determinato,
in occasione di eventi o circostanze tali da far ritenere necessario che proprio quel soggetto

i

alla sua permanenza nel territorio dello Stato (in Roma, il 24 maggio 2008).

ponga in essere una certa condotta; e ciò per ragioni di sicurezza o di ordine pubblico, o di
igiene o di giustizia;
b) che l’inosservanza attenga ad un provvedimento adottato in relazione a situazioni
non prefigurate da alcuna previsione normativa che comporti una specifica ed autonoma
sanzione;
c) che il provvedimento emesso per ragioni di giustizia, di sicurezza, di ordine pubblico,
di igiene sia adottato nell’interesse della collettività e non di privati individui.

provvedimento od ordine, autorizzato da una norma giuridica per la pronta attuazione del
diritto obiettivo e diretto a rendere possibile o più agevole l’attività del giudice, del pubblico
ministero, degli ufficiali di polizia giudiziaria, mentre per “ragioni di sicurezza pubblica” devono
intendersi tutti i provvedimenti ovvero gli ordini amministrativi autorizzati da una norma
giuridica a tutela della sicurezza collettiva, intesa come preventiva eliminazione di situazioni
pericolose per i consociati.
La ragione di giustizia si esaurisce con la emanazione del provvedimento di uno degli
organi in precedenza indicati e non comprende gli atti che altri soggetti sono tenuti
eventualmente ad adottare in esecuzione del provvedimento dato per questi fini (v. Sez. 1,
sent. n. 5755 del 7/5/1999, Di Giovanni ed altri, Rv. 213241; Sez. 6, sent. n. 784 del
21/1/1999, Rv. 213904; Sez. 1, sent. n. 12924 del 2/4/2001, Rv. 218297), mentre la ragione
securitaria, per la sua incidenza sui diritti di libertà ed autodeterminazione individuale,
soggiace ad un rigido principio di tipizzazione.
3. Alla luce di questi principi la sentenza impugnata non può essere condivisa, in quanto
l’invito a presentarsi presso l’ufficio di Polizia in vista di possibili esiti negativi per l’interessato,
quale, ad esempio, l’espulsione, non può validamente surrogare l’ordine di allontanamento,
tipizzato dall’ordinamento giuridico, di competenza del Questore, attuativo del decreto
prefettizio di espulsione, e la precisa sequenza procedimentale stabilita dalla legge a tal fine.
Invero, il D. Lgs. n. 286 del 1998, art. 14 regola l’esecuzione dell’espulsione
amministrativa, stabilendo che: 1) in via prioritaria, il decreto del Prefetto deve essere
eseguito con immediatezza mediante accompagnamento alla frontiera; 2) qualora ciò non sia
possibile, perché occorre procedere ad accertamenti supplementari in ordine alla identità o
nazionalità ovvero all’acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l’indisponibilità di
vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo, il Questore dispone che lo straniero sia trattenuto
per il tempo strettamente necessario presso un centro di permanenza temporaneo e assistenza
(comma 1); 3) quando non sia possibile neppure il trattenimento presso un centro ovvero
siano trascorsi i termini di permanenza, il Questore ordina alla straniero di lasciare il territorio
dello Stato entro il termine di cinque giorni (comma 5 bis).
La normativa prefigura, dunque, una precisa sequenza di forme di esecuzione
dell’espulsione, ciascuna delle quali è subordinata all’impossibilità di porre in essere quelle che,
gradatamente, la precedono: di talché, poiché l’ordine di allontanamento presuppone
2

Per provvedimento dato per “ragione di giustizia” deve poi intendersi qualunque

l’impossibilità sia di accompagnamento immediato alla frontiera sia il trattenimento presso un
centro di permanenza, deve conseguentemente ritenersi che il Questore debba dare conto
nella motivazione del provvedimento delle condizioni fissate dalla legge per l’esercizio del
potere di assegnare allo straniero il termine di cinque giorni per lasciare il territorio italiano.
Pertanto, in vista dell’espulsione dell’imputato, la competente Autorità di pubblica
sicurezza avrebbe dovuto procedere esclusivamente nei modi e nelle forme espressamente
previste a tal fine e nel rispetto della sequenza procedimentale stabilita dal testo unico in

4. Non ignora certo il Collegio il diverso orientamento espresso in passato dalla Sezione
prima della Corte sulla questione giuridica qui delibata (sent. n. 36054 del 21/9/2005,
Sincenko, Rv. 232251; n. 41101 del 23/9/2004, P.G. in proc. Trepci ed altro, Rv. 230631), ma
trattasi di tradizione interpretativa da ritenersi allo stato motivatamente superata da indirizzo
ermeneutico di contrario segno.
5. S’impone, pertanto, l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata perché il
fatto non sussiste.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2014

Il Con si

estensore

Il Presidente

materia di immigrazione.

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