Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31742 del 23/06/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 31742 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Ippolito Giovanni, nato a Misilrneri il 01/07/1967

avverso l’ordinanza emessa il 03/04/2015 dal Tribunale di Palermo

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa
Marilia Di Nardo, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. Maria Teresa Nascè, la quale ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento dell’ordinanza impugnata

RITENUTO IN FATTO

1. Il 03/04/2015, il Tribunale del riesame di Palermo rigettava la richiesta
formulata ex art. 309 cod. proc. pen. nell’interesse di Giovanni Ippolito avverso

Data Udienza: 23/06/2015

un’ordinanza emessa dal Gip dello stesso Tribunale in data 16/03/2015, in forza
della quale l’Ippolito era stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in
carcere per reati di cui agli artt. 416-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 6, cod. pen., 81
cpv., 56, 629, comma 2, cod. pen. e 7 d.l. n. 152/1991; nella motivazione del
provvedimento di rigetto, il Tribunale segnalava comunque che il ruolo
dell’Ippolito all’interno del presunto sodalizio mafioso cui gli si addebitava di
appartenere (l’organizzazione criminale denominata “Cosa nostra”) non poteva
intendersi direttivo, ai sensi del citato comma 2 dell’art. 416-bis, bensì «di

articolazione territoriale del sodalizio, con il secondo succeduto nella posizione di
vertice dopo l’arresto del primo – «e di coordinamento […] di altri sodali».
L’ordinanza del Tribunale del riesame evidenziava che le indagini svolte,
anche sulla base degli esiti di giudizi già celebrati in precedenza e delle correlate
sentenze irrevocabili di condanna, riguardava le attività della consorteria mafiosa
nei territori di Misilmeri e Belmonte Mezzagno, e che per il reato di tentata
estorsione aggravata di cui al capo D) – in ipotesi commesso in danno dei titolari
della Palermo Discounts s.r.l. – era già intervenuta condanna in primo grado nei
confronti degli esecutori materiali (Francesco Antonino Ciaramitaro, Giosuè
Cucca, Alessandro Badami). Il coinvolgimento dell’Ippolito nei fatti de quibus
emergeva da intercettazioni ambientali e telefoniche, svolte durante le trattative
che il sodalizio aveva intrapreso, sino al fermo dei tre soggetti sopra ricordati, al
fine di piegare le vittime alla pretesa estorsiva: in particolare, vi erano stati
incontri riservati tra i fermati e lo stesso Ippolito (nonché Aristide Neri), spesso
all’interno di un cantiere edile (dove il Neri e l’Ippolito lavoravano) ovvero presso
un salone da barba, in occasione dei quali il Ciaramitaro e gli altri informavano i
suddetti Neri ed Ippolito delle iniziative adottate, come pure dei comportamenti
assunti dalle persone offese, anche in ordine alla segnalazione alle forze
dell’ordine dei danneggiamenti subiti. Dai colloqui in questione risultava altresì
che ad interessarsi per indurre gli Alíoto – titolari della Palermo Discounts – a
soddisfare le richieste economiche era stato, con funzione di intermediario, il
proprietario dell’immobile dove aveva sede la ditta, Salvatore Puccio (questi
aveva, in seguito, confermato agli inquirenti di essersi incontrato con il
Ciaramitaro); ruolo di regia della condotta delittuosa, unitamente a quello
rivestito dal Neri e dall’Ippolito, doveva contestualmente riconoscersi anche ad
Antonio Pirrone, al quale il Puccio si era rivolto in prima battuta per sapere da chi
provenivano i danneggiamenti dei locali di sua proprietà.
Dalle stesse conversazioni si apprendeva quindi l’interesse del Neri e
dell’Ippolito in una serie ulteriore di iniziative economiche in corso nel territorio:
secondo il Tribunale, dal tenore dei colloqui in parola si desumeva non solo che

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cooperazione con Lo Gerfo e Vasta» – le figure apicali della suddetta

essi fossero «organicamente inseriti tra le fila del mandamento mafioso di “Cosa
nostra” di Misilmeri, con il ruolo operativo di porre in essere azioni criminose di
diverso genere (intimidazioni, pestaggi, estorsioni) per conto e nell’interesse
della consorteria mafiosa, ma anche che il Ciaramitaro fosse demandato da
Ippolito e dal Neri all’esecuzione di delitti per conto della consorteria mafiosa, ed
infine che la condotta tenuta da Pirrone Antonio nel tentativo di estorsione ai
danni degli Alioto […] non era l’unica condotta posta in essere dal Pirrone in
favore dell’organizzazione mafiosa».

credito vantato da tale Salvatore Marino nei confronti del titolare di un deposito
di materiali edili, per cui era stato proprio l’Ippolito a stabilire che una parte della
somma fosse destinata al creditore ed altra, superiore, al sodalizio mafioso.
In occasione di colloqui intercettati in ambientale all’interno delle vetture in uso
al Neri ed all’Ippolito si registrava anche l’interesse dei medesimi verso le
divisioni territoriali e le articolazioni dei vari clan, con le rispettive implicazioni
economiche ed il riferimento alla figura del Lo Gerfo, già capo mandamento.

2. Propone ricorso la difesa dell’Ippolito, che deduce inosservanza ed
erronea applicazione degli artt. 273 cod. proc. pen., 416-bis cod. pen., in ordine
alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria.
Gli elementi a carico dell’indagato sarebbero stati desunti in via deduttiva da
acquisizioni istruttorie neutre, e senza l’indicazione di specifiche condotte o
concreti contributi arrecati all’associazione mafiosa: si afferma che egli sarebbe
stato coinvolto in lavori edili, ovvero nel reclutamento di soggetti da inserire
negli affari del sodalizio, ma non in base a dati di concretezza, bensì per effetto
di mere e indimostrate deduzioni derivanti dalla lettura di più intercettazioni. Fra
l’altro, si evidenzia che i rapporti tra il Neri e l’Ippolito trovavano spiegazione in
virtù dei comuni interessi lavorativi, mentre i giudici di merito non avevano
considerato che il ricorrente era stato già sottoposto a indagini in ragione della
frequentazione con il Lo Gerfo, dopo l’arresto di questi, e la sua posizione era
stata definita con provvedimento di archiviazione.
Secondo la difesa, inoltre, nessun collaboratore aveva fatto il nome di
Ippolito: il collaboratore Salvatore Sollima, cui il Tribunale aveva fatto
riferimento nel trattare la posizione del coindagato Neri, aveva riferito dati
appresi de relato e senza riconoscere in fotografia l’odierno ricorrente (anzi
riconoscendo come socio in affari di un sodale con il codino, identificato nel Neri,
una persona diversa dall’Ippolito).
Né potevano intendersi sussistenti elementi a riscontro dei presunti rapporti
di matrice illecita che l’Ippolito avrebbe avuto con Giuseppe Vasta (da lui

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Tra le vicende esaminate, il Tribunale indicava quella del recupero di un

occasionalmente incontrato presso il distributore dove il medesimo lavorava),
visto che si era trattato di confronti verbali molto brevi e senza che venissero
mai registrati i relativi dialoghi.
Richiamata infine la giurisprudenza di legittimità sulla necessità di fornire
elementi di gravità indiziaria a proposito dell’avere un associato “preso parte”
alla consorteria attraverso contributi concreti, la difesa segnala che – a tutto
voler concedere – a carico dell’Ippolito potrebbe intendersi dimostrata una
ipotesi partecipativa nelle sole forme di un concorso esterno, con la conseguente

necessità di una derubricazione dell’addebito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
Deve innanzi tutto ricordarsi che in materia di intercettazioni, per costante
orientamento giurisprudenziale, «costituisce questione di fatto, rimessa
all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione
del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato
in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed
irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite» (Cass., Sez. II, n.
35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv 257784); gli stessi principi risultano ribaditi
anche con riguardo all’esegesi del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati,
per quanto criptico o cifrato (Cass., Sez. VI, n. 46301 del 30/10/2013, Corso).
La possibilità di prospettare una interpretazione del significato di un colloquio
intercettato, diversa da quella proposta dal giudice di merito, è stata affermata
«solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice
di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la
difformità risulti decisiva ed incontestabile» (Cass., Sez. V, n. 7465 del
28/11/2013, Napoleoni, Rv 259516).
Profili di travisamento, nella fattispecie, non vengono dedotti neppure dalla
difesa del ricorrente, che si limita a rappresentare la genericità degli elementi
ricavabili dalla lettura dei colloqui de quibus; al contrario, le argomentazioni
adottate dal Tribunale di Palermo appaiono ancorate a dati logici assolutamente
lineari, già a partire dalla dettagliata ricostruzione della vicenda estorsiva ordita
ai danni degli Alioto e realizzata in concreto da soggetti emersi – all’interno della
consorteria criminale – come subordinati all’Ippolito, cui relazionavano
sull’andamento dei contatti con le persone offese.
Né i giudici di merito risultano avere considerato come elementi di gravità
indiziaria a carico del ricorrente le dichiarazioni del Sollima: la difesa segnala la
dì.Adr.171

non comprovata attendibilità di quest’ultimo, come pure il particolare che egli
avrebbe riferito circostanze apprese

de relato,

senza considerare che il

contributo del collaboratore non viene neppure menzionato nell’ordinanza in
chiave accusatoria.
Quanto al prospettato concorso esterno, si legge nel ricorso che il Tribunale
farebbe riferimento a dialoghi in cui l’indagato, «più che ammettere e parlare di
veri e propri reati, sembra piuttosto essere persona, sì informata di alcuni fatti e
alcune dinamiche, ma non certo realmente inserita, in senso proficuo e stabile,

smentita dalle peculiarità di alcune delle vicende valorizzate nel provvedimento
impugnato, a partire dall’estorsione più volte richiamata (ove il Ciaramitaro non
informava occasionalmente l’Ippolito delle proprie iniziative, dovendo piuttosto
rendergliene conto) per arrivare alla decisione del ricorrente di stabilire quanto nel recupero di un credito – dovesse spettare al sodalizio.

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dell’Ippolito al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità.
Dal momento che alla presente decisione non consegue la rimessione in
libertà del ricorrente, dovranno essere curati dalla Cancelleria gli adempimenti di
cui al dispositivo.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.
Così deciso il 23/06/2015.

nella realizzazione dei piani consortili». Osservazione, questa, palesemente

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