Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31739 del 11/06/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 31739 Anno 2015
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SICILIANO GIANCARLO N. IL 11/04/1979
avverso l’ordinanza n 747/2014 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 18/02/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PAOLO GIOVA
DEMARCHI ALBENGO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi dife or Avv.;

Data Udienza: 11/06/2015

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Gabriele Mazzotta,
ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
Per il ricorrente è presente l’Avvocato Cianferoni, anche in sostituzione
dell’avv. Calabrese, il quale chiede l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1.

Siciliano Giancarlo propone ricorso per cassazione contro

provvedimento della Corte d’appello che rigettava l’istanza di
scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare, indicando
nel giorno 19 agosto 2015 il suddetto termine finale.
2.

Il tribunale è giunto al rigetto dell’appello sulla considerazione che

nell’ipotesi di doppia conforme il termine massimo di custodia cautelare
è quello di cui al comma 4 dell’articolo 303, del codice di procedura
penale; nel caso di specie si verserebbe in un’ipotesi di “doppia
conforme”, avendo la sentenza di appello riformato solo in punto pena la
condanna di primo grado ed essendosi la cassazione limitata ad
annullare la sentenza di appello con riferimento alla rideterminazione
della pena.
3.

Con un primo ricorso a firma dell’avvocato Calabrese, il ricorrente

censura la predetta interpretazione della Corte, sostenendo che vi sia
stata violazione del principio della necessaria correlazione tra chiesto e
pronunciato e conseguentemente una omessa motivazione sul petítum in
ordine alla corretta individuazione del termine di durata massima della
custodia cautelare. La difesa, si afferma nel ricorso, aveva chiesto
l’applicazione del meccanismo di cui all’articolo 303, comma 2, che,
nell’interpretazione della Corte di cassazione e della Corte costituzionale,
prevede che il meccanismo del “doppio del termine di fase” debba
applicarsi anche in ipotesi di annullamento con rinvio della sentenza di
appello.
4.

Con un secondo ricorso, a firma dell’avvocato Cianferoni, il

ricorrente deduce violazione degli articoli 303 e 304, comma 6, del
codice di procedura penale, sostenendo che il tribunale abbia
illegittimamente ritenuto applicabile e pertinente al caso de quo il
secondo periodo dell’articolo 303, comma 1, lett. D, che individua, nella
ipotesi di doppia conforme, un’eccezione alla regola generale che
stabilisce che si debba avere riguardo unicamente ai termini massimi
1

l’ordinanza del tribunale di Reggio Calabria che ha confermato il

stabiliti dall’articolo 303, comma 4, del codice di procedura penale.
L’errore sarebbe originato nell’antecedente logico e cioè nell’aver
individuato, nel caso di specie, la sussistenza dei requisiti perché possa
parlarsi di doppia conforme, mentre la sentenza di annullamento della
Corte di cassazione non aveva ad oggetto unicamente la
rideterminazione della pena, bensì anche la corretta applicazione di un
istituto di diritto penale sostanziale, quale quello della continuazione ex
articolo 81, comma 2, del codice penale. Pertanto, afferma la difesa,

pena, ma investe profili ulteriori rispetto ai quali la rideterminazione
della sanzione rappresenta una mera conseguenza necessaria,
l’annullamento consente di superare il concetto di “doppia conforme”. In
assenza di una doppia conforme, allora, non dovrà più farsi riferimento
ai termini massimi di cautela, ma occorrerà tenere presente la soglia di
garanzia consistente nel doppio dei termini di fase, ai sensi delle norme
di cui agli articoli 303, comma uno, lettera C e 304, comma 6 cod. proc.
pen..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono del tutto privi di fondamento e vanno, pertanto,
dichiarati inammissibili; va rilevato che il Tribunale ha fatto corretta
applicazione della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui nell’ipotesi
in cui il giudice di legittimità abbia disposto l’annullamento con rinvio
limitatamente alla determinazione della pena deve ritenersi che
sull’affermazione di responsabilità dell’imputato si sia formato il giudicato
(come nel caso in esame, in cui l’applicazione dell’art. 81 non incide sulla
ritenuta responsabilità per i reati ascritti), con la conseguenza che i
termini di custodia cautelare cui deve farsi riferimento sono, ai sensi
dell’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. d), seconda parte, quelli stabiliti per
la durata massima delle misure cautelari dal quarto comma dello stesso
articolo (Sez. 6, n. 273 del 05/11/2013, Elia, Rv. 257769; Cass. Sez. 4,
n. 10674 del 19/02/2013, Macrì, 254940; Sez. 6, n. 4971 del
15/01/2009, Mancuso, rv. 242915; Sez. 2, n. 8846 del 12/02/2014,
Guzzo, Rv. 259068; Sez. 4, n. 17037 del 14/02/2008, Alviano, Rv.
239609), e non invece quelli di fase, pur raddoppiati.
2. Né può la difesa lamentarsi per mancata correlazione tra la
richiesta e la pronuncia, atteso che l’applicazione del predetto principio,
2

quando l’annullamento non verte unicamente sul profilo del calcolo della

corrispondente all’insegnamento della Corte regolatrice, non solo rende
immune da censure in diritto l’ordinanza impugnata, ma pure esclude la
sussistenza dei lamentati vizi motivazionali (peraltro non rilevanti in
relazione alle questioni di diritto correttamente risolte dal provvedimento
impugnato), atteso che per la validità della decisione non è necessario
che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita
confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per
escludere la ricorrenza del vizio di motivazione, che la sentenza evidenzi

difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa
(cfr. sez. 2, n. 24847 del 5 maggio 2009, Polimeni).
3. Non va sottaciuto, poi, che l’avv. Calabrese ha eccepito il difetto di
correlazione tra chiesto e pronunciato riportandosi al contenuto
dell’istanza originariamente avanzata ed ai motivi di appello, con un
meccanismo inammissibile in sede di legittimità, non essendo consentito
in questa sede fare rinvio al contenuto di altri atti processuali.
4. Ne consegue che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili; alla
declaratoria di inammissibilità segue, per legge (art. 616 c.p.p.), la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché
(trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa
emergenti dal ricorso: cfr. Sez. 2, n. 35443 del 06/07/2007,
Ferraloro, Rv. 237957) al versamento, a favore della cassa delle
ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare
in Euro 1.000,00.
5. La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’articolo 94,
comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione cod. proc. pen.

p.q.m.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 a favore della
cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94,
comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura
penale.
Così deciso il 11/06/2011-

una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione

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