Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31737 del 11/04/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 1 Num. 31737 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CARPITELLA IGNAZIO N. IL 06/04/1971
GEUSA GIOVANNI FABRIZIO N. IL 05/01/1962
GRAPSI CLAUDIO N. IL 18/11/1975
JACUPI AGRON N. IL 22/04/1967
avverso la sentenza n. 1865/2008 CORTE APPELLO di LECCE, del
14/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE SANDRINI
rtu
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Fh,,\Kluse
che ha concluso pez c”..ke
4″/ “I’:

1,.acuk.4.

ueu-A
n

H3’1/à

~0,03

) czeirt- alta 0 ,4u c1

i ikco c(40

(;, t

Data Udienza: 11/04/2014

cks e é, piree‘k (i-A.40Si t,

AC “”,00 ■,/ 01/4.3

\30′

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. h sq.uftLe

po,J glectik i\ m (p am.

(1″-1^4

ChfLPIT-éL•eè, G-Apst

I

“• %. “9-9

t Acurt

RITENUTO IN FATI-0
1. Con sentenza in data 14.06.2012 la Corte d’Appello di Lecce, in parziale
riforma della sentenza pronunciata il 18.06.2008 dal Tribunale di Brindisi, ha
ridotto ad anni 5 mesi 6 di reclusione e € 120.000 di multa ciascuno la pena
inflitta agli imputati appellanti Carpitella Ignazio e Grapsi Claudio, confermando
nei confronti di Geusa Giovanni Fabrizio e di Jacupi Agron la pena di anni 8 mesi
3 di reclusione e € 155.000 di multa ciascuno irrogata dal giudice di prime cure,
assolvendo contestualmente il coimputato D’Amuri Domenico per non aver
commesso il fatto, e confermando nel resto le statuizioni della sentenza

appellata.
Il reato addebitato ai prevenuti, che i giudici di merito hanno ritenuto provato nei
confronti degli imputati Carpitella, Grapsi, Geusa e Jacupi, è quello, ascritto al
capo B della rubrica, di avere, in concorso tra loro e con altri soggetti e in
numero superiore a tre, compiuto a fini di lucro più attività, avvinte dal vincolo
della continuazione, dirette a favorire l’ingresso clandestino nel territorio dello
Stato di cittadini stranieri in numero superiore a cinque per volta, secondo le
condotte e nelle circostanze indicate in dettaglio nel capo d’imputazione: il reato
è stato contestato nella formulazione degli artt. 3 comma 8 D.L. n. 416 del 1989
e 10 legge n. 40 del 1998, vigenti all’epoca dei fatti risalenti ai mesi di agosto,
settembre e ottobre del 1998.
La Corte territoriale, dopo aver indicato gli elementi di prova che avevano
consentito di identificare gli imputati come gli autori o gli interlocutori delle
telefonate intercettate sulle utenze sottoposte a captazione, sui cui contenuti si
basava la prova del reato e delle condotte illecite agli stessi rispettivamente
ascritte, rilevava che l’attività di monitoraggio telefonico aveva permesso di
accertare l’effettuazione di 16 sbarchi clandestini nel periodo compreso tra
l’estate e il mese di ottobre del 1998, per un totale presuntivamente stimato di
550 stranieri extracomunitari introdotti illegalmente in Italia (di cui almeno 40
rintracciati durante uno degli sbarchi e conseguentemente rimpatriati);
descriveva le modalità seriali che avevano connotato l’attività illecita e il ruolo
degli imputati, consistito per Jacupi (che era l’unico dei prevenuti a parlare la
lingua albanese) e per Geusa nell’organizzare le traversate via mare con base,
rispettivamente, in Albania (3acupi) e in Italia (Geusa), mantenendosi in
continuo contatto telefonico tra loro per assicurare il buon fine della traversata e
la raccolta e lo smistamento dei clandestini non appena sbarcati in Italia,
organizzandone l’immediato trasbordo via terra sulle autovetture appositamente
predisposte e condotte, tra gli altri, dal Carpitella e dal Grapsi, agenti in qualità
di “taxisti”, a fronte della corresponsione da parte dei migranti stranieri per ogni
trasporto terrestre della somma di 300.000 lire pro capite per un tragitto

I

)

standard di circa 30 km; indicava le ragioni giustificatrici del diniego, per tutti gli
imputati, delle attenuanti generiche, e della diversa graduazione delle pene, in
considerazione del ruolo apicale ricoperto da Jacupi e Geusa rispetto agli altri
due prevenuti.
2. Avverso la condanna pronunciata dalla Corte territoriale hanno proposto
ricorso per cassazione Carpitella Ignazio, Geusa Giovanni Fabrizio, Grapsi
Claudio e Jacupi Agron, a mezzo dei rispettivi difensori.
2.1. I ricorsi di Carpitella e Grapsi deducono tre motivi di censura del tutto

Col primo motivo, i ricorrenti deducono violazione dell’art. 606 comma 1 lett. e)
cod.proc.pen., lamentando la carenza di motivazione della sentenza impugnata,
di cui chiedono l’annullamento, che aveva basato la condanna degli imputati su
argomentazioni apodittiche, omettendo di spiegare le ragioni per le quali aveva
ritenuto affidabile il riconoscimento vocale operato dall’ufficiale di p.g. che aveva
proceduto all’ascolto delle conversazioni intercettate, pur essendo egli in forze al
comando provinciale dei carabinieri di Taranto e non avendo mai incontrato o
conosciuto Carpitella e Grapsi, nativi e residenti nella provincia di Brindisi;
contesta la logicità dell’associazione agli imputati delle utenze monitorate
(347/6759681 e 368/7766673 per Carpitella; 368/7513965 per Grapsi) e
dell’individuazione nella convivente del Carpitella del soggetto femminile
rispondente al nome di Marinella contattato sull’utenza 368/7766673, pur
trattandosi di un diminutivo comune nella zona, nonché dell’identificazione nel
Grapsi del soggetto di nome Claudio che utilizzava l’utenza 368/7513965 sul solo
presupposto della relativa intestazione a Massa Antonia, suocera del prevenuto,
escludendo a priori la possibile presenza di un altro Claudio nell’ambito del
gruppo familiare.
Col secondo motivo, i ricorrenti deducono violazione dell’art. 606 comma 1 lett.
b) ed e) cod.proc.pen., lamentando violazione di legge e illogicità della
motivazione con riguardo all’attribuzione agli imputati del reato di cui all’art. 10
legge n. 40 del 1998 nell’ipotesi aggravata di cui al comma 3, basata su un
ragionamento meramente ipotetico a fronte dell’impossibilità di determinare il
numero esatto degli stranieri fatti entrare in Italia.
Col terzo motivo, i ricorrenti deducono violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b)
ed e) cod.proc.pen., in relazione all’art. 112 comma 1 n. 1 cod. pen.,
lamentando che la sentenza impugnata non aveva escluso l’aggravante del
numero delle persone, con conseguente rimodulazione della pena, nonostante
che l’assoluzione del coimputato D’Amuri per non aver commesso il fatto avesse
fatto scendere a quattro il numero dei concorrenti nel reato.
2.2. Il ricorso di Geusa deduce due motivi di censura.

2

U).–

sovrapponibili, che possono essere esposti congiuntamente.

Col primo motivo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b)
ed e) cod.proc.pen., con riguardo all’esistenza e alla prova del reato contestato,
lamentando che la sentenza impugnata non avesse tenuto conto delle modifiche
apportate al testo originario della norma incriminatrice dalla sopravvenienza
delle leggi n. 189 del 2002 e n. 94 del 2009, in forza delle quali la condotta
attualmente punita non è più quella di aver compiuto attività dirette a “favorire”,
ma bensì a “procurare” l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato, con
conseguente abrogazione della disposizione in vigore al momento del fatto-reato,

legge come reato; in particolare, il ricorrente rileva che la condotta consistente
nel “favorire” ha un ambito più esteso del “procurare”, così che la seconda non
comprende la prima e il mero favoreggiamento dell’immigrazione clandestina
non è più punito qualora non si sia estrinsecato in attività dirette a procurare
l’ingresso in Italia degli stranieri, come avvenuto nel caso del Geusa che si era
limitato a organizzare il trasporto via terra dei clandestini, una volta giunti in
Italia dopo la loro partenza dall’Albania; poiché la sentenza d’appello non si era
posta il relativo problema giuridico, la stessa era incorsa, oltre che in una
violazione di legge, anche in un difetto di motivazione, avendo omesso di
individuare la specifica condotta dell’imputato idonea a integrare il reato nella
sua nuova formulazione, limitandosi a richiamare l’insufficiente motivazione sul
punto della decisione di primo grado.
Col secondo motivo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 606 comma 1 lett. e)
cod.proc.pen., sui punti relativi al diniego delle attenuanti generiche e alla
determinazione della pena, frutto di una decisione carente di reale supporto
giustificativo.
Il ricorso di Jacupi deduce un unico motivo di censura, lamentando violazione
dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen., in relazione all’art. 112
comma 1 n. 1 cod. pen. e all’art. 546 comma 1 lett. e) del codice di rito,
rilevando che la sentenza impugnata non aveva escluso l’aggravante del numero
delle persone, con conseguente diminuzione della pena, nonostante che
l’assoluzione del coimputato D’Amuri per non aver commesso il fatto avesse fatto
scendere a quattro il numero dei concorrenti nel reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va premesso che i reati oggetto di ricorso non sono prescritti: la violazione
dell’art. 10 comma 3 della legge n. 40 del 1998 (confluito nell’art. 12 comma 3
D.Lgs. n. 286 del 1998), nel testo vigente all’epoca dei fatti (risalenti ai mesi di
agosto, settembre e ottobre del 1998), era punita con la pena detentiva
massima (congiunta a quella pecuniaria) di anni 12 di reclusione, che – in quanto
lex mitior rispetto ai limiti edittali progressivamente elevati dai successivi
3

dal quale l’imputato doveva essere assolto perché il fatto non è più previsto dalla

inasprimenti normativi – costituisce il termine ordinario di prescrizione del reato,
ai sensi del novellato (e anche in questo caso più favorevole) testo dell’art. 157
cod. pen., termine che va aumentato di un quarto fino al massimo di 15 anni per
effetto degli atti interruttivi; ad esso devono aggiungersi i periodi di sospensione
della prescrizione risultanti dal testo della sentenza impugnata (pagina 15), e
pari a 1 mese e 18 giorni dal 23.10.2003 all’11.12.2003, a 4 mesi e 17 giorni dal
15.10.2009 al 4.03.2010, a 4 mesi e 20 giorni dal 3.02.2011 al 23.06.2011, per
un totale di 10 mesi e 25 giorni, che collocano la data di prescrizione del fatto

2. Il primo motivo dei ricorsi di Carpitella e Grapsi è infondato, risolvendosi nella
proposizione di mere contestazioni in punto di fatto alla ricostruzione operata dai
giudici di merito degli elementi di prova esistenti a carico degli imputati, con
particolare riguardo all’individuazione nei ricorrenti degli interlocutori delle
conversazioni intercettate, i cui contenuti – di indiscutibile valenza dimostrativa sono stati riportati e valorizzati nella sentenza impugnata: di tratta di questioni
che sono già state sottoposte, nei medesimi termini, in sede di gravame avverso
la decisione di primo grado, al vaglio della Corte territoriale, che le ha ritenute
infondate all’esito di una disamina puntuale, coerente e argomentata delle
risultanze istruttorie, che – nella sua completezza e congruenza logica – resiste a
qualsiasi censura e risulta insindacabile in sede di legittimità.
Il sindacato demandato alla Corte di Cassazione sul percorso giustificativo della
decisione è limitato, per espressa voluntas legis, al riscontro dell’esistenza di un
logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza
della motivazione alle acquisizioni processuali, non essendo consentito di
procedere a una rinnovata valutazione degli elementi di fatto finalizzata, nella
prospettiva dei ricorrenti, a una ricostruzione dei fatti stessi in termini diversi da
quella operata dal giudice di merito: al giudice di legittimità è infatti preclusa, in
sede di controllo della motivazione, la rilettura degli elementi probatori e di fatto
posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva
al giudice del merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata perché ritenuta
maggiormente plausibile o munita di migliore capacità dimostrativa, valutazione
delle risultanze processuali (Sez. 2 n. 22362 del 19/04/2013, Rv. 255940; Sez. 6
n. 5907 del 29/11/2011, imputato Borella).
Risulta perciò incensurabile – oltre alla motivata conclusione dei giudici di merito
circa l’individuazione nella convivente del Carpitella della donna di nome
Marinella alla quale ha fatto riferimento l’interlocutore (tra l’altro rispondente al
nome proprio dell’imputato: Ignazio) delle conversazioni intercettate sull’utenza
368/7766673, e nel Grapsi del soggetto di nome Claudio che utilizzava l’utenza
4

più risalente (quello del 22 agosto 1998) al 17 luglio 2014.

368/7513965 intestata alla suocera dell’odierno prevenuto – l’argomentazione,
conforme a corretti canoni logici basati su dati di tipo esperienziale, in forza della
quale la sentenza impugnata ha valorizzato l’attribuzione, da parte degli ufficiali
di p.g. addetti all’ascolto, ai medesimi – determinati – soggetti di cui avevano
riconosciuto lo specifico timbro di voce nelle fasi iniziali dell’attività di captazione,
di tutte le successive conversazioni intercettate che li vedevano interlocutori, a
prescindere da qualsiasi conoscenza personale dei soggetti monitorati.
3. Il secondo motivo di ricorso del Carpitella e del Grapsi è inammissibile,

dell’aggravante ad effetto speciale di cui al 3° comma dell’art. 10 legge n. 40 del
1998 (ora art. 12 comma 3 lett. a) D.Lgs. n. 286 del 1998) in relazione al
numero, superiore a cinque per volta, dei clandestini illegalmente introdotti nel
territorio dello Stato (che è stata peraltro puntualmente argomentata dai giudici
di merito sulla scorta dei risultati oggettivi delle attività di rintraccio e rimpatrio
degli stranieri sbarcati in Italia), che non era stata dedotta nei motivi d’appello e
che è stata proposta per la prima volta col ricorso per cassazione, in violazione
del disposto dell’art. 606 comma 3, ultima parte, cod.proc.pen..
4.

Anche il terzo motivo di doglianza degli imputati Carpitella e Grapsi è

inammissibile, per manifesta carenza di interesse, in quanto la pacifica ricorrenza
nella fattispecie dell’aggravante speciale del numero dei concorrenti nel reato
non inferiore a tre (art. 10 comma 3 legge n. 40 del 1998, ora art. 12 comma 3
lett. d) D.Lgs. n. 286 del 1998) assorbe (in virtù del principio di specialità sancito
dall’art. 15 cod. pen.) l’aggravante comune di cui all’art. 112 comma primo n. 1
cod. pen., alla verifica della cui sussistenza i ricorrenti non hanno alcun
interesse, avendo la sentenza impugnata determinato la pena nei loro riguardi a
partire dalla pena base prevista per l’ipotesi di cui al 3° comma dell’art. 10 legge
n. 40 del 1998 (già comprensiva dell’aggravante speciale) senza applicare alcun
(ulteriore) aumento per l’aggravante comune.
5. Per le medesime ragioni deve essere dichiarato inammissibile l’unico motivo di
gravame dedotto, con identico riferimento alla contestazione dell’aggravante di
cui all’art. 112 comma primo n. 1 cod. pen., nel ricorso di Jacupi Agron, nei cui
confronti non sussiste alcuna nullità della notificazione dell’avviso dell’udienza
fissata dinanzi a questa Corte, essendo l’imputato elettivamente domiciliato
presso lo studio del difensore d’ufficio, così che l’avvenuta consegna dell’avviso
in unica copia al difensore domiciliatario, univocamente ricevuta in proprio e in
veste di consegnatario (ex art. 613 comma 4 del codice di rito), integra una
mera irregolarità che non è idonea a recare alcun pregiudizio alla garanzia del
contraddittorio processuale (vedi Sez. 1 n. 14012 del 7/03/2008, Rv. 240138).
6. Il primo motivo di ricorso del Geusa è infondato.

r
lrl—-

5

trattandosi di una doglianza, diretta a contestare la ritenuta sussistenza

Deve convenirsi, in conformità all’orientamento espresso da questa Corte (Sez. 3
n. 20880 del 29/02/2012, Rv. 252911), che la riformulazione normativa della
condotta incriminata dall’art. 12 (comma 1) D.Lgs. n. 286 del 1998 – che nel
testo attuale punisce gli atti diretti a “procurare”, e non più a “favorire”, come
previsto dal testo originario della norma vigente all’epoca dei fatti, l’ingresso
illegale dello straniero nel territorio dello Stato – ha ristretto l’area di punibilità
della condotte, realizzando un fenomeno di parziale continuità normativa (c.d.

abrogati° sine abolizione), nel senso che non costituisce più reato la condotta di

diretti a procurare l’ingresso illegale dello straniero, posto che il comportamento
di “favorire” (che può esplicarsi anche solo sul piano psicologico) ha un ambito di
applicazione più esteso di quello di “procurare”, che riflette un rapporto materiale
che si estrinseca in un fare per conto di altri (così che la prima condotta
comprende la seconda, ma non viceversa).
Nel caso in esame, dallo stesso testo della sentenza impugnata (pagine 12 e 13)
risulta, tuttavia, che la condotta concretamente addebitata e ritenuta a carico del
Geusa è stata proprio quella di procurare (e non già soltanto di favorire)
l’ingresso materiale – effettivamente avvenuto – dei clandestini nel territorio dello
Stato, mediante le condotte fattuali consistite nell’organizzare, sulla base della
comunicazione ricevuta dallo Jacupi dell’avvenuta partenza delle imbarcazioni dal
suolo albanese e del numero di migranti di volta in volta trasportati, le
autovetture necessarie a smistarli nelle varie località di destinazione non appena
sbarcati in Italia, predisponendo i “tassisti” e i tragitti più idonei a eludere i
controlli di polizia.
La positiva verifica, così operata, della tenuta logico-giuridica della struttura
argomentativa della decisione, resa possibile dalla sola lettura della motivazione
della sentenza impugnata senza ricorrere alla rivalutazione (inibita a questa
Corte) degli elementi di fatto, nel senso di ritenere corretta la soluzione del
giudice di merito in ordine alla sussistenza del reato e alla colpevolezza
dell’imputato anche alla stregua della formulazione attuale della norma
incriminatrice, comporta il rigetto del motivo di ricorso.
7. Il secondo motivo di ricorso del Geusa è inammissibile, in quanto si esaurisce
in una generica contestazione della motivazione in forza della quale la Corte
territoriale ha negato all’imputato le attenuanti generiche e ha confermato la
misura della pena inflitta in primo grado, senza che la doglianza si confronti col
ruolo apicale attribuito al Geusa nell’organizzazione dell’attività delittuosa e con
la sua condotta susseguente al reato consistita nel reiterare le attività criminose,
elementi che sono stati valorizzati dalla sentenza impugnata nell’ambito di un
giudizio di fatto incensurabile nella sua coerenza argomentativa.
bj–6

favoreggiamento dell’immigrazione clandestina che non si sia estrinsecata in atti

8. In definitiva, i ricorsi degli imputati Carpitella, Grapsi e Geusa devono essere
rigettati, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali,
mentre il ricorso di 3acupi Agron deve essere dichiarato inammissibile, con
conseguente condanna dell’imputato, oltre al pagamento delle spese processuali,
anche al versamento alla cassa delle ammende della sanzione pecuniaria che si
stima equo quantificare in 1.000 euro.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di Jacupi Agron che condanna al pagamento

rigetta i ricorsi degli altri imputati, che condanna al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso V11/04/2014

delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle Ammende;

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA