Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31735 del 15/04/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 31735 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

Data Udienza: 15/04/2014

SENTENZA

ul ricorso proposto da:
MINNITI CONSOLATO N. IL 21/06/1983
SANSONETTI PIERO N. IL 29/05/1951
avverso l’ordinanza n. 159/2013 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 30/09/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
let4e/sentite le conclusioni del PG Dott. 1F- 4 ivc-) E- ,r e4′ Ft 41, ka
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RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 30 settembre 2013 il Tribunale del riesame di Reggio
Calabria ha confermato il provvedimento di sequestro probatorio emesso dal
P.M. presso il Tribunale di Reggio Calabria in data 12 settembre 2013,
nell’ambito di un procedimento penale iscritto nei confronti di ignoti per i delitti
di cui agli artt. 416-bis, 326 c.p. e 7 della I. n. 203/91, con riferimento alla
propalazione dei verbali delle riunioni tenutesi presso la D.N.A. il 19 ed il 27
giugno 2013, rigettando l’istanza di riesame presentata nell’interesse di

Sansonetti, quale direttore responsabile del medesimo.

1.1. Il decreto di sequestro probatorio aveva ad oggetto beni specificamente
indicati nel relativo verbale di sequestro eseguito dalla P.G. a carico del Minniti, e
segnatamente fogli dattiloscritti, in formato A4, recanti l’intestazione in prima
pagina “Direzione Nazionale Antimafia”, relativi a riunioni tenutesi il 19 ed il 27
giugno 2013 presso gli uffici della D.N.A., nonché il personal computer fisso ed il
“net book” in uso al Minniti, oltre a DVD, block notes, pen drive, un lettore

“MP3”, una scheda telefonica, un registratore portatile, cellulari ed un biglietto
manoscritto.

2. Avverso la su indicata ordinanza del Tribunale del riesame ha proposto
ricorso per cassazione il difensore di fiducia del Minniti e del Sansonetti,
deducendo tre motivi di doglianza.

2.1.Violazione dell’art. 21, comma 2, c.p.p., in relazione alla competenza
“ratione loci”, non avendo il Tribunale motivato riguardo all’eccezione difensiva
incentrata sui dubbi avanzati circa la corretta individuazione del giudice naturale,
tenuto conto del fatto che il luogo ove si sarebbe verificata la fuga delle notizie
relative ai verbali delle riunioni svoltesi presso gli uffici della D.N.A. è
necessariamente identificabile in Roma.

2.2. Violazione degli artt. 252, 253, 370, 256 e 200 c.p.p., in relazione alla
fattispecie di cui all’art. 326 c.p., non essendo possibile assoggettare a sequestro
computer e agende dei giornalisti al fine di individuare la fonte anonima di

notizie segrete che, nel caso di specie, non può che essere un intraneus alla
pubblica amministrazione, e non certamente il capo servizio e il direttore
responsabile del predetto quotidiano. Il Minniti, infatti, non risulta destinatario di
alcuna ipotesi di concorso punibile ex art. 110 c.p., quale istigatore del pubblico
1

Consolato Minniti, giornalista del quotidiano “L’ora della Calabria” e di Piero

ufficiale a fare la rivelazione della notizia segreta, in ordine al paradigma
normativo dell’art. 326 c.p.. Il provvedimento gravato, in particolare, risulta
invasivo di posizioni soggettive costituzionalmente tutelate ex art. 21 Cost., cui
sono connesse la garanzia del segreto professionale e la riservatezza delle fonti
di informazione, imponendo sostanzialmente un vincolo di indisponibilità sui
computers utilizzati dal giornalista e sull’area server dallo stesso gestita. Esso,
inoltre, pur ipotizzando genericamente il fumus commissi delicti, non indica
neanche marginalmente il rapporto intercorrente fra le cose sottratte alla
disponibilità del ricorrente ed il reato oggetto di contestazione, per il quale si

avrebbe dovuto essere utilizzato secondo un criterio fondamentale di
proporzionalità, facendolo precedere da doverosi e preliminari accertamenti
esplorativi.

2.3. Violazione dell’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e

delle libertà fondamentali, avuto riguardo alla giurisprudenza della Corte EDU
sulla non sequestrabilità di

computer ed agende dei giornalisti al fine di

individuare la fonte anonima di notizie segrete.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. I ricorsi sono parzialmente fondati e vanno pertanto accolti entro i limiti e
per gli effetti di seguito esposti e precisati.

4. Infondato, preliminarmente, deve ritenersi il primo motivo di ricorso, in
quanto aspecificamente formulato, per non essere la correlativa doglianza
attualmente basata su elementi di fatto in concreto valutabili in questa Sede.
Soccorrono, al riguardo, in ogni caso, le regole suppletive enunciate, ai fini della
determinazione della competenza territoriale, nel disposto di cui all’art. 9 c.p.p. .
In relazione a tale specifico profilo, dunque, i ricorsi non sono meritevoli di
accoglimento e devono essere rigettati.

5. Nel merito, deve richiamarsi il quadro di principii da tempo affermato da
questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 40380 del 31/05/2007, dep. 31/10/2007, Rv.
237917; Sez. 2, n. 48587 del 09/12/2011, dep. 29/12/2011, Rv. 2520549),
secondo cui il sequestro probatorio disposto nei confronti di un giornalista
professionista deve rispettare con particolare rigore il criterio di proporzionalità
tra il contenuto del provvedimento ablativo di cui egli è destinatario e le esigenze

2

procede contro ignoti. L’istituto di cui agli artt. 250-252 c.p.p., in definitiva,

di accertamento dei fatti oggetto delle indagini, evitando quanto più è possibile
indiscriminati interventi invasivi nella sua sfera professionale.
La stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha in più
occasioni avuto modo di sottolineare come la libertà di espressione costituisca
uno dei fondamenti essenziali di una società democratica, precisando che le
garanzie da accordare alla stampa rivestono una importanza particolare (Corte
EDU, Grande Camera, 14 settembre 2010, Sanonna Uitgevers B.V. c. Paesi
Bassi).
Entro tale prospettiva, si è ritenuto che il diritto del giornalista di proteggere

idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche”: una garanzia,
questa, assicurata direttamente dall’art. 10 della Convenzione dei diritti
dell’uomo, con la conseguenza che il provvedimento di un’Autorità giudiziaria che
dispone il sequestro di materiale posseduto da un giornalista rischia di condurre
alla individuazione delle fonti alle quali il reporter aveva garantito l’anonimato, e
può costituire una violazione della libertà di espressione garantita dalla
Convenzione, pregiudicando anche la futura attività del giornalista e del giornale,
la cui reputazione rischierebbe di appannarsi anche in relazione alla possibile
attività di acquisizione di ulteriori fonti informative.
Un provvedimento di tal genere, si è affermato, non sarebbe compatibile con
la Convenzione neanche nei casi in cui l’acquisizione di documenti possa
condurre alla individuazione degli autori di altri reati. Ne consegue che qualsiasi
ingerenza nel diritto alla tutela delle fonti giornalistiche e delle informazioni atte
a condurre alla loro identificazione, per non vulnerare la Convenzione, in quanto
“prevista dalla legge”, deve essere accompagnata da garanzie proporzionate
all’importanza del principio in questione, e, in primo luogo, dalla garanzia del
controllo da parte di un organo terzo ed imparziale, investito del potere di
determinare se il requisito dell’interesse pubblico, prevalente sul principio della
protezione delle fonti giornalistiche, possa ritenersi sussistente prima della
consegna del materiale pertinente, impedendo, in caso contrario, ogni accesso
non necessario ad informazioni idonee a rivelare l’identità delle fonti. (Corte
EDU, Grande Camera, sentenza del 14 settembre 2010, Sanonna Uitgevers B.V.
contro Paesi Bassi, cit.).
Va altresì ricordato che lo stesso Patto internazionale sui diritti civili e
politici, adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 16
dicembre 1966 e reso esecutivo nel nostro ordinamento con I. 25 ottobre 1977,
n. 881, prevede al riguardo un’ampia tutela per le attività di informazione e
ricerca delle fonti, stabilendo, all’art. 19, comma 2, che

“ogni individuo ha il

diritto alla libertà di espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare,
3

le proprie fonti rientra nella libertà di “ricevere o di comunicare informazioni o

ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a
frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o
attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta”. La stessa disposizione, inoltre,
prevede, nel terzo comma, che “l’esercizio delle libertà previste al paragrafo 2
del presente articolo comporta doveri e responsabilità speciali. Esso può essere
pertanto sottoposto a talune restrizioni che però devono essere espressamente
stabilite dalla legge ed essere necessarie: a) al rispetto dei diritti o della
reputazione altrui; b) alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordine
pubblico, della sanità o della morale pubbliche”.

delineato, stabilendo che nei casi di ispezione presso abitazioni o luoghi di lavoro
appartenenti a giornalisti con l’intento di raccogliere prove o indizi di violazione
del segreto professionale, si è in presenza di una violazione della libertà dei
giornalisti, protetta dall’articolo 10, di ricevere o comunicare informazioni (Corte
EDU, Sezione V, 20 marzo 2012 – 12 aprile 2012, Martin e altri c. Francia). In tal
caso, in particolare, la Corte di Strasburgo ha stabilito che le perquisizioni nel
domicilio e nell’ufficio di un giornalista, il sequestro di supporti informatici e
documenti disposti dall’Autorità giudiziaria per individuare la fonte del giornalista
che ha chiesto l’anonimato sono in contrasto con la su indicata disposizione
convenzionale. Se il giornalista, dunque, agisce nel rispetto delle norme
deontologiche e fornisce informazioni di interesse generale, il suo diritto alla
libertà di espressione non può subire limitazioni, quand’anche la sua fonte abbia
violato un obbligo di segretezza consegnandogli, o trasmettendogli, documenti
riservati o coperti da segreto.
L’attività di ispezione, pertanto, è stata ritenuta sproporzionata, mentre le
ragioni addotte dalle competenti autorità per giustificarne l’esecuzione sono state
ritenute pertinenti, ma non sufficienti, muovendo dal rilievo che gli interessi
concorrenti – ossia la protezione delle fonti giornalistiche e la prevenzione e
repressione dei crimini – non erano stati oggetto di un adeguato bilanciamento.
Nella prospettiva ermeneutica seguita dalla Corte EDU, infatti, la protezione
delle fonti costituisce “una delle pietre angolari della libertà di stampa”: non
assicurare tale forma di tutela “potrebbe dissuadere le fonti dei giornalisti
dall’aiutare la stampa ad informare il pubblico su questioni di interesse
generale”, non permettendo ai giornalisti di svolgere in modo effettivo il ruolo di
“cani da guardia” proprio dei mezzi di comunicazione di massa.
Ne consegue che è compito del giudice, come già stabilito in questa Sede,
procedere ad un cauto, ed al tempo stesso rigoroso, bilanciamento fra le
contrapposte esigenze rappresentate, da un lato, dal doveroso accertamento dei
fatti e delle responsabilità in presenza di accadimenti che integrino una ipotesi di
4

Anche di recente, peraltro, la Corte EDU ha ribadito il quadro di principii su

reato, e, dall’altro lato, dalla necessità di preservare il diritto del giornalista a
cautelare le proprie fonti, in vista dell’espletamento della funzione informativa,
considerata uno dei pilastri fondamentali delle libertà in una società democratica
(Sez. 2, n. 48587 del 09/12/2011, dep. 29/12/2011, cit.).
Nel nostro ordinamento processuale, del resto, i limiti legali che devono
preservare la legittimità degli atti di “interferenza” che l’Autorità giudiziaria è
abilitata ad esercitare sono fissati nell’art. 200, comma 3, c.p.p., in base al
quale il giudice può ordinare al giornalista di indicare la fonte delle sue
informazioni solo in presenza delle due condizioni ivi tassativamente previste:

a)

si procede, prendendo a riferimento fatti specifici in ordine ai quali si sviluppa
l’attività di indagine, e non semplicemente riconducibili all’astratto nomen iuris;
b) che le notizie non possano essere altrimenti accertate.
Non basta, dunque, un semplice nesso di “pertinenzialità” tra le notizie ed il
generico tema dell’indagine, ma occorre che l’ingerenza rispetto alle fonti
rappresenti la

extrema ratio

cui ricorrere per poter conseguire la prova

necessaria per perseguire il reato (Sez. 2, n. 48587 del 09/12/2011, dep.
29/12/2011, cit.).

6. Nel caso in esame, vi è stata una indiscriminata estensione del mezzo di

ricerca della prova, che ha lasciato in ombra sia l’esigenza di una preventiva
individuazione della cosa da acquisire a scopo probatorio, sia quella di una chiara
e precisa indicazione dello stretto collegamento che deve esservi tra le res
oggetto di apprensione ed i reati oggetto delle attività di indagine preliminare.
Il decreto di perquisizione, emesso

ex artt. 250 ss. c.p.p., con il

conseguente sequestro, ex art. 252 c.p.p., di quanto rinvenuto ed in ogni caso
ritenuto utile ai fini delle indagini, pur contenendo un sommario riferimento al
fumus commissi delicti,

non spiega in alcun modo quale sia il rapporto

intercorrente tra le cose sottratte alla disponibilità del ricorrente ed i reati per cui
si procede: profilo, questo, che, di contro, doveva essere posto in particolare
rilievo, proprio in ragione della peculiare posizione del destinatario del
provvedimento, che non poteva subire, quale persona non indagata, rilevanti
intrusioni, sia pure a soli fini esplorativi, nella sfera personale della sua attività di
giornalista, attraverso l’acquisizione di tutto il materiale informatico e cartaceo
posseduto ed attinente alla sua professione, ma doveva essere destinatario di un
provvedimento “mirato”, ossia diretto a soddisfare la tutela inerente alla effettiva
necessità di un’acquisizione probatoria, attraverso la compiuta indicazione
dell’esistenza di uno stretto collegamento tra la
delittuose oggetto d’indagine.
5

res e le ipotizzate condotte

che la rivelazione della fonte sia indispensabile per la prova del reato per il quale

Né è registrabile, nel percorso motivazionale dell’impugnato provvedimento
del Tribunale del riesame, alcuna specifica ragione giustificativa dell’esistenza di
quel nesso.
Difetta, inoltre, nel corpo del provvedimento, qualsiasi cenno al tema del
segreto professionale e delle altre garanzie che devono essere in concreto
assicurate al giornalista professionista.
Le norme di cui agli artt. 200 e 256 c.p.p., invero, disegnano un particolare
modus procedendí nel tutelare il segreto giornalistico ed impongono la massima
cautela nell’utilizzazione degli strumenti della perquisizione e del sequestro nei

dell’attività da costoro svolta e delle potenziali limitazioni che alla libertà di
stampa potrebbero derivare da iniziative immotivatamente invasive. Una ricerca
incontrollata delle fonti rischia di dar luogo ad un sostanziale aggiramento del
principio di cui all’art. 200, comma 3, c.p.p. e della disciplina contenuta nella
successiva disposizione di cui all’art. 256 c.p.p. (Sez. 6, n. 40380 del
31/05/2007, dep. 31/10/2007, cit.).
L’originario provvedimento ablativo, e l’attività esecutiva che ne è seguita,
hanno sostanzialmente vanificato l’esercizio della facoltà, pur riconosciuta al
giornalista dalle su indicate disposizioni processuali, di consegnare il documento
ricercato o di opporre il segreto.
Il procedimento ablatorio nei confronti del giornalista, come anche dei
soggetti espressamente indicati negli artt. 200 e 201 c.p.p., non si sostanzia, a
differenza della generalità dei casi, in una diretta ed immediata apprensione, ma
presuppone, prima, una richiesta di esibizione.
I diritti costituzionali sottesi alla tutela del segreto impongono, dunque, un
modus operandi diverso rispetto alle perquisizioni ed ai “sequestri ordinari”. La
richiesta di esibizione della cosa, infatti, deve riguardare un quid espressamente
indicato dall’Autorità giudiziaria e che, riconducibile al “corpo del reato o alle
cose pertinenti al reato”, abbia una spiccata idoneità alla ricostruzione dei fatti.
La res, pertanto, deve essere necessaria ai fini dell’accertamento, poichè la
lesione dei diritti costituzionali coinvolti (diritto all’informazione, riservatezza del
domicilio e della corrispondenza) non potrebbe giustificarsi se il contributo
conoscitivo risultasse aliunde acquisibile.
L’art. 256 c.p.p., inoltre, in simmetria con quanto previsto dall’art. 200
c.p.p., stabilisce che, in caso di opposizione del segreto, l’autorità giudiziaria, se
ha motivo di dubitare della fondatezza di quanto allegato, provvede agli
accertamenti necessari e, se questi danno esito negativo, dispone il sequestro.
Conclusivamente deve ritenersi, con riferimento alla posizione del giornalista
professionista, cui l’ordinamento assicura la garanzia del segreto professionale
6

confronti dei giornalisti, in considerazione della particolare delicatezza

non quale privilegio personale, ma quale ineludibile presidio posto a tutela della
libera ed incondizionata attività di informazione, che il rispetto del criterio di
proporzionalità tra il contenuto di una misura invasiva della libertà personale di
cui egli sia fatto destinatario e le esigenze di accertamento dei fatti oggetto
d’indagine costituisca oggetto di un particolare e specifico onere motivazionale
da parte dell’Autorità giudiziaria, al fine di evitare quanto più è possibile il rischio
di una pericolosa compressione delle forme e modalità di esercizio di un diritto
costituzionalmente tutelato.
In tal senso è necessaria, dunque, un’accurata motivazione, sia del

non solo la presenza del nesso di collegamento tra le notizie ed il tema
d’indagine, ma anche lo specifico oggetto dell’apprensione e la necessità delle
informazioni desumibili dalla res ai fini dell’accertamento dei fatti.

7. Sulla base delle su esposte considerazioni, pertanto, il provvedimento
impugnato, nonchè l’originario decreto di sequestro emesso dal P.M. in data 12
settembre 2013, devono essere annullati senza rinvio, con la conseguente
restituzione di quanto in sequestro in favore dell’avente diritto, fatta eccezione
dei documenti in dispositivo meglio indicati.
La Cancelleria curerà l’espletamento degli incombenti di cui all’art. 626
c.p.p. .
P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro
emesso il 12 settembre 2013 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
di Reggio Calabria e dispone la restituzione agli aventi diritto delle cose
sequestrate fatta eccezione dei documenti intestati D.N.A.; rigetta i ricorsi nel
resto.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 c.p.p. .

Così deciso in Roma, lì, 15 aprile 2014

Il Consigliere estensore

Il Fresidente

provvedimento di sequestro che dell’ordine di esibizione, sì da porre in evidenza

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