Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31727 del 26/06/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 31727 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
1. Alfredo Epifani, nato a Campi Salentina il 14/12/1987
avverso l’ordinanza del 28/02/2014 del Tribunale di Lecce
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi
Riello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 28/02/2014 dia I Tribunale di Lecce ha respintol’appello proposto avverso il rigetto dell’istanza di revoca della misura della
custodia cautelare in carcere disposta nell’interesse di Alfredo Epifani in relazione
all’ipotesi associativa di cui all’art. 416 bis cod. pen.
2. La difesa di Epifani ha proposto ricorso con il quale si deduce vizio di
motivazione, e si segnala, sotto un primo profilo, che il provvedimento contiene
un’inesattezza, nella parte in cui assume l’intervento di una conferma dell’intero
provvedimento impositivo da parte del Tribunale del riesame, che ha
confermato la misura solo in relazione alla fattispecie di cui all’art. 416 bis cod.
pen.
Rispetto alle esigenze cautelari si rivendica l’allegazione della circostanza di
fatto, relativa alla presenza di un’attività economica, il cui svolgimento impone
l’allontanamento dell’interessato da San Pietro Vernotico per la gran parte della
giornata, oltre che la natura risalente ad oltre tre anni prima dell’esecuzione
della misura dei fatti contestati, elementi di fatto contrastati con deduzioni
contraddittorie ed illogiche che, da un canto, impongono all’interessato
l’adempimento di obblighi non compatibili con lo svolgimento di una ordinaria

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Data Udienza: 26/06/2014

attività, ipotizzando il prosieguo dell’illecito in orari incompatibili con le esigenze
di riposo imposte da un ritmo di attività elevato, all’altro concretizzano un vero e
proprio onere probatorio diabolico a carico della parte interessata, al fine di
superare la presunzione di pericolosità prevista in relazione alle accuse
richiamate nella norma incriminatrice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. L’impugnazione proposta è un appello avverso provvedimento di rigetto
dell’istanza sulla libertà formulata dopo il proposto riesame, ai sensi dell’art. 299
cod. proc. pen., circostanza che impone di limitare la valutazione all’incidenza
che fatti sopravvenuti al proposto riesame possano assumere sulla
determinazione in merito agli elementi legittimanti la persistenza delle esigenze
cautelari e l’adeguatezza della misura inflitta alle esigenze concrete.
Nella specie, vertendosi in tema di applicazione della misura a seguito di
accertamento dei gravi indizi del reato di cui all’art. 416 bis cod. pen, incombeva
alla difesa dimostrare i fatti positivi che escludono la valutazione di adeguatezza
della più grave misura e tale onere non risulta assolto, posto che si è operato un
richiamo ad una situazione lavorativa, evidentemente preesistente
all’imposizione della misura restrittiva, non evidenziata nella precedente
procedura, e quindi priva del carattere della sopravvenienza. Per di più
correttamente il provvedimento evidenzia l’assenza di una manifesta inidoneità
della situazione di vita a dimostrare la recisione dei legami illeciti, ben potendo la
partecipazione ad un’associazione per delinquere prescindere dal compimento
materiale di atti illeciti da parte dei suoi accoliti, stante la rilevanza della mera
programmazione, e l’ampia possibilità di delega delle azioni operative, correlate
alla natura plurisoggettiva della condotta.
Ciò rende conseguentemente non astrattamente inconciliabile con l’attività
di lavoro eseguita dall’interessato la persistenza della pericolosità, giustificando
la decisione di merito che si impugna, che conseguentemente risulta immune dai
vizi lamentati con il gravame.
3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del grado, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
La Cancelleria è tenuta alle comunicazioni di cui all’art. 94 comma 1 ter disp.
att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
grado.
2

Cassazione sezione VI penale, rg. 14908/2014

1. Il ricorso è infondato.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter
disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso il 26/06/2014.

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