Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31722 del 15/05/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 31722 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: CONTI GIOVANNI

SENTENZA

su ricorso proposto da
Mauro Mario, nato a Petilia Policastro il 12/10/1959

avverso la ordinanza del 03/12/2013 del Tribunale di Catanzaro

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Conti;
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giovanni
D’Angelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’avv. Gregorio Viscomi, che ha concluso per l’accoglimento del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO

1. Con la ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Catanzaro, adito ex art. 309 cod.
oroc. oen.. confermava l’ordinanza in data 22 ottobre 2013 del Giudice per le

Data Udienza: 15/05/2014

indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro con la quale, con riferimento
all’addebito di cui al capo 12, era stata applicata a Mario Mauro la misura cautelare
della custodia in carcere in ordine al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.,
variamente aggravato, per avere fatto parte di un’associazione di tipo mafioso
radicata in Petilia Policastro, in territorio di Crotone, denominata “Locale di Petilia
Policastro”, capeggiata da Vincenzo Comberiati, operante, per quel che qui
interessa, dalla fine degli anni ’80 al 2008, dedita ad omicidi, ad aggressioni fisiche,

esplosivi e in genere a estorsioni, a traffico di sostanze stupefacenti, il tutto in un
contesto di assoggettamento e omertà legato al clima di terrore indotto nella
popolazione del territorio, come attestato da varie decisioni giudiziarie tra cui
sentenze irrevocabili.
L’operatività dell’associazione mafiosa, protrattasi anche dopo l’arresto di suoi
esponenti apicali, risultava poggiare, nel presente procedimento cautelare, su una
base indiziaria costituita da intercettazioni telefoniche e ambientali e da dichiarazioni
di collaboratori di giustizia.
In tale contesto, la partecipazione al sodalizio di Mario Mauro (detto “U’
Biondu”) veniva ritenuta derivare dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di
giustizia, quali Felice Ferrazzo, Lea Garofalo, Angelo Salvatore Cortese, Giuseppe
Liotti, Carmine Venturino, alcuni dei quali lo avevano riconosciuto in foto, che ne
avevano descritto la posizione di vicinanza vicino al boss Vincenzo Comberiati e la
sua specifica attività, in seno al sodalizio, di spaccio di stupefacenti ed estorsioni.
A tali dichiarazioni facevano da riscontro, secondo il Tribunale, vari colloqui
ambientali (tra i fratelli Giuseppe e Pasquale Liotti, tra Salvatore Comberiati e
Salvatore Carvelli, tra Vincenzo Comberiati e il padre Vincenzo, tra Salvatore
Carvelli e Rodolfo Concio) da cui risultava lo stretto collegamento del Mauro con la
famiglia mafiosa e la sua attività criminale; nonché, sulla base di servizi di
osservazione, i continui e frequenti contatti tra il medesimo e altri affiliati alla cosca.
Sussistevano poi, ad avviso del Tribunale, esigenze cautelari, per le quali valeva
la presunzione assoluta di adeguatezza della misura carceraria, connesse al
ravvisato pericolo di reiterazione criminosa, connesso all’alto spessore criminale
dell’indagato.

2. Ricorre per cassazione il Mauro, a mezzo del difensore, avv. Gregorio
Viscomi, che deduce i seguenti motivi.

ad azioni intimidatorie contro imprenditori e commercianti, ad attentati incendiari ed

2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, anche sotto il profilo del
travisamento di una prova, in punto di omessa trasmissione di atti su cui si era
fondata l’ordinanza applicativa, e in particolare del verbale di interrogatorio reso in
data 30 luglio 2002 dalla collaboratrice Lea Garofolo, secondo cui il Mauro era una
delle persone di cui si serviva il fratello Floriano per le proprie attività illecite,
richiamate anche dal Tribunale nell’ordinanza impugnata che peraltro indicava
formalmente il verbale in data 19 ottobre 2007 non avvedendosi che le dichiarazioni

verbale del 30 luglio 2002.
2.2. Violazione degli arti. 405-407 cod. proc. pen., in relazione alle dichiarazioni
rese da Carmine Venturino il 17 maggio 2013 dopo che erano scaduti i termini per
la conclusione delle indagini preliminari, decorrenti dalla iscrizione del nominativo
del Mauro nel registro delle notizie di reato avvenuta in data 19 febbraio 2007 con
successivi provvedimenti di proroga fino al 19 agosto 2008.
2.3. Assenza di motivazione in ordine alle questioni sottoposte al Tribunale con
memoria difensiva del 26 novembre 2013, con le quali veniva contestata punto per
punto, su circostanze rilevanti richiamate dall’ordinanza impugnata, la ricostruzione
dei fatti operata dal G.i.p., talvolta con vero e proprio travisamento della prova.
2.4. Violazione di legge in relazione alla utilizzazione delle dichiarazioni
intercettate rese in carcere con i propri familiari da Giuseppe Liotti, le quali erano
state rese in altro procedimento archiviato, senza un provvedimento di riapertura
delle indagini e in ogni caso con superamento dei termini di cui all’art. 407 cod.
proc. pen. in relazione alla data di iscrizione del nominativo del Mauro nel registro
delle notizie di reato.
2.5. Vizio di motivazione e violazione di legge in punto di valutazione degli
elementi indiziari.
In primo luogo, il Tribunale si è richiamato per relationem alla motivazione del
provvedimento applicativo senza avere dato conto di un suo vaglio critico delle
considerazioni ivi esposte.
In secondo luogo, i dati considerati, desunti dalle dichiarazioni dei collaboratori
di giustizia, erano all’evidenza privi di portata indiziaria circa la condotta di
partecipazione ad una associazione mafiosa: il Ferrazzo non ha mai dichiarato che il
Mauro spacciasse sostanze stupefacenti per conto della cosca Comberiale e non ha
riferito di alcun incontro cui il ricorrente abbia preso parte; il Cortese ha collegato il
Mauro al Comberiati esclusivamente in relazione alla vicenda dell’assassinio dei due
metronotte dalla quale il ricorrente è stato assolto con sentenza definitiva; la

della Garofolo cui si era riferito il G.i.p. erano in realtà contenute nel precedente

Garofalo non ha riferito alcunché di specifico sul Mauro; il Liotti lo definisce intraneo
alla Locale di Petilia Policastro fino al 1999, ma non indica il ruolo rivestito all’interno
del sodalizio né riferisce di fatti specifici commessi dal Mauro.
2.6. Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di esigenze cautelari,
mancando l’attualità del pericolo di reiterazione di analoghi reati, posto che i vari
collaboratori hanno narrato fatti risalenti alla fine degli anni ’80-inizio ’90, e la

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato, atteso che il provvedimento impugnato si basa in parte
su dati incerti o che non trovano sicura rispondenza negli atti di riferimento, e,
soprattutto, non fornisce adeguata risposta ai rilievi esposti nella memoria difensiva
depositata in sede di udienza di riesame.

2. Quanto al riconoscimento del ricorrente che avrebbe operato la collaboratrice
Lea Garofolo, il Tribunale osserva che esso deriva dalle dichiarazioni da questa rese
nell’interrogatorio del 19 ottobre 2007. Sennonché l’esame del verbale – copia del
quale è stata allegata dalla difesa alla memoria difensiva – pan -ebbe smentire tale
osservazione o comunque renderla quanto meno opinabile.
In esso la Garofalo, dopo avere visionato la foto 23 (raffigurante Giuseppe
Pulerà), afferma «potrebbe essere che conosco questo di Petilia», e, subito dopo,
aggiunge: «Questo lo conosco, il 28 [raffigurante Mario Mauro] non so chi è e come
si chiama». Da un lato, dunque, non è affatto chiaro se la frase “questo lo conosco”
si riferisca alla precedente dichiarazione concernente il soggetto raffigurato nella
foto n. 23 (relativa al Pullerà), ovvero attenga alla successiva foto n. 28 (relativa al
Mauro); dall’altro, comunque,anche ammettendo tale seconda ipotesi, il
riconoscimento appare quanto meno messo in crisi dalla affermazione «il 28 non so
chi è e come si chiama».

3.

L’attendibilità delle dichiarazioni rese da Angelo Salvatore Cortese,

esponente di spicco della cosca Comberiati, appare messa in crisi dalla circostanza
per cui il collaboratore, nonostante l’affermazione secondo cui il Mauro era un
affiliato del clan di Petilia, non è stato in grado di riconoscerlo in foto, pur avendo
egli dovuto ben conoscerlo.

formulazione della imputazione si spinge non oltre l’anno 2008.

Inoltre, il rilievo del Tribunale secondo cui la vicinanza del Mauro al boss
Vincenzo Comberiati non era contraddetta dalla assoluzione dall’accusa del suo
coinvolgimento nell’omicidio di due guardie giurate appare meramente assertivo:
cadendo l’accusa di concorso nel fatto delittuoso, il Tribunale avrebbe dovuto più
specificamente dare ragione del dato indiziario su cui basava un simile
coinvolgimento.

Biondo” viene senz’altro riferita dal Tribunale alla persona di Mario Mauro. Tuttavia
la difesa, nella memoria depositata, aveva eccepito che tale appellativo poteva
riguardare altro soggetto (Luigi Ierardi, detto appunto “U Biondo”), come pure
risulterebbe da uno stralcio delle dichiarazioni rese da Felice Ferrazzo, ma a questo
rilievo l’ordinanza impugnata non dedica alcuna attenzione.

5. Restano, indubbiamente le dichiarazioni rese da Felice Ferrazzo, Giuseppe
Liotti e Carmine Venturino.
Relativamente a quelle rese da quest’ultimo – secondo cui Mario “il biondo”, e
cioè Mario Mauro, era aderente alla cosca di Petilia Policastro, in posizione di vertice
– il ricorrente ne contesta la utilizzabilità, in quanto assume che sono state rese
oltre il termine di conclusione delle indagini. Nella ordinanza impugnata non si tocca
il punto, ma non risulta che questo aspetto sia stato rappresentato dalla difesa in
sede di riesame, sicché il rilievo difensivo non può trovare accoglimento.
Tuttavia, la genericità delle dichiarazioni dei menzionati collaboratori, che non
indicano specifiche circostanze che avvalorino il loro assunto, e l’indebolimento del
quadro indiziario che deriva dai rilievi sopra svolti impongono l’annullamento
dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Catanzaro per nuovo più
approfondito esame sulla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 273 cod. proc.
pen.
In tale statuizione rimangono assorbite le censure attinenti alle esigenze
cautelari.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94, comma
disp. att. cod. proc. pen.

1-ter,

4. La menzione fatta in alcune delle conversazioni intercettate di tale “U

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
Catanzaro.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.

Così deciso il 15/05/2014.

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